Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31364 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31364 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 21215/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce alla comparsa di nuovo difensore, il quale dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME del Sasso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 2854/2018, depositata in data 12/6/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1.La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedeva emettersi decreto ingiuntivo nei confronti della Asl Napoli 1 (ora Asl Napoli 1 Centro), per la somma di euro 127.114,12, a titolo di corrispettivo, «come acconto», pari al 65% dell’importo fatturato, per le prestazioni erogate nel mese di novembre 2008 e contabilizzate con le fatture numeri 164,166,168,170,172,174 e 176 del 30/11/2008.
Avverso il decreto ingiuntivo n. 2447/2009 del tribunale di Napoli, proponeva opposizione la Asl deducendo l’impossibilità per la società di ottenere la retribuzione dell’acconto delle prestazioni rese nel novembre 2008, «atteso il possibile sforamento del tetto di spesa della macro area di assistenza Riabilitativa in base alle proiezioni del Tavolo Tecnico, come da verbali delle sedute del 13/10/2008, 22/10/2008, 22/11/2008, 23/12/2008 e del 17/3/2009».
Con comparsa di costituzione il Centro COGNOME deduceva che: a) l’onere della prova spettava all’Asl, «mediante la comunicazione di addebito della regressione tariffaria, con la quale richiedere la nota
di credito rispetto ai conguagli non dovuti»; b) non risultava in corso d’anno alcuna determinazione conclusiva del Tavolo Tecnico in relazione all’esercizio 2008 da cui evincere «se e in quale misura, il Centro opposto avesse contribuito al dedotto superamento del limite di spesa, essendo il tetto relativo all’intera macro area»; c) la regressione tariffaria poteva influire soltanto sulla liquidazione dei «conguagli dell’esercizio 2008» e solo dalla data di esaurimento, «nella specie mai comunicata».
La Asl Napoli ribadiva l’applicabilità al Centro Manzoni di una «regressione tariffaria pari ad euro 151.966,82, giusta nota di addebito protocollo n. 94017 dell’1/12/2009 adottata sulla base della delibera Asl n. 843 del 6/10/2009».
Il Centro COGNOME deduceva: a) la tardività della conclusione del monitoraggio e del recepimento dei dati relativi all’esercizio 2008, in quanto la Asl «senza aver mai comunicato la data di esaurimento dei volumi (né in corso di esercizio, né successivamente), soltanto nel mese di ottobre 2009, ad esercizio ampiamente esaurito e chiuso, ultimava i lavori per la determinazione dei conguagli liquidabili per l’anno 2008 e per la quantificazione delle regressioni tariffarie addebitabili alle singole strutture»; b) l’irrilevanza della nota di addebito di euro 151.966,82 «(nella specie mai comunicata alla ricorrente)», e ciò «sia perché non era stata resa nota la data di raggiungimento dei volumi, sia in quanto l’importo azionato è stato richiesto a titolo di acconto» e, quindi, doveva essere decurtato dei conguagli relativi all’ultimo trimestre dell’esercizio di riferimento».
Il tribunale, con sentenza n. 10196 del 7/7/2014, rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo.
In particolare, l’opponente Asl si era limitata ad una mera affermazione, non supportata da elementi di prova. Nessun dato
specifico relativo all’anno 2008 era stato fornito dall’opponente, «pur gravata del relativo onere probatorio».
Tale onere non era stato adempiuto con la nota della Asl Napoli 1 prot. 94017 dell’1/12/2009, «con la quale sarebbe stata comunicata al Centro opposto la regressione tariffaria».
Ciò perché, «a prescindere che tale nota è stata emessa solo nel corso del presente giudizio», tale nota «non risulta comunicata al Centro opposto come previsto contrattualmente», sicché «a tale atto non può attribuirsi alcun rilievo in questa sede».
Avverso la sentenza proponeva impugnazione la Asl.
7.1. Con il primo motivo d’appello la Asl rilevava che il tribunale aveva erroneamente reputato «che essa opponente si era limitata ad una mera affermazione non supportata da adeguati elementi di prova e di aver completamente omesso l’esame dei molteplici e pertinenti documenti attestanti la prova del dedotto sforamento del limite di spesa nella branca della riabilitazione dell’esercizio 2008».
7.2. Con il secondo motivo di impugnazione la Asl lamentava di aver dedotto e provato che con la pubblicazione della DGRC n. 1268/2008 dell’11/8/2008 la Regione aveva aggiornato e modificato la programmazione disciplinata dalla precedente DGRC 517/2007, sicché «il Tavolo Tecnico aveva dovuto monitorare ex novo la spesa registrata nell’ambito della branca di riabilitazione».
Pertanto, il Tavolo Tecnico, proprio per le modalità di rilevazione trimestrale, «aveva con tempestività e rapidità monitorato l’andamento della spesa».
I lavori del Tavolo Tecnico si erano svolti sulla base di due delibere aziendali: 1) la n. 1506 del 20/12/2007, che aveva disposto il monitoraggio in base al volume di prestazioni e correlati limiti di spesa fissati dalla DGRC 517/2007, per gli esercizi 2007, 2008, 2009 e 2010; 2) la n. 710 del 4/9/2008, che aveva dato attuazione alla
successiva DGRC n. 1268/2008 dell’11/8/2008, con la quale la Regione aveva aggiornato la programmazione data dalla precedente DGRC 517/2007, apportando modifiche ed integrazioni «recepite dal protocollo di intesa tra la Asl e le associazioni di categoria».
7.3. Con il terzo motivo di impugnazione la Asl ribadiva che la società «era certamente edotta dello sforamento del tetto di spesa poiché dai verbali delle sedute del Tavolo Tecnico risultava la presenza della sua procuratrice, avv. NOME COGNOME.
Era dunque errata la decisione del tribunale laddove aveva affermato che la nota di addebito della RTU «non risulta comunicata al Centro opposto come previsto contrattualmente, per cui a tale atto non può attribuirsi alcun rilievo in questa sede».
Tra l’altro tale nota era stata persino «impugnat dinanzi al Tar Campania unitamente a tutti gli atti adottati dal Tavolo Tecnico e recepiti dalle delibere aziendali».
Era errato l’assunto della società per cui l’importo della regressione tariffaria unica, quantificato nella nota n. 94017/2009 «non può inficiare l’esigibilità dell’acconto del mese di novembre 2008 per cui è causa, ma va decurtato dai conguagli dell’ultimo trimestre», in quanto il «limite al pagamento delle prestazioni sanitarie rese in esubero rispetto al limite di spesa opera evidentemente anche nei confronti degli acconti».
Si costituiva il Centro COGNOME deducendo l’inidoneità e irrilevanza della nota di addebito a titolo di regressione tariffaria dell’1/12/2009, «mai comunicata ed adottata tardivamente», ed evidenziando «l’irritualità del documento rispetto alla liquidazione dell’acconto, oltre alla violazione del procedimento di determinazione dello sforamento del tetto di spesa e conseguente determinazione della regressione tariffaria», la quale prevedeva «la comunicazione della data di raggiungimento dei volumi e dei limiti di spesa»
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2854 del 12/6/2018 accoglieva l’appello.
In particolare, la Asl aveva provato che il Tavolo Tecnico aveva accertato «per l’anno 2009 » lo sforamento del tetto di spesa programmato per le prestazioni di assistenza riabilitativa pertanto la regressione tariffaria da applicarsi al Centro Manzoni comportava «la non spettanza di una somma superiore all’acconto pari al 65% delle prestazioni da essa rese nel mese di novembre del 2008».
Ed infatti, la deliberazione n. 1268 dell’11/8/2008 della Giunta regionale aveva introdotto alcune modifiche al previgente regime generale dei rapporti tra le Asl ed i privati accreditati, stabilendo che «i tetti di spesa e di budget e di costo saranno monitorati almeno ogni tre mesi e potranno eventualmente essere rimodulati ogni anno, con successive delibere della Giunta regionale, in funzione dell’andamento dei costi del servizio sanitario regionale e finanziamento statale per la sanità, nel rispetto di tutti gli obiettivi e le condizioni stabilite nel piano di rientro dal disavanzo».
Ciò perché, operando il Tavolo Tecnico a posteriori , allorché le prestazioni erano state già rese dai centri accreditati e questi ultimi avevano domandato rimborso, «occorreva assicurare un costante monitoraggio dell’andamento della spesa», anche per evitare alle strutture private accreditate di effettuare «prestazioni destinate a non essere rimborsate dal sistema pubblico».
Pertanto, «sui centri privati gravava l’onere (non solo di trasmettere i dati delle prestazioni rese, ma soprattutto) di acquisire, direttamente o attraverso le associazioni di categoria che partecipavano al Tavolo Tecnico con rappresentanti numericamente paritarie a quelli delle AASSLL, costante conoscenza dell’esito dell’attività di monitoraggio, allo scopo di adeguare la disponibilità al
soddisfacimento della domanda di assistenza sanitaria all’effettiva e residuale capienza del programmato detto di spesa».
Le prestazioni sono rimborsabili nei limiti del monitoraggio della spesa complessiva.
Per tale ragione era priva di rilievo la questione riguardante «l’individuazione della parte onerata di provare lo sforamento, dal momento che questa prova era stata data dall’Asl».
Assumeva, invece, rilievo verificare «se il monitoraggio previsto dalla deliberazione fosse stato effettuato ed a quali risultati fosse approdato».
Dai verbali del Tavolo Tecnico prodotti dalla Asl risultava che già nel corso della riunione del 13/10/2008 era stato evidenziato che «l’andamento tendenziale della spesa, presumibilmente, calcolato sul fatturato, escludendo quindi le decurtazioni per controlli tecnicosanitari e superamento COM, si situa intorno al 10% da raggiungere alla fine dell’anno rispetto al tetto».
Con maggiore precisione nel verbale intitolato «proiezione art. 26 anno 2008 incontro Tavolo Tecnico 13/10/2008» si quantificava «in euro 5.475.063,00 la differenza tra tetto e previsione totale e la percentuale di sforamento nel 10% annuale».
Meno favorevoli alla società erano poi gli esiti della riunione del 22/10/2008 che «sulla base di una proiezione della percentuale del tetto ancora disponibile nella misura del 18% per l’intero e residuo trimestre ottobre-novembre 2008 e dell’ulteriore proiezione che già quantificava nel 10% il contributo allo sforamento di ogni singolo Centro, decise di inviare a tutti i centri di riabilitazione due comunicazioni, predisposte in fac-simile, con cui si dava notizia della previsione di una RTU per l’anno 2008 pari al 20% e si chiedeva secondo i termini del contratto -di illustrare le ragioni dell’incremento della spesa in misura superiore al 10%».
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte territoriale ribadiva che la società «doveva ex se – per obbligo non solo contrattuale ma anche normativo – assumere conoscenza di questi dati, e che comunque il successivo scostamento rispetto al tetto di spesa programmato, accertato dal Tavolo Tecnico nella seduta del 17/3/2009 (pari al 5,89% dell’importo liquidabile ed all’8,99% su quello fatturato), rileva nella sua oggettività, e dunque a prescindere da quanto e come di esso la struttura avesse avuto diretta conoscenza».
Per tale ragione – concludeva la Corte territoriale – doveva applicarsi la regressione tariffaria per una somma pari ad euro 151.966,82, con esclusione del diritto della RAGIONE_SOCIALE di conseguire il pagamento della somma richiesta con il decreto ingiuntivo, «perché riferita a prestazioni effettuate oltre il limite di spesa».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la Asl Napoli 1 Centro.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del contratto e la normativa regionale di programmazione di regolamentazione del procedimento di determinazione della regressione tariffaria: D.G.R.C. n. 6757/1996, n. 377/1998, n. 1270/2003, n. 1272/2003, n. 517/2007, D.G.R.C. n. 1268/2008 All. C e degli articoli 8quater e quinquies del d.lgs. n. 502/1992 – Violazione art. 2697 c.c. Violazione art. 1175 e 1375 c.c. – Omessa pronuncia – Violazione art. 116 c.p.c. per omessa ed erronea valutazione delle prove in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La sentenza della Corte d’appello sarebbe viziata «per aver omesso di valutare 1) la violazione dell’art. 9, punto 1, del contratto relativo al pagamento per intero dell’anticipazione del 65% dell’importo fatturato ; 2) l’omessa indicazione della data precisa di superamento dei limiti di spesa di cui alla nota dell’Asl Napoli 1 Centro protocollo n. 94017 dell’1/12/2009 non rinvenibile in nessuno dei documenti depositati nel processo di primo grado, né nei verbali del Tavolo Tecnico delle sedute del 13/10/2008, 22/10/2008, 22/11/2008, 23/12/2008 relative all’esercizio 2008 e neppure nel verbale della seduta del 17/3/2009», tra l’altro «mai comunicata, in violazione dell’art. 2697 c.c»; 3) l’eccezione relativa alle modalità di decurtazione della regressione tariffaria dall’acconto, piuttosto che dal saldo»; 4) per aver omesso una corretta valutazione degli elementi probatori offerti dall’odierna ricorrente in violazione dell’art. 116 c.p.c.
Per la ricorrente, dunque, anche se la Asl accerta un superamento del tetto di spesa, occorre che richieda l’emissione di una «nota di credito, da detrarre sui saldi», e non sugli acconti. Per tale ragione, la Asl avrebbe dovuto corrispondere la quota di acconto, dopodiché «una volta a completate le verifiche, avrebbe dovuto richiedere la decurtazione degli eventuali importi contestati dai conguagli successivi alla comunicazione dello stop».
La regressione tariffaria non incideva, dunque, sulla corresponsione dell’acconto.
Inoltre, «in riferimento alla valutazione degli elementi probatori», la nota dell’Asl n. 94017 dell’1/12/2009, con la quale era stata addebitata la regressione tariffaria per l’esercizio 2008, non era mai stata comunicata alla parte, ma aveva previsto che «l’ammontare del fatturato di codesta struttura che ha concorso al superamento del tetto di spesa di questa Asl è pari a euro
151.966,82, che sarà addebitato sulle contabilità delle mensilità successive alla data di esaurimento dei volumi di prestazioni e dei correlati limiti di spesa».
Pertanto, non risultava la data precisa di esaurimento di detti limiti. Nessuna data era peraltro indicata nei verbali del Tavolo Tecnico.
Inoltre, «da una compiuta e più attenta analisi dei documenti depositati nel processo di primo grado, emergeva che l’importo della regressione tariffaria pari ad euro 151.966,82, risultava «interamente soddisfatto, decurtando tale somma dai conguagli relativi alle mensilità di ottobre, novembre e dicembre 2008, pari ad euro 191.462,54».
Inoltre, proseguiva la società ricorrente, «anche applicando la modalità di decurtazione della regressione tariffaria indicata dall’Asl» e dunque «addebitando l’importo della nota protocollo n. 94017 dell’1/12/2009, pari ad euro 151.966,82, al 100% delle fatture emesse dalla struttura nell’esercizio 2008», emergeva che «essendo l’importo complessivo delle fatture relative al mese di dicembre 2008 pari ad euro 136.480,98» restava «da scalare dall’importo complessivo di euro 194.021,72 contabilizzato con le fatture del mese di novembre esclusivamente il residuo importo di euro 15.485,82».
Andava, quindi, detratta dalla somma di euro 194.021,72, relativa alle fatture del mese di novembre 2008, la somma di euro 15.485,84, pari alla differenza tra l’importo della regressione tariffaria di euro 151.966,82 e l’importo complessivo delle fatture relative al mese di dicembre 2008 pari ad euro 136.480,98. Di conseguenza, detratti euro 15.485,84 dal saldo delle fatture di novembre 2008, doveva essere interamente liquidato il restante importo di euro 178.535,88.
Pertanto, pur volendo seguire la modalità di applicazione della RTU essa avrebbe potuto influire sulla liquidazione dell’acconto del mese di novembre «soltanto se gli importi delle fatture dei mesi di dicembre (100%) e di novembre (conguagli) non fossero risultati sufficienti a compensare l’importo della nota di addebito dovuto a titolo di regressione».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del contratto e della normativa regionale di programmazione e di regolamentazione del procedimento di determinazione della regressione tariffaria: D.G.R.C. n. 6757/1996, n. 377/1998, n. 1270/2003, n. 1272/2003, n. 517/2007, n. 460/2007, D.G.R.C. n. 1268/2008 ALL. C e degli articoli 8-quater e quinquies del d.lgs. n. 502/1992 – Violazione dell’art. 132, 2º comma, n. 3 e 118 disp. att. c.p.c. per insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La pretesa creditoria era fondata in quanto «l’acconto dell’importo fatturato è dovuto nei 30 giorni dalla data di presentazione della fattura».
Una volta presentata la documentazione al competente ufficio (distretto sanitario) i relativi documenti sono nella disponibilità materiale dell’amministrazione «alla quale spetta, per compito istituzionale, l’effettuazione delle verifiche tecnico-sanitarie ed amministrativo-contabili».
Ogni contestazione deve essere comunicata alla struttura in forma scritta come previsto espressamente dal contratto.
È onere, dunque, dalla Asl provare la sussistenza del superamento di detti limiti «mediante il deposito della comunicazione/notifica di addebito, tempestivamente invia dalla struttura».
Inoltre – precisa la ricorrente – nell’esercizio 2008 «il tetto era di macro area, nel senso che non è stato assegnato un tetto singolo di struttura cui attenersi, ma è stato assegnato un budget complessivo della Asl Napoli 1 Centro».
Per tale ragione, «in mancanza di monitoraggio della spesa» la struttura «può attenersi al fatturato dell’anno precedente ed alla normativa finanziaria incrementato del 10% (art. 8, punto 2, del contratto 2008).
Di qui «l’importanza del necessario supporto e monitoraggio del Tavolo Tecnico, in mancanza del quale la singola struttura non è in grado di verificare l’effettivo sforamento o meno del tetto dell’intera macroarea».
Il monitoraggio, peraltro, «produce effetti solo ex nunc », dovendosi escludere «un intervento retroattivo sull’obbligazione».
Per la ricorrente, quindi: la struttura «non è stata messa nella condizione di interrompere l’erogazione del servizio sanitario richiesto dal cittadino»; i tetti di spesa per l’anno 2008 «sono stati modificati retroattivamente, ad esercizio completamente esaurito, soltanto nel mese di ottobre 2009»; la Asl non ha rispettato il contratto «in quanto non ha svolto in corso d’anno un regolare monitoraggio della spesa e non ha tenuto conto delle situazioni peculiari»; la struttura si è attenuto a quanto stabilito nel contratto, «rispettando il limite del 10% di incremento della propria produzione a carico del SSR rispetto a quella fatta registrare nel corrispondente periodo dell’anno precedente»; la struttura ha richiesto il pagamento dell’acconto; la Asl non ha mai comunicato la data di esaurimento dei volumi e del tetto di spesa.
La giurisprudenza amministrativa avrebbe considerato illegittimi i tetti di spesa con modifica retroattiva (si cita Cons. Stato, n. 4863 del 30/9/2014).
Non si tratterebbe, dunque, di una «ipotesi di mera intempestività della fissazione dei tetti di spesa (in qualche misura difficilmente evitabile)», ma della «delineazione retroattiva di un nuovo modello di fissazione (indubbiamente lesiva), quanto alla sua retroattività, dell’affidamento prestato dall’operatore sulla base del modulo pattizio in corso».
In definitiva, resta fermo il principio dell’efficacia retroattiva della determinazione con cui venga fissato «in corso d’anno» il livello di spesa per l’acquisizione di prestazioni dalle strutture private accreditate, ma la retroattività trova un limite costituito dalla tutela dell’affidamento dell’operatore sanitario «il quale abbia già svolto le prestazioni e tenuto sulla base degli accordi contrattuali conclusi con le singole aziende sanitarie locali e nei limiti dell’incremento consentito del 10%».
Ad avviso della ricorrente, dunque, «la RTU è uno strumento legittimo, solo se preventivamente comunicata secondo le scadenze contrattualmente previste e purché non si applichi a rapporti esauriti o prestazioni già erogate».
Nella specie la regione e le Asl avrebbero avviato «l’attività di sottoscrizione dei protocolli di intesa e dei contratti ad esercizio ampiamente trascorso».
Inoltre, la Asl non avrebbe «provveduto a comunicare alla struttura atti finalizzati ad interrompere la prestazione durante l’erogazione e/o in corso di esercizio».
Soltanto in data 1/12/2009 è stato comunicato il raggiungimento dei volumi delle prestazioni e dei limiti di spesa, senza peraltro indicare la data precisa dello sforamento.
L’azienda, dunque, sarebbe «l’unico soggetto che ha l’obbligo di comunicare gli esiti del monitoraggio, da effettuarsi secondo le tempistiche opportunamente negoziate contrattualizzate».
Per tale ragione, «non avendo la struttura incrementato il proprio fatturato oltre il limite del 10% rispetto all’anno precedente, le prestazioni devono essere remunerate, atteso che non è stata comunicata alcuna regressione tariffaria, né alcuno provvedimento finalizzato ad interrompere l’erogazione delle prestazioni, fino alla chiusura dell’esercizio 2008».
Infatti, i dati riportati nei verbali dell’anno 2008 depositati dall’Asl nel giudizio di primo grado e richiamate nella sentenza gravata «non sono definitivi», rappresentando gli stessi «il risultato del monitoraggio effettuato fino al mese di settembre 2009», mentre il monitoraggio definitivo non era stato concluso.
Il recepimento formale dei dati del monitoraggio era avvenuto con la delibera del commissario straordinario della Asl, con cui devono essere quantificati gli importi dovuti allo sforamento del tetto di spesa per le singole strutture, «avvenuto soltanto in data 6/10/2009».
Inoltre, «al contrario di quanto ritenuto nella sentenza gravata, gli esiti della riunione del Tavolo Tecnico del 22/10/2008, sulla base di una proiezione della percentuale del tetto ancora disponibile nella misura del 18% per l’intero e residuo trimestre ottobre-novembredicembre 2008, conferma che le strutture hanno erogato le prestazioni sino alla chiusura dell’esercizio 2008 senza essere dedotte sulla data di sforamento del tetto di spesa».
Per tale ragione, stante l’inidoneità della nota dell’1/12/2009, con cui si è comunicata la regressione tariffaria, nonché il ritardo nell’espletamento del monitoraggio, si imponeva alla Asl la «contabilizzazione di tali prestazioni come sopravvenienze passive sorte a seguito dell’accertamento di un debito relativo ad esercizi precedenti», in tal modo costituendo «oneri straordinari per i quali la Asl predispone appositi accantonamenti o fondi rischi».
Di qui, «l’inammissibilità e l’irrilevanza della determinazione della RTU».
La delibera n. 843 del 6/10/2009 sarebbe «un atto endo procedimentale, adottato unilateralmente dalla Asl, tardiva rispetto ai termini contrattuali ed alla programmazione prevista (quali DGRC n. 517/2007 e 1268/2008), in quanto, con tale provvedimento, la Asl, all’esito del (tardivo) monitoraggio, in violazione del giusto procedimento e degli impegni contrattualizzate, ha determinato unilateralmente le singole regressioni tariffarie».
I motivi primo e secondo, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
3.1. I motivi sono inammissibili – oltre che per ragioni di mancanza di autosufficienza (non essendo stati trascritti i documenti richiamati nei motivi di ricorso) – nella parte in cui chiedono una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente eseguita dalla Corte d’appello, con l’analisi dettagliata di tutte le risultanze istruttorie, non consentita in questa sede.
Peraltro, la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., limita la censura sulla motivazione esclusivamente con riferimento all’omesso esame di un fatto decisivo, mentre la ricorrente ha dedotto «omessa ed erronea valutazione delle prove in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.», nell’ambito del primo motivo.
3.2. Si evidenzia anche che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nella precisa indicazione di tutti i passaggi logico-argomentativi, che hanno condotto il giudice di secondo grado alla soluzione adottata.
Non v’è stata, dunque, alcuna valuta violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 3, c.p.c. e dell’art. 118 disposizione di attuazione
c.p.c. «per insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
4. La Corte d’appello, con pieno giudizio di merito, ha evidenziato che lo sforamento del tetto di spesa per l’anno 2008 è emerso attraverso le riunioni del Tavolo Tecnico del 13/10/2008, del 22/10/2008, del 22/11/2008, del 23/12/2008, e 17/3/2009.
In particolare, si è evidenziato che i criteri per il computo del superamento dei tetti di spesa, prima previsti dalla DGRC n. 517 del 2007, sono stati successivamente individuati dalla DGRC n. 1268 dell’11/8/2008.
Si è previsto, con tale ultima delibera, il monitoraggio trimestrale dei tetti di spesa di budget e di costo.
Tale disposizione è stata intesa quale parte integrante sia degli schemi di protocollo che del modulo contrattuale, per la ragione per cui «operando il Tavolo Tecnico a posteriori , allorché in altri termini le prestazioni erano state già rese dai centri accreditati queste ultime avevano domanda di rimborso, occorreva assicurare un costante monitoraggio dell’andamento della spesa, e ciò nell’interesse da un lato del servizio sanitario a verificare l’adeguatezza del sistema nel suo complesso raggiungimento degli obiettivi di spesa e dell’efficienza delle prestazioni, dall’altro delle strutture private accreditate a non eccedere il limite rispettivamente loro assegnato e, dunque, a non effettuare prestazioni destinate a non essere rimborsate dal sistema pubblico».
Si è, quindi, statuito che era onere delle società accreditate, che partecipavano alle riunioni del Tavolo Tecnico, dedicato all’individuazione del tetto di spesa annuale, con cadenza trimestrale, quello di verificare il superamento o meno di tale tetto di spesa.
Ed infatti la Corte territoriale ha affermato che «sui centri privati gravava l’onere (non solo di trasmettere i dati delle prestazioni rese, ma soprattutto) di acquisire, direttamente o attraverso le associazioni di categoria che partecipavano al Tavolo Tecnico con rappresentanti numericamente paritaria quelli delle AASSLL, costante conoscenza dell’esito dell’attività di monitoraggio, allo scopo di adeguare la disponibilità al soddisfacimento della domanda di assistenza sanitaria all’effettiva e residuale capienza del programmato tetto di spesa».
Pertanto – a giudizio della Corte di appello – la Asl ha fornito la prova dell’avvenuto sforamento del tetto di spesa.
Ciò ha ricavato, con pieno giudizio meritale, dalla riunione del Tavolo Tecnico del 13/10/2008 ove si è evidenziato, commentando il report dell’anno in corso, «completi fino al mese di giugno compreso», che «l’andamento tendenziale della spesa, presumibilmente calcolato sul fatturato si situa intorno al 10% da raggiungere alla fine dell’anno rispetto al tetto».
Il chiarimento è avvenuto con il prospetto allegato al verbale intitolato «proiezione art. 26 anno 2008 incontro Tavolo Tecnico 13/10/2008», ove si è quantificato in euro 5.475.063,00 «la differenza tra tetto e previsione totale e la percentuale di sforamento nel 10% annuale».
Tra l’altro, nella successiva riunione del 22/10/2008 la situazione si è presentata ancora più negativa per le società, «sulla base di una proiezione della percentuale del tetto ancora disponibile nella misura del 18% per l’intero e residuo trimestre ottobre-novembre 2008 e dell’ulteriore proiezione che già quantificava nel 10% il contributo lo sforamento di ogni singolo centro ».
Tanto è vero che si decise di inviare a tutti centri di riabilitazione due comunicazioni con cui si dava atto della previsione di una RTU per
l’anno 2008 «pari al 20% e si chiedeva – secondo i termini del contratto – di illustrare le ragioni dell’incremento della spesa in misura superiore al 10%».
La società, pertanto, poteva assumere conoscenza di questi dati, mentre il successivo scostamento rispetto al tetto di spesa programmato, accertato dal Tavolo Tecnico della seduta del 17 del 2009 (pari al 5,89% dell’importo liquidabile ed all’8,99% su quello fatturato), rileva nella sua oggettività, e dunque a prescindere da quanto è come di esso la struttura avesse avuto diretta conoscenza». La regressione tariffaria per la somma di euro 151.966,82 escludeva, dunque, il diritto della RAGIONE_SOCIALE di conseguire pagamento della somma richiesta come decreto ingiuntivo.
La motivazione della sentenza della Corte d’appello si fonda, dunque, su documenti acquisiti legittimamente, e segnatamente sui verbali del Tavolo Tecnico delle 13/10/2008 e del 22/10/2008, con la conseguente decurtazione degli acconti relativi a novembre 2008 previsti per il Centro Manzoni.
Il motivo è anche infondato.
5.1. La questione orbita essenzialmente sull’individuazione del soggetto cui è attribuito l’onere di dimostrare il superamento dei tetti di spesa fissati dalla regione.
L’art. 26 della legge 23/12/1978, n. 833 (prestazioni di riabilitazione) stabilisce che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi. L’Unità sanitaria locale, quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema
tipo approvato dal Ministro della Sanità, sentito il consiglio sanitario nazionale».
L’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede una programmazione sanitaria, che si articola in un piano sanitario nazionale di durata triennale e di un piano sanitario regionale (art. 1 comma 9 «il piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal governo entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del piano precedente. Il piano sanitario nazionale può essere modificato nel corso del triennio con la procedura di cui al comma 5»).
Ai sensi del comma 2 dell’art.1 del d.lgs. n. 502 del 1992, vengono in rilievo i LEA (livelli essenziali di assistenza), prevedendosi poi, che «il servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse».
Il piano sanitario regionale è disciplinato dall’art. 1 comma 13 del d.lgs. n. 502 del 1992, ove si prevede che «il piano sanitario regionale rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del piano sanitario nazionale».
7.1. Quanto ai tetti di spesa, prevede l’art. 12 del d.lgs. 30/12/1992, n. 502 (Fondo sanitario nazionale) che «il fondo sanitario nazionale è ripartito con riferimento al triennio
successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, dal CIPE la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici ».
L’art. 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che «le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
L’art. 39 (Ripartizione del fondo sanitario nazionale) del d.lgs. 15/12/1997, n. 446, prevede poi «Il CIPE su proposta del Ministro della Sanità, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni, delibera annualmente l’assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, delle quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente».
Questa Corte, con plurime decisioni, ha ritenuto che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass., sez. 3, 29/10/2019, n. 27608; che
richiama Cons. Stato, sez. III, 10/2/2016, n. 566; Cons. Stato, sez. III, 10/4/2015, n. 1832; poi Cass.,sez. 3, 6/7/2020, n. 13884).
Si è affermato che, alla base di tali conclusioni, si collocano stringenti indirizzi normativi (art. 32, comma 8, legge 27/12/1997, n. 449; art. 12, comma 3, d.lgs. 23/12/1992, n. 502; art. 39 del d.lgs. 15/12/1997, n. 446), in base ai quali, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario, attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema.
Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, in quanto deve bilanciare interessi diversi e per certi aspetti contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono in base ad una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico (Cass., sez. 3, n. 27608 del 2019).
Inoltre, si è precisato che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici. Vi è dunque la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dei soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti
effettuati in termini finanziari organizzativi (Cass. n. 27608 del 2019; poi anche Cass. n. 13884 del 2020).
Con l’ulteriore chiarimento per cui, stante il carattere recessivo degli atti concordati convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; ciò costituisce un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’Asl di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cass., n. 27608 del 2019).
Pertanto, in caso di superamento del tetto di spesa la remunerazione risulta inesigibile, dovendosi giudicare corretta la condotta della Asl, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la Asl e la regione non avrebbero potuto sottrarsi (Cass. n. 27608 del 2019).
Del resto, alla struttura accreditata viene data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio sanitario nazionale di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Al contrario, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato, sez. III, 7/1/2014, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 30/4/2003, n. 2253; entrambe richiamate in motivazione nella sentenza di questa Corte n. 27608 del 2019).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate
dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla Asl alla dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884).
Nessun rilievo può essere conferito al principio di affidamento, perché quello della regressione tariffaria è un meccanismo convenzionalmente accettato dalle strutture sanitarie che operano nell’ambito del sistema sanitario nazionale, a prescindere dalle modalità esecutive del monitoraggio suscettibile di essere demandato eventuali tavoli tecnici (Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375).
Si è anche precisato che la circostanza che la delibera con cui si accerta il superamento del tetto di spesa sia comunicata o meno «non possiede alcuna incidenza sul profilo del pagamento della prestazione, proprio perché l’elemento impeditivo della remunerazione è integrato dal semplice fatto del superamento dei livelli di spesa» (Cass. n. 4375 del 2023).
Si è anche osservato che vale il principio per cui l’esercizio del potere di fissare la regressione tariffaria, al fine di osservare i limiti
di spesa, non è subordinato o condizionato all’esecuzione del monitoraggio delle prestazioni erogate, né al ritardo o imprecisione nell’adempimento all’obbligo di eseguire controlli per il tramite dei tavoli tecnici perché essi sono organi di fonte contrattuale a cui partecipano pure i rappresentanti aziendali e delle associazioni di categoria più rappresentative (Cons. Stato., n. 207 del 2016; richiamata da Cass. n. 4375 del 2023).
Non rileva dunque la tardività del monitoraggio né quella relativa all’attività imputabile al Tavolo Tecnico.
Tra l’altro, come evidenziato nel controricorso, il difensore della società RAGIONE_SOCIALE, Avv. COGNOME, era presente al Tavolo Tecnico nelle varie riunioni.
A queste considerazioni deve aggiungersi che fisiologicamente l’individuazione dei tetti di spesa giunge successivamente all’esercizio in corso ed anche dopo la stipulazione del contratto costituendo una sorta di rischio di impresa per le società.
9.2. La necessità dell’accordo scritto nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, anche in caso di accreditamento, provvisorio o definitivo, non contrasta con la prassi richiamata, che si estrinseca nel sopraggiungere di nuove delibere che fissano e cambiano i tetti di spesa.
Di qui, dunque, la precisazione per cui tetti di spesa possono giungere anche successivamente rispetto alla stipulazione del contratto.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di
erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. Stato, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
La prassi sopra menzionata attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
In tal senso, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, si è pronunciata su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale disposizione infatti recitava così «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua ».
Come si vede, si fa riferimento a «singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012», quindi a contratti scritti già stipulati.
In questo contesto, la Corte costituzionale osserva che «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca
successiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico», con la conseguenza che «l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposta in corso d’anno».
È questa la ragione per cui anche questa Corte (ordinanza n. 27997 del 2019) ha richiamato le pronunce del giudice amministrativo, in una fattispecie, però, in cui la stipula del contratto, assicurato «soltanto al termine dell’anno di riferimento delle prestazioni», non giustificata da ritardi connessi alla adozione da parte della regione degli atti di indirizzo e programmazione, «è affetta da nullità virtuale ex art. 1418, comma 3, c.c. in quanto violativa dell’esercizio dell’autonomia negoziale, impedendo la struttura privata di autodeterminarsi nelle scelte imprenditoriali».
In tale contesto, del tutto specifico, emergeva che «il punto critico della vicenda emerso dalla prassi operativa degli enti e delle strutture pubbliche e private coinvolte, è stato individuato nella fisiologica sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, rendendo quindi problematica una programmazione di impresa in un sistema di tipo concorrenziale».
Il contratto, dunque, era già stato stipulato, mentre le delibere di fissazione dei tetti di spesa sono sopraggiunte in seguito.
10. Il provvedimento di regressione tariffaria n. 94017 del 2009 individuava il superamento del limite del tetto di spesa («con deliberazione n. 843 del 6/10/2009 questa direzione, prendendo atto dei lavori del Tavolo Tecnico in attuazione della DGRC n. 1268 del 24 luglio 2008, ha determinato di non retribuire le prestazioni erogate agli assistiti della regione Campania oltre la data di esaurimento dei volumi di prestazioni e dei correlati limiti di spesa contrattualizzate.
Per le strutture insistenti sul territorio della Asl NA 1 Centro la RTU,
riferita a tutto il fatturato dell’anno 2008, è risultata essere pari al 6,56%. L’ammontare del fatturato di codesta struttura che ha concorso al superamento del tetto di spesa di questa Asl è pari a euro 151.966,82»).
Ed infatti, la delibera della Giunta Regionale Campania n. 1268 del 2008 ha modificato il procedimento per la determinazione dei tetti di spesa, rispetto a quanto in precedenza disciplinato dalla deliberazione della Giunta Regionale Campania n. 517 del 2007.
Si legge nella delibera n. 1268 del 2008 che «il tavolo permanente per il monitoraggio dell’attuazione delle delibere regionali in materia di tetti di spesa, istituito con DGRC n. 800/06, è stato incaricato dalla DGRC n. 517/07 – tra l’altro – di supportare il procedimento di determinazione, comunicazione e monitoraggio dei budget delle singole strutture erogatrici private, pervenendo al monitoraggio mensile delle prestazioni erogate, dei costi e delle regressioni tariffarie in corso di maturazione, in base alle linee definite nel Piano di Rientro dal Disavanzo».
Si chiarisce, al punto 14 del deliberato, che «i tetti di spesa ed il budget di costo stabiliti dalla presente delibera saranno monitorati almeno ogni tre mesi e potranno eventualmente essere rimodulate ogni anno, con successive delibere della Giunta regionale, in funzione dell’andamento dei costi del servizio sanitario regionale e delle finanziamento statale per la sanità, nel rispetto di tutti gli obiettivi e di tutte le condizioni stabilite nel Piano di Rientro dal Disavanzo approvato dalla DGRC n. 460/07».
Pertanto, attraverso il monitoraggio permanente era ben possibile alla società RAGIONE_SOCIALE di conoscere il tetto di spesa per il periodo del novembre 2008, in quanto le prime riunioni del Tavolo Tecnico recano la data del 13/10/2008, del 22/10/2008 e del 22/11/2008, ed in esse già si evidenziava il superamento prospettico
del tetto di spesa, come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 novembre