Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4362 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
Oggetto: Responsabilità civile – Struttura sanitaria accreditata -Cessione del credito -Superamento del tetto di spesa.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4694/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE Unione RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO (pec: EMAIL, EMAIL);
-ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE INDIRIZZO (già Azienda A.RAGIONE_SOCIALE Roma E), in
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r.g.n. 4694/2021
Pres. L. COGNOME
Est. ICOGNOME persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO (pecEMAIL;
-controricorrente –
nonché contro
REGIONE LAZIO , in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura dell’Ente (pec: EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di ROMA n. 3377/2020, pubblicata il 10 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 gennaio 2025 dalla Consigliera dr.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. La Corte d ‘a ppello di Roma con la sentenza qui impugnata ha rigettato l’impugnazione principale proposta da RAGIONE_SOCIALE Unione banche Italiane per il factoring avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20/2016, che aveva, a sua volta, respinto la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del credito dell’Istituto delle figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, titolare dell’Ospedale classificato INDIRIZZO‘ nei confronti dell’ Azienda RAGIONE_SOCIALE Roma E e della Regione Lazio al fine di ottenere il pagamento della somma di Euro 2.489.453,57, oltre interessi di cui al d.lgs. n. 231/2002, relativa a prestazioni rese in favore dei pazienti del SSN nel gennaio 2009 ; la Corte d’appello ha infine dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto dalla Regione Lazio.
Per quanto ancora qui di rilievo, la Corte romana, ha deciso secondo il principio della ‘ ragione più liquida ‘ , premettendo sia che gli ospedali classificati non sia equiparabili tout court a quelli pubblici sia che il tetto della
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Est. I. Ambrosi spesa sanitaria è inderogabile per tutte le strutture che, a vario titolo, come quella di specie, c.d. ‘classificata’ (richiamando, in proposito, l’arresto di legittimità n. 8088/2007); ha richiamato per relationem quanto affermato in analoga fattispecie dalla sentenza di legittimità n. 27608/2019 che, in tema di attività sanitaria esercitata in regime di accreditamento, ha ritenuto infondata la domanda di pagamento delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa proposta a titolo di inadempimento contrattuale o di illecito extracontrattuale dalla società accreditata nei confronti dell’ASL e della Regione, atteso che la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni c.d. ” extra budget ” è giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa ed il vincolo delle risorse pubbliche disponibili e che la struttura privata accreditata non ha l’obbligo di rendere prestazioni eccedenti quelle concordate ; la Corte d’appello h a richiamato, inoltre, con motivazione per relationem la sentenza di legittimità n. 22505/2019 in ordine alla non remunerabilità delle prestazioni rese dalle strutture convenzionate oltre il budget a loro assegnato con riferimento agli ospedali classificati ed agli IRCCS e sulla opponibilità agli ospedali classificati dei limiti di spesa anche per gli anni antecedenti al 2008 nonché sulla inammissibilità della disapplicazione per illegittimità ex art. 5 legge n. 2248 del 1865 all. E da parte del giudice ordinario degli atti amministrativi di assegnazione del budget alle strutture private convenzionate nei giudizi in cui è richiesto il pagamento di prestazioni sanitarie erogate oltre il budget; sotto altro autonomo profilo, infine, la Corte romana in ordine all’errata imputazione di pagamento ha ribadito quanto già osservato dal Tribunale in proposito e cioè che « laddove l’imput azione sia fatta dal debitore, come avvenuto nel caso di specie, a norma dell’art. 1193, I comma, c.c. il creditore non avrebbe potuto dare una diversa imputazione».
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, RAGIONE_SOCIALE Unione banche Italiane per il factoring – ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi; hanno resistito con distinti e rispettivi
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Pres. L. COGNOME
Est. I. Ambrosi atti di controricorso l’A zienda Sanitaria Locale Roma 1 (già Azienda RAGIONE_SOCIALE Roma E) e la Regione Lazio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c..
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
La parte ricorrente e la controricorrente Azienda Sanitaria Locale Roma 1 hanno depositato distinte e rispettive memorie.
Ragioni della decisione
La ricorrente RAGIONE_SOCIALE – Unione banche RAGIONE_SOCIALE per il factoring lamenta con il primo motivo di ricorso, la ‘ Violazione degli artt. 111, 6 comma, Cost., 132, 2 comma, n. 4 cod. proc. civ. e 118 delle ‘disposizioni per l’attuazione’ del codice di procedura civile. Nullità della sentenza per motivazione apparente ‘ ; in particolare, sostiene che l a Corte d’appello abbia definito la causa adottando un motivazione per relationem che, esaurendosi in apodittico rinvio a ‘precedenti’ della Corte di cassazione , senza alcun esame delle censure e delle questioni oggetto di giudizio, si rivelerebbe soltanto apparente.
Con il secondo motivo di ricorso, denuncia la ‘ Violazione e falsa applicazione, dell’art. 1, comma 4 e 6, della legge n. 132 del 1968, dell’art. 129, del d.P.R. n. 130 del 1969, degli artt. 25, 41, 42 e 43 della legge n. 833 del 1978, dell’art. 25 del d.P.R. n. 761 del 1969, dell’art. 1, comma 18, degl i artt. 4, comma 12 e 8, quinquies, secondo comma, del d.lgs. n. 502 del 1992, degli artt. 1 e 13 del d.lgs. n. 229 del 1999, dell’art. 79 del d.l. n. 112 del 2008 (convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133) ‘ ; nello specifico per avere la Corte di merito ritenuto, contrariamente ai principi generali in materia di strutture sanitarie equiparate alle strutture pubbliche, che soltanto queste ultime sarebbero esonerate dai limiti di spesa, trascurando che anche alle strutture equiparate non fossero applicabili i limiti di spesa sino al 2008 (in forza della mera equiparazione) ed anche per il 2009, non avendo la Regione Lazio,
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Est. I. COGNOME prima del 2011, dato attuazione alla disciplina di cui agli artt. 8 quinquies e 8 sexies del decreto legislativo n. 502/1992.
Con il terzo motivo, denuncia la ‘ Violazione dell’art. 5 legge n. 2248 del 1865 all. E in relazione ai principi generali in tema di giurisdizione. Violazione degli artt. 3 e 4 del D.M. 15 aprile 1994, degli artt. 2, 5 e 8 sexies del d.lgs. n. 502 e dei principi generali in materia di remunerazione delle prestazioni sanitarie e di quelli in materia di illegittimità derivata degli atti amministrativi; nella violazione degli artt. 1362 e ss. cod.civ. in materia di interpretazione degli atti amministrativi e delle norme di relazione con riguardo alla carenza assoluta di potere da parte della Pubblica Amministrazione ‘ ; lamenta che la Corte di merito non abbia rilevato come la società ricorrente avesse lamentato la assoluta carenza di potere da parte dell’amministrazione di determinazione del tetto di spesa al di sotto dei costi standars di produzione e, dunque, la radicale nullità degli atti determinativi dei tetti di spesa sicché non si poneva un problema di disapplicazione, in senso proprio dell’atto amministrativo , ma di decisione della controversia senza l’applicazione delle delibere determinative.
Con il quarto motivo, la società ricorrente denuncia la ‘ Violazione dell’art. 111, 6 comma, Cost.,. 132, 2 comma, n. 4 cod.proc.civ. e dell’art. 118 ‘disposizioni per l’attuazione’ del codice di procedura civile. Nullità della sentenza per motivazione apparente ‘ , per essersi la Corte di merito limitata ad un mero richiamo alla sentenza di primo grado e fornito una motivazione meramente apparente in merito al l’imputazione del pagamento operata dal debitore nei mandati, trascurando le ragioni di censura e gli argomenti fatti da valere dalla cessionaria del credito.
Con il quinto motivo, la società ricorrente denuncia la ‘ Violazione dell’art. 1193 cod. civ. e dei principi generali in materia di imputazione del pagamento. Violazione dell’art. 1362 e ss. in relazione all’interpretazione degli atti amministrativi. Violazione dell’art. 97 Cost. e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. V iolazione dell’art. 2697
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Est. I. COGNOME
cod.civ. e dei principi generali in materia di onere della prova ‘ ; lamenta, in particolare, che la Corte d’appello non ha considerato che, proprio per disciplinare rapporti giuridici continuativi la Regione Lazio ha adottato un sistema di centralizzazione dei pagamenti (DGR n. 602 del 2004 e circolari attuative) esprimendo preventivamente e con dichiarazione continuativa l’imputazione dei pagamenti mensili compiuti dalla Regione Lazio, i quali sono pertanto idonei ad esprimere una diversa imputazione, né a sostituire il precedente criterio adottato con atto amministrativo; in tal modo, avrebbe omesso di considerare il sistema di centralizzazione istituito dalla Regione Lazio e trascurato la circostanza secondo cui i pagamenti mensil non vanno a remunerare le prestazioni eseguite nel mese, a cui il singolo mandato di pagamento si riferisce, ma quelle rese quattro mesi prima, sicché i medesimi pagamenti sono riferiti alle prestazioni eseguiti quattro mesi prima e non hanno carattere liberatorio.
Il primo, il secondo e il quarto motivi di ricorso come prospettati e sopra sinticamente riassunti, che possono essere congiuntamente esaminati per l’evidente nesso di connessione che li avvince , non sono fondati.
Con essi la società ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia affetta da motivazione apparente in un duplice senso, per un verso, per aver richiamato precedenti di legittimità inconferenti rispetto alla fattispecie esaminata e per aver qualificato come struttura privata accreditata l’ente ospedaliero ‘classificato’ , odierno ricorrente, non riconoscendone la natura di ente pubblico, che avrebbe consentito di non ritenerle applicabile il regime dei tetti di spesa in materia di prestazioni sanitarie; per l’ altro verso, per aver definito il giudizio ribadendo l’adozione del criterio di imputazione previsto dall’art. 1193 c.c. , già riconosciuto dal Tribunale e dunque, attribuendo rilevanza a quanto dichiarato dal debitore al momento in cui ha effettuato il pagamento.
6.1. Come condivisibilmente osservato dal P.M., in via preliminare, va ricordato che il vizio di motivazione – la sua mera apparenza, o ancora la
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sua intrinseca illogicità – implica una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, dà luogo (cfr. tra tante e da ultimo Sez. 3 n. 30838 del 2018) ad un error in procedendo , la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, cod.proc.civ., ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (artt. 132 cod. proc. civ., 118, disp.att., cod. proc. civ., 111 Cost.). In ragione di ciò, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza. In tale ipotesi la motivazione può essere considerata meramente formale, inconsistente o del tutto apodittica.
Viceversa, esula da questo ambito l’insufficienza della motivazione o anche la sua implausibilità, la quale non è più oggetto di controllo da parte del giudice di legittimità, se non nei ristretti limiti dell’omesso esame di un fatto decisivo; in proposito , l’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata, pur nella sua stringatezza, non è affetta dai plurimi vizi di nullità paventati.
6.2. Ebbene, circa l’ applicabilità dei tetti di spesa in relazione all’ Ospedale INDIRIZZO, contrariamente a quanto ritenuto dalla società ricorrente, cessionaria del credito cedutole da detto Ospedale, il Collegio osserva che gli arresti giurisprudenziali di legittimità, richiamati dalla Corte romana, sono coerenti e pertinenti alla fattispecie in esame.
6.2.1. Il primo arresto richiamato (Cass. Sez. U n. 8088/2007 richiamata a pag. 2 della sentenza impugnata) – nel pronunciarsi sulla
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Est. I. Ambrosi questione relativa al rapporto di lavoro di un medico con la medesima struttura sanitaria, l’Ospedale INDIRIZZO Re , il cui credito viene in rilievo nel presente giudizio – ha confermato la statuizione del giudice amministrativo circa il difetto di giurisdizione, incidentalmente accertando che «la natura privata dell’Ospedale INDIRIZZO Re di Roma, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto non rientra tra gli enti del Servizio sanitario nazionale considerati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1».
6.2.2. Gli altri due arresti indicati dalla sentenza impugnata: Cass. Sez. 3, n. 27608/2019 e Cass. Sez. 3, n. 32505 /2019 (per evidente mero error calami, quest’ultimo indicato come ‘ n. 22505/2019 ‘ emesso tra le medesime parti ed avente ad oggetto, tra l’altro, il pagamento delle prestazioni ospedaliere rese dall’Ospedale Cristo Re per il SSN negli anni 2007-2008) hanno entrambi affermato l’inderogabilità dei suindicati tetti di spesa in materia di prestazioni sanitarie e della loro applicabilità nei confronti degli ospedali ‘ classificati ‘ .
In particolare, l’arresto n. 32505/2019 ha chiarito che gli ospedali classificati sono equiparati a quelli pubblici ai soli fini della programmazione della rete sanitaria e non anche ad ogni altro fine, ed essendo soggetti di proprietà privata, il cui titolare ha piena autonomia di gestione, sono destinatari dei vincoli della programmazione pubblica, che si estrinsecano, principalmente, mediante l’assegnazione di finanziamenti agli investimenti e mediante la determinazione dei tetti di spesa; la stessa pronuncia rinvia anche ad un precedente di giustizia amministrativa (CdS n. 697/2013) che ha affermato l’applicabilità agli ospedali classificati dei tetti di spesa , indirizzo confermato, da ultimo, dallo stesso Consiglio di Stato che ha escluso ogni assimilazione degli ospedali classificati a quelli pubblici (CdS nn. 7980/2023, 5008/2023 e 8017/2023, il primo arresto richiamato, vuoi dal P.M. nelle note vuoi dalla stessa odierna ricorrente in memoria, seppure criticamente, assieme agli altri due precedenti).
In relazione al recente orientamento del giudice amministrativo, che ha affermato che, anche nel periodo anteriore alle modifiche del 2008, le
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strutture equiparate fossero sottoposte all’osservanza del tetto di spesa, così non presentando alcuna differenza rispetto alle case di cura private, meramente accreditate , l’odierna ricorrente in memoria osserva che esso , mancando una specifica motivazione di dissenso, non parrebbe espressivo di un orientamento diverso rispetto a quello espresso in precedenza in tema di ‘tetto di spesa invalicabile’ (CdS nn. 735/2013 e 4460/2019, a cui si richiamano gli arresti Cass. Sez. 1 03/01/2023 n. 56 e Cass. Sez. 1 3/07/2024 n. 18267); in tale prospettiva, RAGIONE_SOCIALE ribadisce la propria tesi, secondo cui non sarebbe affatto venuto meno per le strutture sanitarie equiparate , neppure dall’anno 2009 in poi, il dovere di rendere la prestazione, e, correlativamente, il diritto alla remunerazione integrale delle prestazioni effettivamente rese.
Le doglianze, seppur suggestive, non scalfiscono quanto ritenuto dai precedenti di legittimità richiamati dalla Corte territoriale con la sentenza impugnata, coerentemente uniformatisi a quanto, da ultimo, ritenuto dalla stessa giurisprudenza amministrativa, non offrendo argomentazioni idonee ad un mutamento di indirizzo.
6.3. Con riferimento alla doglianza circa l’ imputazione dei pagamenti effettuati, oltre a richiamare le statuizioni della sentenza di primo grado in argomento, la Corte di merito ha ribadito che «laddove l’imputazione sia fatta dal debitore, come avvenuto nel caso di specie, a norma dell’art. 1193, I comma, c.c. il creditore non avrebbe potuto dare una diversa imputazione» (pag. 4 della sentenza impugnata).
6.4. Ebbene in tal modo, mediante il rinvio alle ragioni esposte nella sentenza impugnata e il richiamo di precedenti giurisprudenziale che hanno deciso controversie analoghe , il Giudice d’appello ha così assolto, seppure per relationem , al proprio dovere di motivazione e non sussiste la violazione del canone di cui al l’art. 118 disp.att. cod.proc.civ ..
Per consolidato orientamento di questa Corte, infatti, il richiamo ad un orientamento giurisprudenziale è ammissibile, perché il dovere costituzionale posto dall’art. 111 Cost. può essere adempiuto attraverso il
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riferimento a provvedimenti il cui contenuto è conoscibile; è tuttavia necessario che vi sia l’esplicito riferimento al precedente che, anche se non trascritto nelle sue parti significative, sia tale rendere evidente, attraverso la sua lettura, il percorso logico giuridico seguito per pervenire ad una certa decisione. Si richiede altresì che dalla sentenza si colgano gli elementi della fattispecie concreta, sì da consentire la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento (tra tante, Cass. Sez. 3, 09/05/2017 n. 11227; Cass. Sez. 6 -5, 3/07/2018 n. 17403; da ultimo Cass. Sez. 3, 18/10/2024 n. 27010).
Nel caso in esame, per come sopra verificato, non sussiste neppure la violazione dell’art. 132, n. 4, cod.proc.civ. che si realizza sia quando la motivazione manchi del tutto, come atto scritto da un punto di vista esclusivamente formale sia quando essa formalmente esiste, ma per le sue intrinseche contraddittorietà non consente di individuare il percorso logico giuridico che ha condotto il giudice a quella determinata decisione (tra tante, Cass. L 14/02/2020 n. 3819; Cass. Sez. 6 – 1, 01/03/2022 n. 6758).
7. Pure il terzo motivo di ricorso si rivela non fondato.
La società ricorrente lamenta la mancata disapplicazione della delibera regionale che aveva fissato i tetti di spesa per le prestazioni sanitarie del 2009, in quanto emessa in carenza di potere e cioè su tariffe non aggiornate e non in grado di coprire i costi delle prestazioni.
Giova richiamare la distinzione fra questione pregiudiziale in senso tecnico e questione pregiudiziale in senso logico, da tempo, enucleata da questa Corte sul potere di disapplicazione (Cass. Sez. 3 12/12/2019 n. 32505). In tale ambito, la questione pregiudiziale in senso tecnico rappresenta l’effetto di un distinto rapporto giuridico, esterno rispetto a quello dedotto in giudizio, che tuttavia condiziona quest’ultimo in virtù del nesso di pregiudizialità-dipendenza fra situazioni giuridiche e riguardando un rapporto esterno a quello dedotto in giudizio e che può essere oggetto di cognizione solo incidentale. La questione pregiudiziale in senso logico,
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Est. I. COGNOME viceversa, attiene al rapporto dedotto in giudizio (quale suo fatto costitutivo, impeditivo o estintivo) ed è oggetto di accertamento con efficacia di giudicato.
Ciò posto, il potere di disapplicazione viene in rilievo solo quando la legittimità dell’atto amministrativo rivesta il ruolo di questione pregiudiziale in senso tecnico; se infatti l’atto amministrativo rappresentasse una questione pregiudiziale in senso logico la controversia non sarebbe più su diritti soggettivi ed il giudice ordinario sindacherebbe il potere amministrativo in via principale.
Nel caso di specie, la delibera regionale non costituisce un mero elemento esterno alla fattispecie dedotta in giudizio, ma integra il fatto impeditivo della pretesa di chi agisce per il pagamento del corrispettivo della prestazione e, dunque, attiene in modo diretto al rapporto dedotto in giudizio; rispetto alla delibera, ove assunta quale fatto impeditivo della pretesa del privato, la posizione è di interesse legittimo e dunque l’atto amministrativo andava impugnato e non disapplicato.
8. Il quinto motivo è inammissibile.
Sul punto, la censura, seppure formulata quale violazione di legge, attiene in realtà all’omesso esame di un fatto da parte del giudice di merito (nella specie cfr. pag. 41 del ricorso), omesso esame che deve avere carattere di decisività e attenere ad un fatto storico.
Nella fattispecie in esame, la pretesa decisività non sussiste perché le prestazioni attengono al periodo 2009, mentre la circostanza, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito, è documentata con riferimento all’anno 2004 (delibera di giunta n. 602 del 2004 e nota del 4/10/2004) e non sono indicate ulteriori circostanze tali da far ritenere che per il periodo in contestazione sopra indicato (2009) il metodo di pagamento fosse ancora operante (cfr. sul punto Cass Sez. 3 n. 32505/2019 cit., in motivazione pag. 22, ove questa Corte ha scrutinato analoga censura per un periodo temporale diverso).
9. Il ricorso va rigettato.
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Le spese vengono liquidate secondo il principio della soccombenza come da dispositivo e poste a carico della parte ricorrente in favore di quelle controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle parti controricorrenti, che liquida, in complessivi Euro 23.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge in favore della Azienda sanitaria controricorrente e in complessivi Euro 18.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge in favore della Regione controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile 8 gennaio