Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33371 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33371 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2734/2021 R.G. proposto da :
STUDIO MEDICO SPECIALISTICO RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 3468/2020 depositata il 08/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3468/2020, depositata il 14.07.2020, ha parzialmente accolto il gravame proposto dall’Azienda Unità Sanitaria Locale Roma 2 avverso l’ordinanza del 16.08.2017, con cui il Tribunale di Roma l’ aveva condannata al pagamento della somma di € 314.922,38 in favore dello RAGIONE_SOCIALE, corrispondente al valore monetario della decurtazione illegittimamente operata sulla tariffa prevista per la remunerazione delle prestazioni specialistiche erogate in regime di accreditamento nel periodo tra il gennaio 2010 e l’agosto 2013, oltre interessi ex d.lgs. 231/2002.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, se, per un verso, ha ribadito l’inapplicabilità al periodo oggetto di causa del c.d. sconto tariffario, previsto dall’art. 1 co. 796 L. 296/2006 limitatamente al triennio 2007-2009, per altro verso, ha ritenuto provato lo sforamento dei limiti di spesa assegnati dalla Regione per i quattro anni del periodo in parola. In particolare, la Corte di merito ha affermato che l’AUSL Roma 2 aveva adeguatamente assolto all’onere probatorio a suo carico, mediante la produzione della nota del 16.11.2016, redatta dall’AUSL Roma 2 ma erroneamente attribuita alla Regione, le cui risultanze contabili non erano state contestate dalla struttura sanitaria accreditata.
Di conseguenza, la Corte capitolina ha condannato l’AUSL Roma 2 al pagamento della minor somma di € 12.435,05, risultante dalla
sommatoria degli importi fatturati per le quattro annualità oggetto di causa e al lordo delle quote fisse già introitate dalle mani degli utenti.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo RAGIONE_SOCIALE affidandolo a tre motivi. L’Azienda Unità Sanitaria Locale Roma 2 ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la nullità della sentenza di appello ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale travisato l’effettiva portata della nota del 16.11.2016, che non avrebbe potuto costituire prova idonea a dimostrare lo sforamento del budget da parte dello Studio RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, sostiene il ricorrente che il giudice del gravame, attribuendo erroneamente la suddetta nota – indicante il budget assegnato alla struttura per l’anno di riferimento, le somme fatturate dalla struttura per quell’anno e gli importi dalla medesima incassati a titolo di quota fissa alla Regione Lazio e non all’AUSL Roma 2, è incorso in errore, poiché non si è avveduto del fatto che, trattandosi di un mero prospetto unilaterale (peraltro formato successivamente alla data di notifica del ricorso ex art. 702 bis c.p.c), in quanto atto proveniente da una parte, non poteva costituire prova idonea a dimostrare l’eccepito sforamento del budget, stante la mancata produzione di documentazione contabile comprovante l’effettiva entità dei pagamenti effettuati dal Servizio Sanitario Regionale in favore della struttura.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello nell’accogliere l’appello, con riguardo allo sforamento del budget assegnato dalla Regione, ha osservato che ‘….. A differenza di ciò che ha argomentato il Tribunale, infatti, è lecito ritenere che l’Azienda Sanitaria abbia convenientemente assolto all’onere probatorio a suo carico, attraverso la produzione della nota della Regione datata 16 novembre 2016, le cui risultanze contabili non sono state affatto contestate da controparte…..’.
Non vi è dubbio che dall’esame di tale passaggio argomentativo, emerga che la Corte d’Appello abbia inteso fondare la decisione su una doppia ratio decidendi , ben colta dalla stessa parte ricorrente, che ha svolto, sul punto, due autonomi motivi di ricorso.
In particolare, il giudice d’appello ha, in primo luogo, ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sulla Azienda Sanitaria con la produzione in giudizio della nota del 16.11.2016, asseritamente di provenienza della Regione Lazio, valorizzando quindi il valore probatorio di tale documento in quanto proveniente da un soggetto terzo.
La successiva affermazione secondo cui le risultanze contabili della stessa nota non erano state contestate rappresenta solo una seconda ratio decidendi , come se la Corte di merito avesse voluto dire, con riferimento alla nota asseritamente proveniente dalla Regione ‘….le cui risultanze non risultano, peraltro, affatto contestate…’.
Effettuata questa doverosa premessa, va osservato che l’errore che la Corte d’Appello ha incontestabilmente commesso nell’affermare la provenienza della nota dalla regione Lazio (ne dà atto lo stesso controricorrente nel proprio atto, ammettendo pacificamente la provenienza della predetta nota dall’ASL) rientra nella fattispecie dell’errore revocatorio, che, come tale, può essere fatto valere solo con il ricorso ex art. 395 n. 4 c.p.c..
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5792/2024 (vedi pagg. 32 ed anche 35, ove è formulato il principio
di diritto) hanno ben evidenziato che ricorre la situazione in cui il fatto probatorio asseritamente ‘travisato’ costituisca un punto controverso sul quale la sentenza (impugnata) ebbe a pronunciare -circostanza che esclude l’errore revocatorio -solo nell’ipotesi in cui il dedotto travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti. In sostanza, nel caso di specie, avrebbe dovuto verificarsi l’ipotesi in cui la stessa Azienda Sanitaria avesse prospettato la provenienza della nota in oggetto dalla Regione Lazio.
Il ragionamento delle Sezioni Unite è chiaro: si ‘ha punto controverso su cui la sentenza ebbe a pronunciare’, e quindi errore non percettivo -non riconducibile a quello revocatorio – se proprio una delle parti ha prospettato il dato probatorio travisato, perché, in tale eventualità, se il giudice accoglie la prospettazione (erronea) della parte nella lettura del dato probatorio, non si può più parlare di errore ‘percettivo’, ma solo ‘valutativo’ avendo il giudice provveduto alla ponderata valutazione delle posizioni espresse da entrambe le parti, accogliendone una -che è, come tale estraneo, alla revocazione.
Nel caso di specie, l’errore commesso dalla Corte d’Appello è incontestabilmente ‘percettivo’, come tale da far valere solo con il ricorso ex art. 395 n. 4 c.p.c., dato che – come evidenziato dallo stesso Studio Medico ricorrente a pag. 10 del ricorso – la stessa Azienda, in sede d’appello, aveva affermato la provenienza della – e non dalla Regione altro profilo. In sostanza, si è trattato di un errore spontaneamente commesso dalla Corte d’Appello, nonostante la provenienza del
‘certificazione’ in oggetto dall’ASL ritenendola comunque dotata di valore probatorio sotto documento fosse pacifica, e quindi ‘non controversa’ per le parti. Non rileva quindi, per ritenere sussistente ‘il punto controverso su cui la sentenza ebbe a pronunciare’ la circostanza che nei precedenti gradi del giudizio la nota del 16.11.2016 avesse formato
oggetto di contraddittorio tra le parti, se la discussione non ha investito il profilo specifico della provenienza del documento, che è solo quello su cui è caduto l’errore del giudice.
La dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. è quindi destituita di fondamento, in quanto le Sezioni Unite hanno ben spiegato che se si ammettesse la ricorribilità in cassazione in caso di travisamento della prova, si renderebbe l’art . 115 c.p.c. pervio ben oltre il significato ad esso riconosciuto (vedi S.U. n. 20867/2020), con la conseguenza che il giudizio di legittimità scivolerebbe verso un terzo grado di giudizio destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle ‘carte processuali’ (vedi pag. 26, S.U. n. 5792/2024).
In conclusione, non avendo la parte ricorrente fatto valere con lo strumento della revocazione l’errore ‘percettivo’ in cui è incorsa la Corte d’Appello in ordine alla provenienza della nota del 16.11.2015, il motivo è inammissibile.
Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..
In primo luogo, è stata censurata l’erronea applicazione del principio di non contestazione (la seconda ratio decidendi ), nella parte in cui la Corte d’Appello ha, altresì, valorizzato la mancata contestazione dei conteggi riportati nella nota del 16.11.2016, non considerando che l’onere di allegazione concerne le sole allegazioni e non anche le produzioni documentali.
La ricorrente si duole, inoltre, che la Corte territoriale lo ha erroneamente onerato della prova del superamento del tetto di spesa nonostante l’AUSL Roma 2 non avesse svolto una compiuta e formale eccezione di superamento del tetto di spesa.
Infine, la ricorrente si duole che il giudice di secondo grado posto ha erroneamente a base della decisione la nota del 16.11.2016, non considerando la mancata allegazione da parte dell’Azienda sanitaria dei mandati di pagamento in favore dello RAGIONE_SOCIALE
Colombo nonché la stessa erroneità dei conteggi contenuti nella nota del 16.11.2016, in quanto riferiti ad un unico budget annuale, atteso che la struttura accreditata era, invece, annualmente destinataria di due diversi budget.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
E’, in primo luogo, inammissibile la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. per violazione del principio di non contestazione.
Deve applicarsi, sul punto, la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui la declaratoria di inammissibilità della prima ratio decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (vedi Cass. n. 11493 del 11/05/2018).
Quanto alla censura secondo cui l’eccezione di superamento del budget non sarebbe mai stata formulata dall’ASL nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, tale censura è infondata.
La proposizione di un’eccezione non richiede l’impiego di formule sacramentali, ma è sufficiente qualsiasi deduzione e affermazione da cui emerga una manifestazione non equivoca della volontà di contrastare la pretesa di controparte (vedi Cass. 20147/2013; Cass. 10335/2014).
Nel caso di specie, dall’esame della comparsa di costituzione in primo grado dell’ASL emerge che l’Azienda Sanitaria si è opposta alla pretesa del centro medico evidenziando che il budget di spesa assegnato alla struttura accreditata per ciascuna annualità doveva comunque restare immutato, con la conseguenza che anche una eventuale declaratoria di illegittimità della scontistica applicata sarebbe stato inutiliter data, non potendo il budget essere sforato. L’ASL ha poi provveduto ad indicare per ciascuna annualità il
budget di spesa assegnata, evidenziando che in caso di sforamento, aveva emesso nota di credito a proprio favore.
Alla luce di tali considerazioni, appare indubitabile che l’eccezione di superamento del budget sia stata effettivamente formulata dall’Asl, seppur in via implicita, avendo l’Azienda manifestando in modo inequivoco la volontà di contrastare la pretesa del centro medico ricorrente di pagamento delle proprie prestazioni, sul rilievo dell’avvenuto superamento del budget.
Le altre censure del ricorrente riguardanti i mandati di pagamento e la dedotta erroneità dei conteggi sono inammissibili in quanto di merito, essendo finalizzati a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione delle prove rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello.
Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 sexies d.lgs. 502/1992, dell’art. 3 co. 6 del D.M. Sanità 15 aprile 1994, dell’art. 15 co. 15 d.l. 95/2012, dell’art. 8 co. 1 lett. b) e d) e co. 3 L. 42/2009, dell’art. 1 co. 1 -bis L. 241/1990 e degli artt. 1337, 1338 e 1218 c.c.
Sostiene il ricorrente che la Corte di Appello avrebbe errato nell’applicazione delle norme relative alla determinazione del budget e delle tariffe e delle disposizioni civilistiche in materia contrattuale, atteso che, accertata l’illegittimità della condotta dell’AUSL Roma 2 in relazione all’applicazione dello sconto oltre il triennio 2007-2009 e la conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, l’Azienda Sanitaria non avrebbe potuto opporre a tutela della propria posizione un elemento eterodeterminato rispetto al contratto, come lo sforamento dei limiti di spesa assegnati dalla Regione.
In sostanza, l’alterazione da parte dell’ASL del sinallagma contrattuale con la condotta illegittima di applicazione della scontistica aveva determinato l’inopponibilità alla struttura accreditata del tetto di spesa.
6. Il motivo è infondato.
Questa Corte, nell’ordinanza n. 19588/2024, ha già affermato che l’illegittima applicazione dello sconto tariffario per le prestazioni successive al 2009, come da giurisprudenza costante di questa Corte, non consente comunque lo sforamento del budget, atteso che il tetto di spesa, espresso in cifra fissa (sia pur conteggiata a suo tempo con riferimento a valori unitari illegittimamente scontati) resta insuperabile.
Nel caso esaminato dall’ordinanza n. 19588/2024, la parte ricorrente aveva dedotto che venendo il budget individuato mediante la moltiplicazione del fabbisogno di prestazioni con la tariffa individuata per l’erogazione della prestazione, l’applicazione della tariffa ‘non scontata’ avrebbe dovuto comportare automaticamente la caducazione del tetto di spesa individuato sulla base della tariffa ritenuta illegittima (cambiando uno dei fattori della moltiplicazione non può non cambiare anche il prodotto, cioè il budget) e ciò sul rilievo che quando le norme di legge prevedono un ‘volume massimo’ si riferiscono alle prestazioni, non al budget, che è un posteriori del sistema e non un apriori, essendo l’apriori il fabbisogno di salute che il Sistema Sanitario Nazionale è chiamato istituzionalmente a soddisfare.
L’ordinanza n. 19588/2024 non ha condiviso tale impostazione, così come questo Collegio ritiene erronea l’affermazione della odierna ricorrente secondo cui l’illegittima applicazione della scontistica, da parte dell’Azienda Sanitaria, avrebbe determinato l’inopponibilità alla struttura accreditata del tetto di spesa.
Va osservato, in proposito, che, come evidenziato più volte da questa Corte, se è pur vero che deve essere garantito il diritto dei cittadini alla salute ed alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, tuttavia, tale diritto deve essere contemperato con altre esigenze di rilevanza pubblicistica, come l’esigenza di contenimento della spesa pubblica e di controllo della spesa sanitaria. Ed è
proprio per la salvaguardia di tali esigenze che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile (cfr. Cass. 13884/2020). Nella stessa prospettiva, l’art. 8 quinquies comma 1° lett. e bis) d.lgs 229/1999 ha disposto che le Regioni definiscono ‘la modalità con cui viene comunque garantito il rispetto del limite di remunerazione delle strutture correlato ai volumi di prestazioni, concordato ai sensi della lettera d), prevedendo che in caso di incremento a seguito di modificazioni, comunque intervenute nel corso dell’anno, dei valori unitari dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera, delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, nonché delle altre prestazioni comunque remunerate a tariffa, il volume massimo di prestazioni remunerate, di cui alla lettera b), si intende rideterminato nella misura necessaria al mantenimento dei limiti indicati alla lettera d), fatta salva la possibile stipula di accordi integrativi, nel rispetto dell’equilibrio economico finanziario programmato…’. In sostanza, è stato previsto l’inserimento, negli accordi con cui è fissato il budget di spesa, di una clausola che ridetermini automaticamente il volume delle prestazioni erogabili dalla struttura accreditata, laddove nel corso dell’anno le tariffe per tali prestazioni siano variate in aumento, in modo tale da rendere il numero delle prestazioni compatibile con il tetto di spesa assegnato alla struttura di riferimento. Ne consegue che, nel caso di specie, proprio in virtù del principio della ineludibilità del tetto di spesa, come declinato dalla norma sopra menzionata, l’aumento della tariffa non avrebbe in alcun modo determinato un aumento del budget a disposizione della struttura, ma solo una riduzione delle prestazioni erogate remunerabili, con la conseguenza che le conclusioni cui è addivenuta la Corte d’Appello sono del tutto corrette.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1 quater, del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 7.11.2024