Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27465 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27465 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 1106/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso RAGIONE_SOCIALE;
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta mandato agli atti, dall’AVV_NOTAIO, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, sito in INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1005/2021 depositata l’1/6/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/9/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
La società RAGIONE_SOCIALE chiedeva emettersi decreto ingiuntivo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per il pagamento delle prestazioni «essenziali», di natura oncologica, rese in favore dei cittadini iscritti al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dal mese di settembre 2011 al dicembre 2011, per la somma complessiva di euro 445.563,94.
Proponeva atto di citazione in opposizione la RAGIONE_SOCIALE, deducendo l’avvenuto superamento del tetto di spesa assegnato alla società pari ad euro 1.122.809,19, a fronte di prestazioni erogate per la somma di euro 1.568.373,13.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 493/2015 rigettava l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, segnalava, con riferimento a diverso arco temporale (2007 e 2008), altra pronuncia del Tribunale che si era già pronunciata in modo sfavorevole all’RAGIONE_SOCIALE («in tale giudizio con riferimento alla somma di euro 210.037,14 in aggiunta a saldo delle prestazioni specialistiche essenziali erogate a far data dal mese di agosto 2007 sino a dicembre 2007, la RAGIONE_SOCIALE, come si evince dall’atto di citazione in opposizione notificato il 20/1/2009 in atti, non ha formulato alcuna contestazione ed anzi ha dichiarato che ‘in ragione della loro urgenza ed indifferibilità, la struttura erogante è tenuta in ogni caso a fornire in deroga al tetto di spesa assegnato’»).
Proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE evidenziando, in particolare, che, per l’anno 2011, il rapporto era disciplinato da un contratto fondato su diversi presupposti legislativi e negoziali.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 1005/2021, accoglieva l’appello, revocando il decreto ingiuntivo, e condannando la società a restituire all’RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 508.049,44.
5.1. La Corte territoriale reputava infondata l’eccezione di inammissibilità dell’atto d’appello, per asserita inesistenza della sua notifica.
Effettivamente la RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato la notifica dell’appello alla RAGIONE_SOCIALE, ai sensi della legge n. 53 del 1994, inviando, però, il messaggio in via telematica dall’indirizzo di posta elettronica certificata del proprio difensore, AVV_NOTAIO, all’indirizzo di posta ordinaria del difensore costituito per la RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado, AVV_NOTAIO.
Successivamente era stata effettuata una seconda notifica, questa volta però inviata all’indirizzo di posta elettronica certificata dello AVV_NOTAIO, trasmessa dall’indirizzo pec dell’AVV_NOTAIO.
Doveva però tenersi conto della prima notifica dell’atto d’appello, in quanto «nella comparsa di costituzione la COGNOME non ha contestato di averla ricevuta, ma ha evidenziato di averla ricevuta in una casella non certificata».
Non si trattava poi di inesistenza della notifica, ma esclusivamente di nullità della stessa, avendo del resto la consegna telematica raggiunto il proprio scopo legale, ex art. 156, terzo comma, c.p.c.
La RAGIONE_SOCIALE, infatti, si era costituita in appello, controdeducendo nel merito.
5.2. Quanto al merito, l’appello era fondato.
Non potevano essere erogate le prestazioni al di fuori del tetto di spesa annuale.
Del resto, la società accreditata avrebbe potuto rifiutare le prestazioni.
Nessuna deroga era consentita, «nemmeno per le prestazioni indifferibili ed urgenti», quali quelle oncologiche.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) dell’art. 137 seguenti, 83 c.p.c. e degli articoli 1 e 3-bis della legge n. 53/1994, dall’art. 16, comma 6, ultima parte, e 16sexies del decreto-legge n. 179/2012, nonché dell’art. 111 della Costituzione, in relazione al principio del giusto processo e di strumentalità delle forme degli atti processuali».
In particolare, avrebbe errato la Corte d’appello nel ritenere trasmesso l’appello da parte dell’RAGIONE_SOCIALE a mezzo posta certificata all’indirizzo di posta ordinaria del difensore costituito per la RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado, in luogo dell’indirizzo di posta elettronica certificata del medesimo legale (EMAIL), reputando prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e, quindi, il raggiungimento dello scopo legale.
La notifica a mezzo pec effettuata ad un semplice indirizzo email, e non alla pec comunicata al Ministero ed è inserita nel REGINDE sarebbe inesistente.
Il motivo è infondato.
Risulta pacificamente in atti che l’appellante RAGIONE_SOCIALE ha notificato il gravame nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE dall’indirizzo di posta
elettronica certificata del proprio difensore in primo grado ( ) all’indirizzo di posta ordinaria delle difensore costituito per la RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado, AVV_NOTAIO
NOME COGNOME ( ).
Altrettanto pacificamente risulta che la società RAGIONE_SOCIALE si è costituita nel giudizio d’appello tempestivamente.
Pertanto, trova applicazione la giurisprudenza di questa Corte per cui la notificazione dell’appello eseguita presso la casella e-mail ordinaria è nulla, ma non inesistente (Cass., sez. L, 31/5/2023, n. 15345; Cass., 17/10/2019, n. 26430).
Per questa Corte, a Sezioni Unite, l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è infatti configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege , eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass., Sez. U, n. 14916/2016).
Si è dunque chiarito che, in tema di notificazione telematica, l’invio presso una casella di posta ordinaria è certamente tale da incidere sulla capacità comunicativa dell’atto, «ma ciò non significa che sia mancata una fase di consegna, di cui sono incerti gli esiti comunicativi ultimi , ma che non può essere assimilato al caso della mera restituzione al mittente» (Cass., n. 15345 del 2023).
Si è pertanto concluso nel senso che, in caso di invio della notificazione con modalità telematiche ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 da una casella pec ad una casella di posta elettronica ordinaria del destinatario, la notifica, in presenza di ricevuta di accettazione, è nulla e non inesistente, non potendosi presumere salvo prova contraria – la totale assenza di un inoltro telematico di dati presso il destinatario, di cui restano solo incerti gli esiti e dovendosi quindi ritenere sussistente una fase di consegna, seppure non vi sia prova del perfezionamento della notificazione e dunque l’atto non sia in sé idoneo a raggiungere gli effetti sui propri (Cass, n. 15345 del 2023).
Nella specie, come dedotto, la società appellata si è costituita nel giudizio di gravame, sicché l’atto processuale ha comunque raggiunto il suo scopo ex art. 156, 3º comma, c.p.c.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., delle norme recate dagli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. e dall’art. 2697 c.c., dagli articoli 2, 32 e 97 della Costituzione, in relazione alla tutela del diritto alla salute come diritto fondamentale declinato in relazione al principio di correttezza ed affidamento, alla certezza del diritto nei rapporti giuridici ed al principio di efficienza della PA in relazione agli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990, nonché delle norme recate dall’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502/1992, nonché in relazione agli
articoli 1175, 1176 e 1375 c.c., avendo la RAGIONE_SOCIALE ha posto in essere una condotta riconducibile ad ipotesi di abuso del diritto».
In particolare, i tetti di spesa non dovrebbero avere valore «a fronte di prestazioni c.d. essenziali regolarmente eseguite ed erogate».
Inoltre, sarebbe erronea l’applicazione retroattiva per l’anno 2011 della delibera n. 846 del 11/5/2012, in quanto il contenuto della delibera non è stato mai concretizzato in una proposta contrattuale di cui all’art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, non essendo stato mai «contrattualmente e consensualmente fissato un tetto insuperabile per le prestazioni erogate per l’anno 2011».
Ad avviso della ricorrente, sarebbe stato onere della RAGIONE_SOCIALE dimostrare che le parti avevano contrattualmente stabilito un tetto insuperabile alle prestazioni erogate dalla RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2011. Del resto, con riferimento alle patologie oncologiche, dovevano essere applicati i principi richiamati nelle sentenze n. 632/2012, del 14/2/ 2012, e n. 2623/2013 del 22/8/2013, passate in giudicato e richiamate nella sentenza di primo grado n. 493 del 2015, «in considerazione dell’impossibilità delle strutture pubbliche di erogare, nel rispetto dei tempi stabiliti dai LEA, prestazioni, appunto, essenziali».
La RAGIONE_SOCIALE avrebbe adottato dunque un «unilaterale provvedimento amministrativo di definizione retroattiva del tetto di spesa», mai recepito in un accordo contrattuale.
Peraltro, mai nessuna comunicazione di un limite di spesa vincolante era stata mai effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE durante l’annualità in contestazione (anno 2011).
Tra l’altro, come emergeva nella stessa delibera n. 846 dell’11/5/ 2012, il Tar Puglia, con sentenza n. 916 del 16/6/2011, aveva annullato la delibera di giunta regionale n. 1500 del 25/6/2010, facendo venir meno i criteri di ripartizione del fondo unico da destinare
alla remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate in regime ambulatoriale dalle strutture accreditate, rendendo di fatto impossibile la determinazione dei tetti di spesa per l’anno 2010-2011.
La ricorrente ammette che la sentenza del Tar Puglia n. 916 del 16/6/2011 è stata riformata con la sentenza del Consiglio di RAGIONE_SOCIALE numeri 921-922-923 e 924 del 21/2/2012, osservando tuttavia che, nel corso del 2011, la Pubblica Amministrazione non avrebbe mai stabilito alcun tetto di spesa sicché, per effetto delle decisioni del Tar, da tempo valide ed efficaci, la disciplina di riferimento era quella previgente al DGR n. 1500 del 2010.
Si consentiva allora il pagamento delle prestazioni, anche extra budget , «qualora si trattasse di prestazioni essenziali».
Il tetto di spesa successivamente stabilito nel maggio 2012 dalla RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’anno 2011 per la ricorrente, «appare francamente irrilevante, atteso che tale tetto non è mai stato proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, né da questa contrattualmente accettato».
Il tetto di spesa per l’anno 2011 non poteva essere individuato unilateralmente ed in via retroattiva nell’anno 2012, essendo necessario un accordo tra le parti.
Per la ricorrente, poi, si sarebbe realizzata l’ipotesi di lesione del legittimo affidamento, e dunque un vero e proprio abuso del diritto.
4. Il motivo è infondato.
4.1. Anzitutto, si evidenzia l’irrilevanza del giudicato formatosi tra le parti, in relazione alle prestazioni rese nel 2007 e nel 2008, come da sentenze del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE emesse, rispettivamente, il 14/2/2012 (depositata il 21/2/2012) e l’11/9/2013. Solo per la sentenza n. 632 del 21/2/2012, risulta l’attestazione del passaggio in giudicato della stessa.
In realtà, quanto alla non applicabilità dei tetti di spesa, per l’anno 2007, in relazione alle prestazioni indispensabili, quali quelle
oncologiche, la motivazione della sentenza n. 632 del 2012 si fonda sulla circostanza che «la stessa parte opponente con riferimento alle prestazioni ‘essenziali’ dà atto che ‘in ragione della loro urgenza ed indifferibilità la struttura erogante è tenuta in ogni caso a fornirle in deroga al tetto di spesa assegnato”».
La medesima affermazione è riportata anche nella sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 2623 dell’11/9/2013, in relazione alle prestazioni rese nell’anno 2008 («come si evince dall’atto di citazione in opposizione notificato il 20/1/2009 in atti, non ha formulato alcuna contestazione ed anzi ha dichiarato che (in ragione della loro urgenza ed indifferibilità, la struttura erogante è tenuto in ogni caso a fornirle in deroga al tetto di spesa assegnato). Il suddetto giudizio è stato definito con la sentenza n. 632/12 del 14/2/2012, non appellata e quindi passata in giudicato che ha rigettato l’opposizione confermando integralmente il decreto ingiuntivo. Detta sentenza non è stata impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE sicché in data 9/7/2012 è stato attestato il suo passaggio in giudicato dalla Cancelleria del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE»).
Tuttavia, per questa Corte, in tema di prestazioni sanitarie in regime di accreditamento non si è in presenza di obbligazioni periodiche o di durata, ma di un contratto annuale unitario, in cui le prestazioni vengono erogate dalle strutture accreditate, in via provvisoria o definitiva, rispettando il tetto di spesa e il budget di ciascuna macro area, che viene peraltro determinato attraverso monitoraggi periodici, onde consentire a ciascuna struttura di non effettuare prestazioni che poi non saranno rimborsate, attraverso un sistema di pagamento che prevede un acconto e saldo, sulla scorta delle fatture emesse dalle singole società. Non si tratta, allora, di obbligazioni periodiche o di durata, trovando applicazione, nell’ambito di un unico rapporto contrattuale, retto da un unico contratto scritto, i principi
del giudicato esterno, in relazione ai presupposti logico-giuridici che sorreggono la decisione divenuta irrevocabile (Cass., sez. 1, 17/6/ 2025, n 16224).
Nella specie, però, trattasi di contratti diversi, stipulati sulla base di presupposti diversi, come di differenti delibere della PA determinativa dei tetti di spesa, sicché il giudicato relativo ad una annualità non può estendere i propri effetti ad altra e diversa annualità. Tra l’altro, sulla base di una semplice affermazione della RAGIONE_SOCIALE contenuta negli atti processuali.
4.2. Va poi osservato che il tetto di spesa, che ha pacificamente natura retroattiva, è stato adottato per l’anno 2011, con delibera del direttore generale n. 846 del 11/5/2012.
Tale delibera ha efficacia anche per le prestazioni oncologiche, nonostante la essenzialità delle stesse.
In essa si dà atto che il precedente provvedimento n. 1500 del 25/6/2010, che aveva modificato e integrato la deliberazione n. 2671 del 2009, è stato dapprima annullato dal Tar Puglia di RAGIONE_SOCIALE n. 908 del 2011, ma poi il Consiglio di RAGIONE_SOCIALE con le sentenze numeri 921-922923 e 924 del 21/2/2012 ha annullato la sentenza del Tar Puglia, confermando la validità dei criteri di distribuzione dei tetti di spesa stabiliti dalla delibera n. 1500 del 2010.
Ed infatti, con la sentenza n. 921/2012, il Consiglio di RAGIONE_SOCIALE ha riformato la sentenza del Tar Puglia n. 908 del 15/6/2011.
Il Tar di RAGIONE_SOCIALE, infatti, aveva annullato la delibera n. 1500/2010, relativamente ai tetti di spesa, anche in ordine alla prevista retroattività del nuovo sistema.
Per il Consiglio di RAGIONE_SOCIALE, invece, nessuno degli argomenti esposti dal Tar era condivisibile.
Era stato assicurato il contraddittorio con gli operatori interessati attraverso appositi tavoli di confronto. Non emergeva il difetto di istruttoria e neppure quello di motivazione.
Del resto, il provvedimento di fissazione del budget non richiedeva l’assenso degli interessati, stante la sua natura autoritativa.
Non era irragionevole neppure il criterio adottato dalla Regione, teso a valorizzare l’ambito territoriale costituito dal distretto.
Inoltre, l’assegnazione del fondo poteva avvenire anche attraverso un punteggio conseguito tramite griglia di valutazione predisposte dalla regione, idoneo a far attribuire un maggior livello di remunerazione a soggetto che si dimostrasse maggiormente capace.
Non vi era stata violazione dell’affidamento stante la prevista retroattività dei nuovi criteri, come stabilito dalla giustizia amministrativa.
Quanto ai tetti di spesa, prevede l’art. 12 del d.lgs. 30/12/ 1992, n. 502 (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) che « il fondo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è ripartito con riferimento al triennio successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, dal CIPE la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici ».
L’art. 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che « le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il fondo RAGIONE_SOCIALE e i preventivi annuali delle
prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 ».
L’art. 39 (Ripartizione del fondo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) del d.lgs. 15/12/1997, n. 446 prevede poi che « Il CIPE su proposta del Ministro della Sanità, d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE, delibera annualmente l’assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, delle quote del fondo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di parte corrente ».
7. Questa Corte, con plurime decisioni, ha affermato che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il RAGIONE_SOCIALE può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass., sez. 3, 29/10/2019, n. 27608; che richiama Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. III, 10/2/2016, n. 566; Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. III, 10/4/2015, n. 1832; poi Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; di recente Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Si è affermato che, alla base di tali conclusioni, si collocano stringenti indirizzi normativi (art. 32, comma 8, legge 27/12/1997, n. 449; art. 12, comma 3, d.lgs. 23/12/1992, n. 502; art. 39 del d.lgs. 15/12/1997, n. 446) in base ai quali, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema RAGIONE_SOCIALE non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario, attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema (Cass. n. 31364 del 2024).
7.1. Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, in quanto deve bilanciare interessi diversi e per certi aspetti contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono in base ad una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico (Cass., sez. 3, n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Inoltre, si è precisato che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici. Vi è dunque la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dei soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari organizzativi (Cass. n. 27608 del 2019; poi anche Cass. n. 13884 del 2020; Cass. n. 31364 del 2024).
7.2. Con l’ulteriore chiarimento per cui, stante il carattere recessivo degli atti concordati convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; ciò costituisce un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’RAGIONE_SOCIALE di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cass., n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
Pertanto, in caso di superamento del tetto di spesa la remunerazione risulta inesigibile, dovendosi giudicare corretta la condotta della RAGIONE_SOCIALE, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la RAGIONE_SOCIALE e la regione non avrebbero potuto sottrarsi (Cass. n. 27608 del 2019; Cass. n. 31364 del 2024).
7.3. Del resto, alla struttura accreditata viene data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Al contrario, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. III, 7/1/2014, n. 2; Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. V, 30/4/2003, n. 2253; entrambe richiamate in motivazione nella sentenza di questa Corte n. 27608 del 2019; anche Cass. n. 31364 del 2024).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla RAGIONE_SOCIALE la dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del
tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; Cass., 6/12/2024, n. 31364).
7.4. Nessun rilievo può essere conferito al principio di affidamento, perché quello della regressione tariffaria è un meccanismo convenzionalmente accettato dalle strutture sanitarie che operano nell’ambito del sistema RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, a prescindere dalle modalità esecutive del monitoraggio suscettibile di essere demandato ad eventuali tavoli tecnici (Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche precisato che la circostanza che la delibera con cui si accerta il superamento del tetto di spesa sia comunicata o meno «non possiede alcuna incidenza sul profilo del pagamento della prestazione, proprio perché l’elemento impeditivo della remunerazione è integrato dal semplice fatto del superamento dei livelli di spesa» (Cass. n. 4375 del 2023; Cass. n. 31364 del 2024).
Si è anche osservato che vale il principio per cui l’esercizio del potere di fissare la regressione tariffaria, al fine di osservare i limiti di spesa, non è subordinato o condizionato all’esecuzione del monitoraggio delle prestazioni erogate, né al ritardo o imprecisione nell’adempimento all’obbligo di eseguire i controlli per il tramite dei tavoli tecnici perché essi sono organi di fonte contrattuale a cui partecipano pure i rappresentanti aziendali e delle associazioni di categoria più rappresentative (Cons. RAGIONE_SOCIALE., n. 207 del 2016; richiamata da Cass. n. 4375 del 2023; Cass n. 31364 del 2024).
Non rileva, dunque, la tardività del monitoraggio né quella relativa all’attività imputabile al RAGIONE_SOCIALE.
A queste considerazioni deve aggiungersi che fisiologicamente l’individuazione dei tetti di spesa giunge successivamente all’esercizio in corso ed anche dopo la stipulazione del contratto costituendo una sorta di rischio di impresa per le società.
Di qui, dunque, la precisazione per cui i tetti di spesa possono giungere anche successivamente rispetto alla stipulazione del contratto.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. RAGIONE_SOCIALE, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
La prassi sopra menzionata attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
In tal senso, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, si è pronunciata su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
10. Del resto, i tetti di spesa possono anche essere individuati a distanza di tempo dal momento in cui le prestazioni sanitarie vengono rese dalle società accreditate.
Il recente indirizzo giurisprudenziale amministrativo è nel senso che è legittimo un controllo (con rideterminazione del fatturato ammesso a remunerazione) effettuato anche in tempi non strettamente prossimi all’anno oggetto della disposta regressione, purché possa considerarsi esercitato in tempi ragionevoli (Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. VI, 4/6/2024, n. 5010; Cons. RAGIONE_SOCIALE, sez. III, 22/1/2016, n. 207; Cons. RAGIONE_SOCIALE, 16/1/2013, n. 248).
11. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dell’attrice e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 8.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME