Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22957 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22957 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 5102/2023 r.g. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE NAPOLI 1 CENTRO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 3739/2022, depositata il 13/7/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. depositato il 16/5/2018 la società RAGIONE_SOCIALE premetteva: di essere un centro accreditato per lo svolgimento di prestazioni sanitarie di laboratorio ai sensi del d.lgs. n. 502 del 1992 in favore degli assistiti dell’Asl Napoli 1 Centro; di aver fornito, in forza di regolare contratto del 29/12/2014 stipulato tra le parti ex art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, nell’anno 2014, le prestazioni richieste; di aver maturato nei confronti della Asl, per il periodo dal 24/9/2014 al 30/9/2014, l’importo di euro 8664,73; di avere ricevuto in data 10/9/2014 dalla Asl la comunicazione via pec, prevista dall’art. 5, comma 3, n. 2, del contratto, in cui si prevedeva il raggiungimento del tetto di spesa annuale della macro area di laboratorio per il 30/9/2014; di avere richiesto inutilmente all’ente debitore, con l’emissione della fattura n. 2E del 29/1/ 2018, il pagamento dell’importo maturato per prestazioni erogate, che rientravano nella Capacità Operativa Massima (COM).
La società chiedeva anche gli interessi moratori previsti dall’art. 7 del contratto per le prestazioni sanitarie erogate tra il 24/9/2014 ed il 30/9/2014.
Si costituiva in giudizio la Asl Napoli 1 Centro deducendo: l’assenza di prova, a carico della società ricorrente, del mancato superamento del tetto di spesa alla data del 24/9/2014; la fissazione da parte della Asl, con la delibera n. 751 dell’8/5/2015, della Regressione tariffaria unica (RTU) dell’anno 2014 per la branca di laboratorio, che coincideva con l’entità delle prestazioni rese dalla società
«oltre la data di sforamento fissata al 24 settembre 2014»; l’ineludibilità del rispetto dei tetti massimi di spesa; la non debenza degli interessi moratori pretesi per assenza di rituale costituzione in mora.
Il Tribunale di Napoli con l’ordinanza del 17/12/2019 accoglieva il ricorso, condannando la Asl al pagamento in favore della società ricorrente dell’importo di euro 8.364,73.
La Asl aveva violato l’art. 5, comma 3, lettera a) del contratto vigente tra le parti, a mente del quale «qualora l’esaurimento del limite di spesa si fosse verificato a consuntivo prima della data prevista dall’ultima comunicazione dell’Asl, a tutte le prestazioni di quell’Asl/branca erogate dall’inizio dell’anno sino alla suddetta data prevista di esaurimento del limite di spesa si sarebbe applicata la regressione tariffaria di cui all’allegato C) alla DGRC n. 1268/08».
La resistente Asl, invece, anziché provvedere alla determinazione della RTU in base alle modalità ed ai criteri di cui alla citata delibera n. 1262 del 2008, riducendo le remunerazioni per le prestazioni rese in eccedenza entro la percentuale con cui il centro aveva concorso al superamento del tetto di spesa, con delibera n. 751 dell’8/5/2015, nell’accertare il superamento del limite di spesa in data anteriore a quella comunicata, ovvero in data 24/9/2014 (rispetto a quella comunicata del 30 settembre 2014), «si era limitata ad escludere sic et simpliciter il pagamento delle somme corrispondenti al corrispettivo di tutte le prestazioni rese dal centro nel periodo intercorrente tra la data di superamento del tetto di spesa, a consuntivo, e la data comunicata inizialmente dall’Asl di presumibile sforamento del tetto di spesa».
Avverso tale ordinanza la Asl proponeva appello, deducendo che, in realtà, l’art. 5, comma 3, lettera a) del contratto era stato applicato, attraverso la delibera n. 751 dell’8/5/2015, «in cui la Asl decideva di far coincidere, per l’anno 2014, l’importo della RTU con
quello delle prestazioni rese dal centro oltre la data di sforamento fissata al 24/9/2014».
Per l’appellante, infatti, il tetto di spesa rappresentava un limite invalicabile da rispettare, sicché non contemplava alcuna decadenza dal potere di accertamento, anche postumo e con effetto retroattivo, della regressione tariffaria.
Con sentenza n. 3290/2022 del 13/7/2022 la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame.
L’appellante sosteneva che la delibera n. 751 dell’8/5/2015, che faceva coincidere per l’anno 2014 l’importo della RTU con quello delle prestazioni sanitarie rese dai centri accreditati oltre la data di sforamento del 24/9/2014, «per quanto non perfettamente conforme al modello previsto dall’art. 5, comma 3 lettera a) del contratto in essere tra le parti per l’ipotesi in cui lo sforamento del budget sanitario si fosse verificato in epoca anteriore alla data comunicata dall’Asl come quella di presumibile sforamento», fosse perfettamente legittima, anche perché non impugnata dinanzi al giudice competente.
Tale tesi era ritenuta infondata dalla Corte territoriale.
La Asl aveva prodotto in giudizio una proposta di regressione tariffaria ed una successiva delibera del direttore generale dell’Asl a Napoli che si limitava «a ritenere non retribuibili a carico del SSR le prestazioni erogate da ogni struttura provvisoriamente accreditata oltre le date di esaurimento del tetto di spesa assegnato dalla Regione all’Asl per ogni singola branca per l’anno 2014 e, in particolare, «per la branca di laboratorio di analisi oltre il 24 settembre 2014».
L’applicazione di tale modalità di rientro dell’ extra budget nei limiti prefissati di spesa, «oltre a non essere prevista nel contratto stipulato tra le parti in data 29 dicembre 2014 – che, al contrario, stabiliva per l’ipotesi in esame (di superamento del tetto di spesa a consuntivo in epoca antecedente rispetto a quella comunicato dalla
Asl) l’applicazione della RTU secondo le modalità di cui all’allegato C della DGRC 1268/08, che prevedeva l’individuazione dell’apporto di ciascun centro dell’Asl al superamento del tetto di spesa (in relazione ai consuntivi di tutti i centri che operavano nell’ASL di riferimento) ed il conseguente proporzionale contributo del medesimo a tale sforamento, di modo che, nella medesima misura andavano ridotti i corrispettivi per le prestazioni effettuate – neppure può essere modificata dalla Asl con provvedimenti unilaterali adottati ex post e che non tengono in considerazione la diversità di apporti di altri centri a tale sforamento».
A nulla rilevava la mancata impugnazione dinanzi al giudice amministrativo della delibera di fissazione della RTU n. 751 del 2015, in quanto nel caso in esame si discuteva della sola determinazione del compenso per le prestazioni erogate in conformità al contratto stipulato, che stabiliva modalità diverse di fissazione della RTU.
Era invece inammissibile l’altra censura dell’Asl che si doleva dell’applicabilità al rapporto in esame degli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2000.
In realtà, ai sensi dell’art. 7 del contratto del 29/12/2014, le parti avevano stabilito di regolare gli interessi in base a quanto previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente denuncia la «nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 115,
116, 132, 2º comma, n. 4, c.p.c., e 118 disposizioni di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., avendo la Corte di appello di Napoli, con motivazione illogica, contraddittoria ed erronea, ritenuto infondato l’appello dell’Asl Napoli 1 Centro. Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 8quinquies , 8sexies e 8octies del d.lgs. n. 502/1992, nonché degli articoli 5, comma 3, e 7, comma 2, del contratto relativo all’annualità 2014 sottoscritto tra le parti il 29 dicembre 2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo la Corte di appello di Napoli ritenuto erroneamente che la Asl a Napoli 1 Centro non aveva rispettato il procedimento previsto per il recupero delle somme fatturate in eccedenza».
Sarebbe evidente l’errore della Corte d’appello, la quale ha ritenuto che, nel caso in esame, si applicasse la prima ipotesi del procedimento previsto dall’art. 5, comma 3, lettera a) del contratto sottoscritto dalle parti il 29 dicembre 2014.
Si prevedeva l’applicazione della regressione tariffaria per le prestazioni rese prima della data di esaurimento del limite di spesa che, nell’aprile 2014, era stata definita dal tavolo tecnico al 24/9/2014.
Il Tribunale, però, avrebbe omesso di considerare che le prestazioni in oggetto erano state erogate nel periodo dal 24/9/2014 al 30/9/2014, e fatturate nel mese di gennaio 2015, quindi, «dopo la predetta data di esaurimento del limite di spesa»; con la conseguenza che la Asl «non doveva applicare la regressione tariffaria, ma doveva solo comunicare al centro lo sforamento, in quanto, come previsto dalla seconda parte della lettera a) del comma 3 dell’art. 5 del contratto in esame, ‘nulla spetterà agli erogatori, né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo o di risarcimento, per le prestazioni sanitarie rese oltre la data prevista di esaurimento del limite di spesa».
L’ulteriore errore commesso dalla Corte d’appello sarebbe stato quello di avere ritenuto non rispettato dalla Asl il procedimento di recupero delle somme fatturate in esubero, «nonostante abbia provato il superamento dei limiti di spesa per l’annualità di cui si discute e depositato anche gli esiti del tavolo tecnico, per il solo fatto che l’Asl avrebbe adottato un procedimento diverso da quello previsto nel contratto stipulato tra le parti».
Per la ricorrente non si comprende quale riferimento normativo obblighi la Asl ad adottare «una deliberazione di accertamento della regressione tariffaria, in quanto l’allegato C alla DGRC n. 1268/2008 (richiamato anche nella sentenza impugnata) nulla prevede al riguardo «limitandosi a illustrare il significato della regressione tariffaria unica e la procedura che il tavolo tecnico (e non all’Asl) deve eseguire per calcolarla».
Tale onere in capo alla Asl non sarebbe previsto da alcuna norma di legge, e neppure dal contratto.
La Asl non avrebbe alcun onere di deliberare l’accertamento della regressione tariffaria, dovendosi limitare a comunicare al centro lo sforamento del tetto di spesa, chiedendo l’emissione della nota di credito per la fatturazione in esubero. In mancanza di tale riscontro da parte della struttura privata accreditata, l’ASL dovrebbe procedere con la nota di addebito.
Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe considerato che l’ASL, prendendo atto degli esiti del tavolo tecnico intervenuto nel 2015, con la delibera n. 751 dell’8 maggio 2015, ha determinato la regressione tariffaria per la branca laboratorio «facendo coincidere per tale anno l’importo della stessa con quello delle prestazioni rese oltre la data di sforamento fissata per il 24 settembre 2014».
Con tale delibera si è stabilito di «non retribuire a carico del SSR le prestazioni erogate oltre la data prevista di esaurimento del tetto
di spesa fissato per la branca laboratorio per il 24 settembre 2014 e si fa coincidere l’importo della regressione tariffaria con quello delle prestazioni rese oltre la predetta data di sforamento».
Chiosa la ricorrente affermando che «i tetti di spesa sono previsti da atti aventi contenuto normativo inderogabile e, dall’altro, sono stati tutti prodotti all’azienda, fermo restando che controparte aveva l’onere di dimostrare di non aver superato i tetti di spesa e gli esiti del tavolo tecnico di composizione mista, necessari per la determinazione della regressione tariffaria unitaria».
La società avrebbe ammesso il superamento del tetto di spesa.
Per la ricorrente «la dimostrazione di tale fatto negativo doveva essere fornita dal centro poiché fatto costitutivo del diritto vantato».
Il motivo è infondato.
2.1. La motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo in senso grafico, ma anche nell’enunciazione delle argomentazioni logiche e giuridiche, sottese alla decisione adottata.
Non v’è stata poi alcuna violazione della normativa specifica di riferimento, di cui agli articoli 8quinquies , 8sexies e 8octies del d.lgs. n. 502 del 1992, e neppure degli articoli 5, comma 3, e 7, comma 2, del contratto relativo all’anno 2014 sottoscritto dalle parti 29/12/2014.
Neppure v’è stata violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, in quanto, come si dirà in seguito, è onere della Asl dimostrare l’esistenza del fatto estintivo del credito vantato dalla società che effettua le prestazioni, e quindi del superamento dei limiti relativi al tetto di spesa fissati annualmente.
La questione orbita essenzialmente sull’individuazione del soggetto cui è attribuito l’onere di dimostrare il superamento dei tetti di spesa fissati dalla regione (Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
5. L’art. 26 della legge 23/12/1978, n. 833 (prestazioni di riabilitazione) stabilisce che «le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi. L’Unità sanitaria locale, quando non sia in grado di fornire il servizio direttamente, vi provvede mediante convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni, aventi i requisiti indicati dalla legge, stipulate in conformità ad uno schema tipo approvato dal Ministro della Sanità, sentito il consiglio sanitario nazionale».
6. L’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede una programmazione sanitaria, che si articola in un piano sanitario nazionale di durata triennale e di un piano sanitario regionale (art. 1 comma 9 «il piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal governo entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del piano precedente. Il piano sanitario nazionale può essere modificato nel corso del triennio con la procedura di cui al comma 5»).
Ai sensi del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, vengono in rilievo i LEA (livelli essenziali di assistenza), prevedendosi poi, che «il servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse».
Il piano sanitario regionale è disciplinato dall’art. 1 comma 13 del d.lgs. n. 502 del 1992, ove si prevede che «il piano sanitario
regionale rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del piano sanitario nazionale».
Quanto ai tetti di spesa, prevede l’art. 12 del d.lgs. 30/12/ 1992, n. 502 (Fondo sanitario nazionale) che «il fondo sanitario nazionale è ripartito con riferimento al triennio successivo entro il 15 ottobre di ciascun anno, in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, dal CIPE la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici ».
L’art. 32, comma 8, della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) stabilisce che «le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all’art. 2, comma 5, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
L’art. 39 (Ripartizione del fondo sanitario nazionale) del d.lgs. 15/12/1997, n. 446, prevede poi «Il CIPE su proposta del Ministro della Sanità, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni, delibera annualmente l’assegnazione in favore delle regioni, a titolo di acconto, delle quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente».
Questa Corte, con plurime decisioni, ha ritenuto che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di
acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass., sez. 3, 29/10/2019, n. 27608; che richiama Cons. Stato, sez. III, 10/2/2016, n. 566; Cons. Stato, sez. III, 10/4/2015, n. 1832; poi Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; da ultimo Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Si è affermato che, alla base di tali conclusioni, si collocano stringenti indirizzi normativi (art. 32, comma 8, legge 27/12/1997, n. 449; art. 12, comma 3, d.lgs. 23/12/1992, n. 502; art. 39 del d.lgs. 15/12/1997, n. 446), in base ai quali, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario, attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema (Cass., n. 31364 del 2024).
Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, in quanto deve bilanciare interessi diversi e per certi aspetti contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono in base ad una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico (Cass., sez. 3, n. 27608 del 2019).
Inoltre, si è precisato che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di
tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici. Vi è dunque la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dei soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari organizzativi (Cass. n. 27608 del 2019; poi anche Cass. n. 13884 del 2020; da ultimo Cass. n. 31364 del 2024).
Con l’ulteriore chiarimento per cui, stante il carattere recessivo degli atti concordati convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; ciò costituisce un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’Asl di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cass., n. 27608 del 2019).
Pertanto, in caso di superamento del tetto di spesa la remunerazione risulta inesigibile, dovendosi giudicare corretta la condotta della Asl, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la Asl e la Regione non avrebbero potuto sottrarsi (Cass. n. 27608 del 2019).
Del resto, alla struttura accreditata viene data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio sanitario nazionale di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Al contrario, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato, sez. III, 7/1/2014, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 30/4/2003, n. 2253; entrambe richiamate in motivazione nella sentenza di questa Corte n. 27608 del 2019).
Deve dunque ribadirsi il principio per cui, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria provvisoriamente accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il superamento della capacità operativa massima (C.O.M.) costituisce un fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore. Il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della struttura accreditata, ma rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova a carico della parte debitrice (Cass., sez. 1, 2/03/2021, n. 5661; Cass., sez. 6-2, 16/4/2021, n. 10182, per cui grava sulla Asl la dimostrazione del fatto, non costitutivo del diritto dell’attore ma impeditivo dell’accoglimento della pretesa della struttura sanitaria accreditata, rappresentato dal superamento del tetto di spesa, nel qual caso non è possibile configurare alcun diritto della struttura accreditata ad ottenere il pagamento di prestazioni eseguite oltre tale limite; anche Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375; Cass., sez. 1, 27/9/2018, n. 23324; Cass., sez. 3, 6/7/2020, n. 13884; di recente Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364).
Nessun rilievo può essere conferito al principio di affidamento, perché quello della regressione tariffaria è un meccanismo convenzionalmente accettato dalle strutture sanitarie che operano nell’ambito del sistema sanitario nazionale, a prescindere dalle modalità esecutive del monitoraggio, suscettibile di essere demandato ad eventuali tavoli tecnici (Cass., sez. 1, 13/2/2023, n. 4375).
Si è anche precisato che la circostanza che la delibera con cui si accerta il superamento del tetto di spesa sia comunicata o meno «non possiede alcuna incidenza sul profilo del pagamento della prestazione, proprio perché l’elemento impeditivo della remunerazione
è integrato dal semplice fatto del superamento dei livelli di spesa» (Cass. n. 4375 del 2023).
Si è anche osservato che vale il principio per cui l’esercizio del potere di fissare la regressione tariffaria, al fine di osservare i limiti di spesa, non è subordinato o condizionato all’esecuzione del monitoraggio delle prestazioni erogate, né al ritardo o imprecisione nell’adempimento all’obbligo di eseguire controlli per il tramite dei tavoli tecnici perché essi sono organi di fonte contrattuale a cui partecipano pure i rappresentanti aziendali e delle associazioni di categoria più rappresentative (Cons. Stato., n. 207 del 2016; richiamata da Cass. n. 4375 del 2023).
Non rileva dunque la tardività del monitoraggio né quella relativa all’attività imputabile al Tavolo Tecnico.
A queste considerazioni deve aggiungersi che fisiologicamente l’individuazione dei tetti di spesa giunge successivamente all’esercizio in corso ed anche dopo la stipulazione del contratto costituendo una sorta di rischio di impresa per le società.
9.1. La necessità dell’accordo scritto nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, anche in caso di accreditamento, provvisorio o definitivo, non contrasta con la prassi richiamata, che si estrinseca nel sopraggiungere di nuove delibere che fissano e cambiano i tetti di spesa.
Di qui, dunque, la precisazione per cui i tetti di spesa possono giungere anche successivamente rispetto alla stipulazione del contratto.
Infatti, si è osservato che «la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività», in quanto è evidente che «in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa
solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 aprile 2012, n. 3; successivamente Cons. Stato, sez. 3, 23 ottobre 2020, n. 6437).
La prassi sopra menzionata attiene alla verifica dell’eventuale affidamento incolpevole delle strutture sanitarie, che hanno già stipulato il contratto, con riferimento a successive delibere che modifichino, in corso d’opera, i tetti di spesa.
In tal senso, infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 203 del 2016, si è pronunciata su plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale disposizione infatti recitava così «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’art. 8quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua ».
Come si vede, si fa riferimento a «singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012», quindi a contratti scritti già stipulati.
In questo contesto, la Corte costituzionale osserva che «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca suc-
cessiva all’inizio di erogazione del servizio ha carattere fisiologico», con la conseguenza che «l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposta in corso d’anno».
È questa la ragione per cui anche questa Corte (ordinanza n. 27997 del 2019) ha richiamato le pronunce del giudice amministrativo, in una fattispecie, però, in cui la stipula del contratto, assicurato «soltanto al termine dell’anno di riferimento delle prestazioni», non giustificata da ritardi connessi alla adozione da parte della regione degli atti di indirizzo e programmazione, «è affetta da nullità virtuale ex art. 1418, comma 3, c.c. in quanto violativa dell’esercizio dell’autonomia negoziale, impedendo la struttura privata di autodeterminarsi nelle scelte imprenditoriali».
In tale contesto, del tutto specifico, emergeva che «il punto critico della vicenda emerso dalla prassi operativa degli enti e delle strutture pubbliche e private coinvolte, è stato individuato nella fisiologica sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, rendendo quindi problematica una programmazione di impresa in un sistema di tipo concorrenziale».
Il contratto, dunque, era già stato stipulato, mentre le delibere di fissazione dei tetti di spesa sono sopraggiunte in seguito.
10. Si legge nella delibera n. 1268 del 2008 (vedi Cass., sez. 1, 6/12/2024, n. 31364) che «il tavolo permanente per il monitoraggio dell’attuazione delle delibere regionali in materia di tetti di spesa, istituito con DGRC n. 800/06, è stato incaricato dalla DGRC n. 517/07 – tra l’altro – di supportare il procedimento di determinazione, comunicazione e monitoraggio dei budget delle singole strutture erogatrici private, pervenendo al monitoraggio mensile delle prestazioni
erogate, dei costi e delle regressioni tariffarie in corso di maturazione, in base alle linee definite nel Piano di Rientro dal Disavanzo».
Si chiarisce, al punto 14 del deliberato, che «i tetti di spesa ed il budget di costo stabiliti dalla presente delibera saranno monitorati almeno ogni tre mesi e potranno eventualmente essere rimodulati ogni anno, con successive delibere della Giunta regionale, in funzione dell’andamento dei costi del servizio sanitario regionale e del finanziamento statale per la sanità, nel rispetto di tutti gli obiettivi e di tutte le condizioni stabilite nel Piano di Rientro dal Disavanzo approvato dalla DGRC n. 460/07».
Tuttavia, nella fattispecie in esame la disciplina contrattuale prevedeva specificamente l’ipotesi del superamento delle soglie, nel corso dell’annualità di riferimento.
La stessa ricorrente riporta l’art. 5, comma 3, lettera a) del contratto stipulato il 29/12/2014, in relazione all’anno 2014, con la previsione per cui «qualora l’esaurimento del limite di spesa si sia verificato a consuntivo prima della data prevista nell’ultima comunicazione effettuata dalla Asl nei mesi scorsi in base alla proiezione dei limiti di spesa dell’anno precedente, a tutte le prestazioni di quella Asl/branca erogate dall’inizio dell’anno fino alla suddetta data prevista di esaurimento del limite di spesa, si applicherà la regressione tariffaria di cui all’allegato C) alla DGRC n. 1268/08, in modo da far rientrare la spesa nei limiti prefissati».
La ricorrente riporta anche la seconda parte della lettera a) dell’art. 5, comma 3, del contratto del 29/12/2014, a mente della quale «nulla spetterà agli erogatori, né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo o di risarcimento, per le prestazioni sanitarie rese oltre la data prevista di esaurimento del limite di spesa».
Si riporta anche l’art. 7, comma 2, ultima parte, del contratto del 29/12/2014, ove si legge che «il pagamento di ciascun saldo potrà
essere effettuato, oltre che in seguito al completamento dei controlli di regolarità delle prestazioni, previa emissione da parte della struttura privata delle note di credito richieste dalla Asl, sia con riguardo ad eventuali contestazioni delle prestazioni rese, sia per applicare la regressione tariffaria o l’abbattimento del fatturato riconoscibile ai sensi del comma 3 del precedente art. 5».
Pertanto, si distingue, nell’ambito contrattuale, l’applicazione della regressione tariffaria, relativa all’ipotesi in cui le prestazioni siano state rese prima della data prevista, quale esaurimento del limite di spesa, dall’altra fattispecie, quella relativa alle prestazioni rese oltre la data prevista di esaurimento del limite di spesa.
Nella specie, la data prevista per l’esaurimento del limite di spesa era quella del 30/9/201, mentre le prestazioni sono state rese tra il 24/9/2014 ed il 30/9/2014.
Ciò significa che, se le prestazioni erano state rese prima del 30/9/2014, doveva applicarsi la regressione tariffaria unica, attraverso la riduzione del credito in percentuale. Ed è questa l’ipotesi in esame. Al contrario, ove le prestazioni fossero state rese oltre il 30/9/2014, era eliso del tutto il diritto alla prestazione, trattandosi di «abbattimento del fatturato».
Sul punto, la Corte d’appello, nella sentenza impugnata, seppur in modo sintetico, ha chiarito che si rientrava nella prima di tali ipotesi, ossia di prestazioni rese prima della data prevista di esaurimento del limite di spesa, dovendosi dunque applicare il meccanismo di regressione tariffaria e non l’esclusione totale della prestazione.
Si chiarisce nella sentenza della Corte d’appello che «si prevedeva il raggiungimento del tetto di spesa annuale della macro-area laboratorio per il 30 settembre ».
Pertanto, le prestazioni erano state rese tra il 24/9/2014 ed il 30/9/2014, nel periodo precedente alla data di previsione di esaurimento del tetto di spesa (30/9/2014).
Al contrario, la Asl con la delibera n. 751 del 8/5/2005, nell’accertare il superamento delle limite di spesa in data anteriore a quella comunicata, ovvero in data 24 settembre 2014 (rispetto a quella comunicata del 30 settembre 2014), «si era limitata ad escludere il pagamento delle somme corrispondenti al corrispettivo di tutte le prestazioni rese dal centro nel periodo intercorrente tra la data di superamento del tetto di spesa, a consuntivo, e la data comunicata inizialmente dalla Asl di presumibile sforamento del tetto di spesa» (cfr. pagina 3 della sentenza della Corte d’appello, laddove richiama l’ordinanza del Tribunale).
Per la Corte territoriale, infatti, la fattispecie in esame doveva essere governata dall’applicazione della RTU «secondo le modalità di cui all’allegato C della DGRC 1268/08 che prevedeva l’individuazione dell’apporto di ciascun centro dell’Asl al superamento del tetto di spesa (in relazione ai consuntivi di tutti i centri che operavano nell’asta di riferimento) ed il conseguente e proporzionale contributo del medesimo a tale sforamento, di modo che, nella medesima misura andavano ridotti i corrispettivi per le prestazioni effettuate».
Ha precisato la Corte d’appello che l’applicazione di tale modalità di rientro dell’ extra budget «neppure può essere modificata dall’altra con provvedimenti unilaterali adottati ex post e che non tengono in considerazione la diversità di apporti di altri centri a tale sforamento».
La Corte d’appello ha dunque fatto corretta applicazione delle disposizioni del contratto scritto stipulato tra le parti il 29/12/2014.
13. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 aprile 2025