Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15287 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15287 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15218/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale RAGIONE_SOCIALEo Stato e domiciliati in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1346/2022 pubblicata il 25 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12 dicembre 2017 presso il Tribunale di Palermo NOME COGNOME di COGNOME ha agito contro l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE (da ora RAGIONE_SOCIALE e, premesso di godere di un trattamento RAGIONE_SOCIALEstico di € 130.498,98 annui a decorrere dal 1° dicembre 2015 in conseguenza RAGIONE_SOCIALEa cessazione dall’incarico di Direttore RAGIONE_SOCIALE‘ente RAGIONE_SOCIALE Madonie, ha dedotto che il 20 settembre 2012 aveva stipulato con le amministrazioni resistenti un contratto quinquennale avente ad oggetto l’incarico di Direttore generale RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE per un compenso annuo lordo di € 202.937,00.
Egli ha anche allegato che il 25 luglio 2016 l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto la sottoscrizione di un accordo di rinegoziazione del compenso sul presupposto che trovasse applicazione la disciplina che aveva fissato il tetto massimo sui compensi di € 160.000,00 annui e che, avendo aderito con riserva alla proposta, il suo appannaggio lordo era sceso a € 29.500,00.
Ha chiesto, quindi, il ripristino del trattamento concordato in origine e la restituzione RAGIONE_SOCIALEe trattenute applicate nonché il pagamento RAGIONE_SOCIALEa retribuzione di risultato.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 22 novembre 2019, ha rigettato la domanda.
Il lavoratore ha proposto appello che la Corte d’appello di Palermo, nel contraddittorio RAGIONE_SOCIALEe parti, con sentenza n. 1346/2021, ha respinto.
NOME COGNOME di COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Le Amministrazioni intimate si sono difese con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 1, commi 471, 475 e 489 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013, RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 89 del 2014, RAGIONE_SOCIALE‘art. 17 RAGIONE_SOCIALEa legge Reg ione RAGIONE_SOCIALE n. 2 del 2007, RAGIONE_SOCIALE‘art. 14, comma 1, lett. q, RAGIONE_SOCIALEo Statuto speciale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE‘art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014 , come novellato dall’art. 13, comma 11, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2016 e dall’art. 14 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016 in quanto la corte territoriale avrebbe errato ad applicare, nella specie, l’art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014 e successive modifiche, dovendo trovare spazio, invece, l’art. 1, commi 471, 475 e 489 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013, l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 89 del 2014, e l’art. 17 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 2 del 2007
Sostiene che, nella presente materia, vi sarebbe stata una competenza esclusiva RAGIONE_SOCIALEo Stato, il quale avrebbe stabilito, con una normativa simile, un limite alle retribuzioni a carico RAGIONE_SOCIALEe finanze pubbliche nell’importo fisso di € 240.000,00 annui, ragguagliato a quello del Primo Presidente RAGIONE_SOCIALEa Corte di cassazione, che avrebbe dovuto essere rispettato su tutto il territorio nazionale.
Peraltro, l’art. 14, comma 1, lett. q), RAGIONE_SOCIALEo Statuto speciale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe previsto che ‘l’Assemblea, nell’ambito RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE e nei limiti RAGIONE_SOCIALEe leggi costituzionali RAGIONE_SOCIALEo Stato, senza pregiudizio RAGIONE_SOCIALEe riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti materie:
q) stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, in ogni caso non inferiore a quello del personale RAGIONE_SOCIALEo Stato’.
In ogni caso, avrebbe dovuto essere applicato l’art. 1, comma 489, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013, che espressamente ha fatto salvi,
dal 2014, i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi.
Analoga clausola di salvezza non sarebbe stata presente, invece, nella legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014.
Con il secondo motivo il ricorrente chiede, in via subordinata, che sia sollevata questione di legittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE‘art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, come novellato dall’art. 13, comma 11, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2016 e dall’art. 14 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016, per violazione degli artt. 3 e 117, comma 2, lett. l), Cost . e RAGIONE_SOCIALE‘art. 14, comma 1, lett. q), RAGIONE_SOCIALEo Statuto speciale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Le censure possono essere trattate insieme, stante la stretta connessione.
2) Preliminarmente, occorre individuare l’oggetto del contendere.
Il ricorrente è un ex direttore RAGIONE_SOCIALE‘ente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEe Madonie, titolare di un trattamento RAGIONE_SOCIALEstico pari a € 130.498,98 annui a decorrere dal 1° dicembre 2015. Il 20 settembre 2012 aveva stipulato un contratto RAGIONE_SOCIALEa durata di cinque anni in seguito al quale era divenuto Direttore generale RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, per un compless ivo trattamento annuo lordo di € 202.937,00 .
Il 25 luglio 2016 l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto di sottoscrivere un accordo di rinegoziazione del compenso sul presupposto che, dal combinato disposto dei commi 2 e 3 RAGIONE_SOCIALE‘art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, come modificati dall’art . 14 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016, e del comma 3 bis introdotto dall’art. 13, comma 11, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2016, era stato fissato un tetto massimo sui compensi di € 160.000,00 annui.
Ne era conseguito che l’appannaggio lordo percepito dal ricorrente sarebbe divenuto di soli € 29.500,00.
Per l’esattezza, il suo trattamento lordo complessivo sarebbe calato da € 202.937,00 a € 160.000,00 dal 1° luglio 2014 al 1°
dicembre 2015 e da € 202.937,00 a € 29.500,00 dal 1° dicembre 2015 in poi.
Nella specie, è stato applicato, per come riferito nel ricorso per cassazione, l’art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, efficace dal 1° luglio 2014, come modificato dall’art. 14 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016, e dall’art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2016 (pure modificato dall’art. 14 RAGIONE_SOCIALEa citata legge n. 8 del 2016), soprattutto i suoi commi 2, 3 e 3 bis, in base ai quali:
‘ 2. Al fine di conseguire risparmi di spesa attraverso la razionalizzazione RAGIONE_SOCIALEa spesa pubblica RAGIONE_SOCIALE nonché al fine RAGIONE_SOCIALEa salvaguardia degli equilibri di bilancio, per il periodo 1° luglio 2014 31 dicembre 2016, i trattamenti onnicomprensivi di pensione, compresi quelli in godimento, in tutto o in parte a carico RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, non possono superare il tetto di 160 migliaia di euro annui.
Lo stesso limite di cui al comma 2 si applica al trattamento economico annuo complessivo fiscale dei dipendenti RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione RAGIONE_SOCIALE e degli enti del settore sanitario. Il trattamento economico complessivo dei dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, e dei titolari di contratti di lavoro degli enti sottoposti a controllo e vigilanza RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALEe società a totale o maggioritaria partecipazione RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, che svolgono l’attività esclusivamente con affidamenti diretti RAGIONE_SOCIALEa stessa RAGIONE_SOCIALE, nonché degli enti che, a qualunque titolo, ricevono trasferimenti o contributi a carico del bilancio RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, non può essere superiore a 100.000 euro annui lordi.
3-bis. I contratti vigenti che prevedano un trattamento complessivo annuo lordo superiore al limite di cui ai commi 2 e 3 sono rinegoziati entro trenta giorni dall ‘ entrata in vigore RAGIONE_SOCIALEa presente legge. In caso di mancato accordo sulla rinegoziazione, si provvede alla risoluzione unilaterale dei contratti entro i successivi trenta giorni. La mancata attuazione RAGIONE_SOCIALEe disposizioni di cui al
presente comma determina responsabilità per inadempimento e, nel caso di società o enti, la decadenza degli amministratori ‘ .
Il ricorrente prospetta, invece, che avrebbe dovuto essere applicata la normativa statale, per l’esattezza , innanzitutto, l’art. 1 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013, nel testo ratione temporis rilevante , che, per la parte che qui interessa, dispone che:
‘471. A decorrere dal 1° gennaio 2014 le disposizioni di cui all’articolo 23 -ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di trattamenti economici, si applicano a chiunque riceva a carico RAGIONE_SOCIALEe finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti comunque denominati in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti con le autorità amministrative indipendenti, con gli enti pubblici economici e con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.
472. Sono soggetti al limite di cui all’articolo 23 -ter del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, anche gli emolumenti dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo RAGIONE_SOCIALEe autorità amministrative indipendenti e RAGIONE_SOCIALEe amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ove previsti dai rispettivi ordinamenti.
473. Ai fini RAGIONE_SOCIALE‘applicazione RAGIONE_SOCIALEa disciplina di cui ai commi 471 e 472 sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all’interessato a carico di uno o più organismi o amministrazioni, ovvero di società partecipate in via diretta o indiretta dalle predette amministrazioni.
474. Le risorse rivenienti dall’applicazione RAGIONE_SOCIALEe misure di cui ai commi da 472 a 473, per le amministrazioni di cui all’articolo 23 -ter
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono annualmente versate al RAGIONE_SOCIALE per l’ammortamento dei titoli di Stato ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 23-ter e, per le restanti amministrazioni ricomprese nei commi da 471 a 473, restano acquisite nei rispettivi bilanci ai fini del miglioramento dei relativi saldi.
475. Le regioni adeguano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore RAGIONE_SOCIALEa presente legge, nell’ambito RAGIONE_SOCIALEa propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 471 a 474. Tale adeguamento costituisce adempimento necessario ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘articolo 2 del decreto -legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, ed integra le condizioni previste dalla relativa lettera i).
(…)
489. Ai soggetti già titolari di trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell’elenco ISTAT di cui all’articolo 1, comma 2, RAGIONE_SOCIALEa legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento RAGIONE_SOCIALEstico, eccedano il limite fissato ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘articolo 23 -ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nei trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive.
Sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi. Gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti’.
Le disposizioni statali appena menzionate avrebbero dovuto essere coordinate, per il ricorrente, con l’art. 13 del d.l. n. 66 del
2014, conv., con modif., dalla legge n. 89 del 2014 che, per quel che qui interessa, disponeva che:
L’art. 1, comma 3, RAGIONE_SOCIALEa legge reg. RAGIONE_SOCIALEna n. 28 del 2016 ha confermato tale misura anche per il triennio 2017-2019.
Il giudice RAGIONE_SOCIALEe leggi ha osservato che le norme criticate si correlavano al particolare sistema previdenziale previsto per il personale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEna, che si componeva di due gestioni.
Alla prima, denominata ‘contratto 1’ e imperniata sul sistema finanziario a ripartizione, appartenevano i dipendenti in servizio o già in quiescenza alla data RAGIONE_SOCIALE’11 maggio 1986, data di entrata in vigore RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 21 del 1986, recante «Modifiche e integrazioni alla legge RAGIONE_SOCIALE 29 ottobre 1985, n. 41, recante ‘Nuove norme per il personale RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione RAGIONE_SOCIALE‘ e altre norme per il personale comandato, RAGIONE_SOCIALE‘occupazione giovanile e i precari RAGIONE_SOCIALEe unità sanitarie locali» (art. 10, comma 2, RAGIONE_SOCIALEa citata legge RAGIONE_SOCIALE). In questo caso, gli oneri dei trattamenti di quiescenza gravavano sul bilancio RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, che provvedeva al pagamento mediante «il RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del trattamento di quiescenza e RAGIONE_SOCIALE‘indennità di buonuscita del personale RAGIONE_SOCIALE», anche detto ‘RAGIONE_SOCIALE, avente «natura giuridica di ente pubblico non economico» (art. 15, commi 2 e 8, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 6 del 2009, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009» ). La RAGIONE_SOCIALE assegnava al RAGIONE_SOCIALE ‘appositi trasferimenti’, per rendere possibile l’erogazione dei trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici.
Attorno alla gestione ‘contratto 2’, ispirata al sistema finanziario a capitalizzazione, gravitava, invece, il personale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEna assunto in data successiva all’11 maggio 1986 (art. 10, comma 1, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 21 del 1986).
Il ‘RAGIONE_SOCIALE sost eneva gli oneri connessi all’erogazione RAGIONE_SOCIALEe prestazioni RAGIONE_SOCIALEstiche e si giova va, a tale scopo, del trasferimento dei contributi previdenziali previsti a carico RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione e di ciascun dipendente (art. 15, comma 9,
RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 6 del 2009). La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si limitava ad accollarsi le spese del funzionamento degli organi del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte costituzionale ha evidenziato che dal dettato normativo indicato emergeva la particolare natura del RAGIONE_SOCIALE, da intendere quale struttura operativa di collegamento fra le diverse gestioni dei trattamenti previdenziali, e che le questioni di legittimità costituzionale erano sorte nel giudizio promosso da un dirigente RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE collocato in quiescenza, appartenente alla gestione ‘contratto 1’, che aveva chiesto il ripristino RAGIONE_SOCIALE‘originario importo RAGIONE_SOCIALEa pensione e la cessazione RAGIONE_SOCIALEe trattenute effettuate in virtù RAGIONE_SOCIALEe disposizioni in esame.
Ha ricostruito, quindi, la problematica prospettata, sottolineando che era denunciato, in primo luogo, il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., sul presupposto che l’imposizione di un ‘tetto’ RAGIONE_SOCIALEstico configurasse un prelievo tributario.
L’art. 3 Cost. sarebbe stato violato , per il giudice rimettente, anche sotto un ulteriore profilo, atteso che l’imposizione di un tetto RAGIONE_SOCIALEstico di € 160.000,00 non avrebbe rappresentato un ‘ ponderato bilanciamento dei molteplici valori di rango costituzionale in gioco ‘ e non sarebbe stato coerente con le indicazioni enunciate, a tale riguardo, dalla giurisprudenza costituzionale (è menzionata la sentenza n. 124 del 2017).
Inoltre, il prelievo disposto dal legislatore RAGIONE_SOCIALE, destinato a protrarsi per cinque anni e mezzo, non avrebbe costituito «una misura eccezionale, adottata ‘una tantum’ per sopperire a specifiche e comprovate esigenze straordinarie e contingenti». Il prelievo in esame avrebbe vanificato l’affidamento che il pensionato avrebbe potuto ragionevolmente riporre nella ‘stabilità de l proprio trattamento di quiescenza’.
Ulteriore contrasto con l’art. 3 Cost. si sarebbe avuto , ancora ad avviso del giudice remittente, sotto il profilo RAGIONE_SOCIALEa violazione del principio di eguaglianza, in quanto l’introduzione del tetto
RAGIONE_SOCIALEstico non avrebbe trovato riscontro nei confronti degli altri pensionati italiani, sia del settore pubblico sia di quello privato, e sarebbe stato, pertanto, discriminatorio in danno dei pensionati RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Il prelievo in esame avrebbe violato anche il principio di proporzionalità del trattamento di quiescenza rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e quello di adeguatezza (artt. 36, comma 1, e 38, comma 2, Cost.), considerato che il legislatore RAGIONE_SOCIALE avrebbe appiattito sull’unico valore di € 160.000,00 annui tutti i trattamenti previdenziali di importo superiore, senza tenere conto dei «loro differenti importi originari», legati alla «diversità RAGIONE_SOCIALEe funzioni svolte dai singoli soggetti interessati», alla diversa anzianità e al diverso importo dei contributi versati.
La Corte costituzionale, nel decidere, ha negato, innanzitutto, la natura tributaria RAGIONE_SOCIALEa riduzione in questione, atteso che la disciplina censurata non avrebbe introdotto un prelievo o un contributo straordinario sulle RAGIONE_SOCIALE, volto a fare fronte a pubbliche spese (sentenza n. 116 del 2013) né sarebbe stata improntata a finalità solidaristiche o perequative interne al circuito previdenziale (sentenze n. 234 del 2020 e n. 173 del 2016).
Il giudice RAGIONE_SOCIALEe leggi, piuttosto, ha valutato questa disciplina nel contesto RAGIONE_SOCIALE‘intervento disposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prima per due anni e sei mesi e poi per un ulteriore triennio, al fine di contenere le spese su di essa gravanti sia per le retribuzioni del proprio personale sia per la spesa p revidenziale. Il limite di € 160.000,00, infatti, avrebbe accomunato, da questo punto di vista, la spesa RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE per il personale e la spesa previdenziale.
Secondo la Corte costituzionale, la normativa in esame si sarebbe prefissa di determinare, per un preciso arco temporale, l’importo massimo dei trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici che gravavano sul bilancio RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, originariamente commisurati a criteri particolarmente favorevoli.
Le caratteristiche evidenti RAGIONE_SOCIALEa misura in questione sarebbero state, dunque, di razionalizzazione RAGIONE_SOCIALEa spesa previdenziale e di complessivo riequilibrio del sistema e sarebbero valse a differenziarla dalla logica che permeava sia l’imposizione tributaria (sentenza n. 240 del 2019) sia le prestazioni patrimoniali disciplinate dall’art. 23 Cost.
La Corte costituzionale ha, poi, esaminato gli indici rivelatori di un eventuale sacrificio sproporzionato, osservando che, al riguardo, oltre alla carenza di giustificazione RAGIONE_SOCIALEe misure adottate, «rivestono rilievo cruciale l’arco temporale RAGIONE_SOCIALEe misure restrittive, l’incidenza sul nucleo essenziale dei diritti coinvolti, la portata generale degli interventi, la pluralità di variabili e la complessità RAGIONE_SOCIALEe implicazioni, che possono anche precludere una stima ponderata e credibile dei risparmi» (sentenza n. 20 del 2018, punto 3.2.1. del Considerato in diritto).
A tal fine, ha rilevato che la disciplina sottoposta al suo sindacato si sarebbe raccordata al particolare sistema previdenziale previsto per i dipendenti RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, come si evinceva dal fatto che l ‘art. 13, comma 2, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014 «ha, fin qui, trovato concreta applicazione esclusivamente nei confronti di una particolare categoria di pensionati regionali che fruiscono, nel loro trattamento di quiescenza, RAGIONE_SOCIALE‘applicazione RAGIONE_SOCIALEe norme RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE n. 2/1962 e successive modifiche ed integrazioni» (nota n. 7835 del 2 marzo 2016). Alle disposizioni censurate, dunque, sarebbero stati assoggettati in larga parte alcuni dirigenti che avevano ricoperto incarichi di vertice nell’amministrazione RAGIONE_SOCIALE e ricadevano nell’ ambito applicativo RAGIONE_SOCIALEa gestione ‘contratto 1’.
In particolare, ha ricordato che le misure di risparmio, introdotte con la legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, avrebbe tratto origine da notevoli criticità del sistema previdenziale siciliano e avrebbero inciso in misura preponderante sulla gestione ‘contratto 1’, alimentata con le risorse RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE.
L’intervento del legislatore RAGIONE_SOCIALE avrebbe mirato, allora, a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale RAGIONE_SOCIALE, «anch’esso espressione RAGIONE_SOCIALE‘art. 38 Cost., quale norma ispirata dal presupposto per cui detta sostenibilità (ossia l’equilibrio tra spesa previdenziale ed entrate a copertura RAGIONE_SOCIALEa stessa) venga assicurata anzitutto all’interno RAGIONE_SOCIALEo stesso sistema» (sentenza n. 235 del 2020, punto 4.7. del Considerato in diritto).
Al fine di conseguire questo obiettivo, la disciplina censurata si sarebbe applicata con valenza generale a tutti i trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici a carico RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE. Essa, peraltro, sarebbe stata parte integrante di un più ampio disegno di razionalizzazione, che avrebbe contemplato altre misure di contenimento RAGIONE_SOCIALEa spesa pubblica RAGIONE_SOCIALE, come l’imposizione di un limite alle retribuzioni dei dipendenti regionali (art. 13, comma 3, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014), e avrebbe trovato il suo necessario compimento nel percorso di progressiva armonizzazione del sistema previdenziale siciliano con la normativa statale (artt. 51 e 52 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 9 del 2015, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità RAGIONE_SOCIALE»).
In sostanza, il sacrificio indotto dalle disposizioni censurate, nell’intervenire su trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici inizialmente determinati secondo regole di particolare favore (Corte dei conti, sezioni riunite per la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEna in sede di controllo, decisione n. 2 del 2014), si sarebbe proposto una finalità di complessivo riequilibrio.
Inquadrate in questa più articolata prospettiva, la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le censure di arbitraria disparità di trattamento.
Ciò in quanto il sistema previdenziale applicabile ai dipendenti RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, pur se in via di tendenziale e ancora incompiuta assimilazione al regime statale, sarebbe stato contraddistinto da rilevanti particolarità, tali da non renderlo comparabile
all’eterogeneo apparato di tutela previsto per gli altri pensionati del settore pubblico o privato.
Inoltre, le condizioni di criticità richiamate avrebbero giustificato il trattamento più rigoroso che, per un arco temporale limitato, sarebbe stato indirizzato al personale RAGIONE_SOCIALE in pensione e la conseguente diversità di disciplina censurata dal giudice a quo .
L’esigenza di preservare la sostenibilità del sistema previdenziale RAGIONE_SOCIALE, in un’ottica di più ampia razionalizzazione RAGIONE_SOCIALEa spesa, e le finalità di complessivo riequilibrio, sottese alle limitazioni in esame, avrebbero destituito, altresì, di fondamento le censure riguardanti l’irragionevolezza RAGIONE_SOCIALE‘assetto normativo.
I vincoli posti all’ammontare dei trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici sarebbero stati avvalorati da una giustificazione appropriata e calibrati in modo da non infrangere il canone di proporzionalità, atteso che le disposizioni impugnate avrebbero investito i soli trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici di importo più ragguardevole. Nell’imporre il limite invalicabile di € 160.000,00 annui, che corrispondeva a un parametro non esiguo, il legislatore RAGIONE_SOCIALE non avrebbe irragionevolmente compresso l’adeguatezza e la proporzionalità di trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici caratterizzati da un elevato ammontare. Anche l’arco temporale avrebbe segnato la specificità RAGIONE_SOCIALEa vicenda.
L’imposizione di un limite ai trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici, pur protraendosi per un tempo apprezzabile, avrebbe presentato, comunque, una durata definita e non sarebbe stata reiterata sine die .
Questa delimitazione nel tempo non sarebbe stata arbitraria, poiché avrebbe fatto riscontro all’acuirsi RAGIONE_SOCIALEe criticità RAGIONE_SOCIALEa gestione previdenziale RAGIONE_SOCIALE, costanti lungo tutto il periodo di vigenza RAGIONE_SOCIALEe restrizioni criticate.
Il sacrificio imposto ai pensionati RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione RAGIONE_SOCIALE, destinatari di un trattamento complessivamente favorevole sarebbe stato, dunque, sostenibile e rispettoso RAGIONE_SOCIALEe garanzie di proporzionalità e di adeguatezza sancite dagli artt. 36 e 38 Cost.
Sarebbe stata da escludere anche la lesione RAGIONE_SOCIALE‘affidamento dei titolari RAGIONE_SOCIALEe RAGIONE_SOCIALE in esame.
Infatti, n ell’ ambito dei rapporti di durata, non sarebbe sorto un affidamento meritevole di tutela nell’immutabilità RAGIONE_SOCIALEa relativa disciplina (sentenza n. 127 del 2015, punto 8.1. del Considerato in diritto), ben potendo il legislatore introdurre modificazioni in senso sfavorevole, anche con riguardo a diritti soggettivi perfetti, a condizione che l’intervento attuato ‘ trovi adeguata giustificazione sul piano RAGIONE_SOCIALEa ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionale lesivo del legittimo affidamento dei cittadini ‘ (sentenza n. 234 del 2020, punto 17.3.1. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, la disciplina censurata non soltanto sarebbe stata assistita da una congrua giustificazione, legata alla salvaguardia RAGIONE_SOCIALE‘equilibrio del sistema previdenziale RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEa razionalità e RAGIONE_SOCIALE‘efficienza RAGIONE_SOCIALEa gestione demandata al RAGIONE_SOCIALE, ma non avrebbe implicato neppure una riduzione sproporzionata e definitiva del trattamento RAGIONE_SOCIALEstico.
Non si sarebbe potuto ritenere, pertanto, che una misura così congegnata avesse leso in maniera arbitraria un affidamento meritevole di tutela.
La disciplina RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto essere ricondotta alle modificazioni sfavorevoli che il legislatore, per la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, poteva introdurre con riguardo al rapporto previdenziale, senza spingersi a sacrificare il nucleo intangibile dei diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost.
Da quanto sinora esposto è evidente come, anche secondo la Corte costituzionale, pur se con riferimento a una parte sola RAGIONE_SOCIALEa normativa qui in esame, non si pongano esigenze di interpretazione costituzionalmente orientata (o problemi di non legittimità
costituzionale) che possano giustificare un’applicazione disposizioni statali più favorevoli al ricorrente.
Al contrario, dalla giurisprudenza RAGIONE_SOCIALEa Corte costituzionale si evince che, pur essendo il moRAGIONE_SOCIALEo approvato a livello nazionale quello di riferimento, esso introduce semplicemente un sistema minimo di riduzione RAGIONE_SOCIALEa spesa pubblica, al quale le Regioni devono conformarsi, non potendo adottarne uno meno restrittivo, ma che le stesse ben possono rendere più severo, ove tale scelta trovi giustificazione nelle peculiarità RAGIONE_SOCIALE‘organizzazione retributiva e previdenziale RAGIONE_SOCIALE‘impiego e RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione regionali e nelle criticità che la finanza locale deve affrontare e purché, in questo modo, il sacrificio imposto ai pensionati e ai dipendenti RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione RAGIONE_SOCIALE sia ragionevole, succedendo a una disciplina del trattamento ridotto originariamente fondata su criteri particolarmente favorevoli, di durata non eccessiva, sostenibile e rispettoso RAGIONE_SOCIALEe garanzie di proporzionalità e di adeguatezza sancite dagli artt. 36 e 38 Cost.
Pertanto, la legislazione RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ben poteva prescrivere un tetto retributivo e previdenziale inferiore a quello statale e non fare salvi i rapporti già in corso al momento RAGIONE_SOCIALEa sua entrata in vigore, senza, in questo modo, violare disposizioni di rango costituzionale, stante la peculiarità RAGIONE_SOCIALEa sua organizzazione amministrativa e del suo sistema previdenziale.
l’art. 14, comma 1, lett. q), RAGIONE_SOCIALEo Statuto speciale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che, nel riconoscere la potestà legislativa esclusiva RAGIONE_SOCIALEa medesima RAGIONE_SOCIALE in tema di stato giuridico ed economico dei suoi impiegati e funzionari, ‘in ogni caso non inferiore a quello del personale RAGIONE_SOCIALEo Stato’, si riferisce, chiaramente, a lla necessità che situazioni analoghe siano trattate in maniera analoga, senza imporre di equipararle ove siano troppo differenti.
‘art. 17 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n.
2 del 2007, in base a cui ‘Il trattamento economico complessivo degli amministratori RAGIONE_SOCIALEe agenzie e degli enti pubblici regionali non può superare quello del primo presidente RAGIONE_SOCIALEa Corte di cassazione, ferme restando le disposizioni normative vigenti che stabiliscono limiti inferiori’, la quale, per ragioni temporali, è stata superata dalla regolamentazione posteriore.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole RAGIONE_SOCIALEa violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 11 RAGIONE_SOCIALEe c.d. preleggi, RAGIONE_SOCIALE‘art. 1372 c.c., RAGIONE_SOCIALE‘accordo di rinegoziazione del 25 luglio 2016 e RAGIONE_SOCIALE‘art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, come poi novellato dall’art. 13, comma 11, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2016 e dall’art. 14 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016.
Egli sostiene che l’art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, come poi novellato dall’art. 13, comma 11, RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2016 e dall’art. 14 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016, non avrebbe potuto trovare applicazione per il periodo anteriore alla novella del 2016 e, quindi, a partire dal 1° luglio 2014, atteso che solo con la legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 8 del 2016 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 24 maggio 2016) era stato ampliato il numero dei destinatari RAGIONE_SOCIALEe misure di contenimento in questione, ricomprendendovi ‘i dipendenti con qualifica dirigenziale ed i titolari di contratti di lavoro degli enti sottoposti a controllo e vigilanza RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEe società a totale o maggioritaria partecipazione RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE che svolgono l’attività esclusivamente con affidamenti diretti RAGIONE_SOCIALEa stessa RAGIONE_SOCIALE, nonché degli enti che, a qualunque titolo, ricevono trasferimenti o contributi a carico del bilancio RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE‘.
Lo stesso accordo di rinegoziazione concluso il 25 luglio 2016 non avrebbe prescritto alcunché in ordine alla propria retroattività.
Pertanto, il ridimensionamento contestato avrebbe potuto essere ammissibile solo per il periodo di vigenza RAGIONE_SOCIALE‘accordo in
questione, concluso il 25 luglio 2016 ed efficace sino al 31 dicembre 2016.
La censura è priva di pregio.
L ‘art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014, entrata in vigore il 13 giugno 2014, nel suo testo originario, prescriveva, ai commi 2 e 3 (il 3 bis è stato inserito dalla riforma del 2016), che:
‘2. Al fine di conseguire risparmi di spesa attraverso la razionalizzazione RAGIONE_SOCIALEa spesa pubblica RAGIONE_SOCIALE nonché al fine RAGIONE_SOCIALEa salvaguardia degli equilibri di bilancio, per il periodo 1° luglio 2014 31 dicembre 2016, i trattamenti onnicomprensivi di pensione, compresi quelli in godimento, in tutto o in parte a carico RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, non possono superare il tetto di 160 migliaia di euro annui.
Lo stesso limite di cui al comma 2 si applica al trattamento economico annuo complessivo fiscale dei dipendenti RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione RAGIONE_SOCIALE e degli enti di cui all’art. 1 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE 15 maggio 2000, n. 10, presso cui si applica il contratto collettivo dei dipendenti regionali, nonché, in quanto compatibile al trattamento economico annuo complessivo dei dipendenti degli enti pubblici regionali, RAGIONE_SOCIALEe società partecipate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e comunque di tutti gli enti, di natura pubblica o privata, che ricevono a qualunque titolo trasferimenti, contributi o corrispettivi a carico del bilancio RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, compreso il settore sanitario’.
L’affermazione del ricorrente, secondo il quale la normativa appena riportata non avrebbe potuto avere effetto nei suoi confronti dal 1° luglio 2014 sia perché non riferibile a un dirigente del suo livello sia in quanto l’accordo di rinegoziazione sarebbe stato concluso il 25 luglio 2016, contrasta con le considerazioni in precedenza svolte.
Infatti, alla data del 1° luglio 2014 era in vigore l’art. 1 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013, che prevedeva, ai commi 471, 472, 473 e 489 che:
‘471. A decorrere dal 1° gennaio 2014 le disposizioni di cui all’articolo 23 -ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di trattamenti economici, si applicano a chiunque riceva a carico RAGIONE_SOCIALEe finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti comunque denominati in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti con le autorità amministrative indipendenti, con gli enti pubblici economici e con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.
472. Sono soggetti al limite di cui all’articolo 23 -ter del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, anche gli emolumenti dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo RAGIONE_SOCIALEe autorità amministrative indipendenti e RAGIONE_SOCIALEe amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ove previsti dai rispettivi ordinamenti.
473. Ai fini RAGIONE_SOCIALE‘applicazione RAGIONE_SOCIALEa disciplina di cui ai commi 471 e 472 sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all’interessato a carico di uno o più organismi o amministrazioni, ovvero di società partecipate in via diretta o indiretta dalle predette amministrazioni.
(…)
489. Ai soggetti già titolari di trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell’elenco ISTAT di cui all’articolo 1, comma 2, RAGIONE_SOCIALEa legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento RAGIONE_SOCIALEstico, eccedano il limite fissato ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘articolo 23 -ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nei trattamenti RAGIONE_SOCIALEstici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive.
Sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi. Gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti’.
La normativa statale appena enunciata è molto ampia e riguarda tutti i soggetti che, in qualunque modo ricevano da una P.A. somme di denaro a titolo di retribuzione, emolumento e trattamento RAGIONE_SOCIALEstico, comunque denominato, a prescindere dal fatto che siano lavoratori dipendenti o autonomi o che siano dirigenti o ricoprano altri ruoli.
Come esposto in precedenza, la normativa statale può essere derogata in senso più rigido dalle Regioni, ma non in modo che la restrizione che colpisce gli interessati sia meno severa.
Pertanto, le disposizioni regionali riportate devono essere intese, anche per il periodo anteriore alla novella del 2016, come applicabili a soggetti come l’attuale ricorrente , dovendo essere interpretate in senso conforme alla regolamentazione statale.
Con il quarto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 del contratto del 20 settembre 2012 e degli artt. 1218 e 2697 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel non accogliere la sua domanda concernente la retribuzione di risultato, in violazione dei principi giurisprudenziali in tema di azione di adempimento, avendo egli allegato la fonte del suo diritto.
La censura è infondata, in quanto il giudice di appello ha accertato che non è stato dimostrato il conseguimento dei relativi obiettivi.
Con il quinto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 191, 210, 421 e 437 c.p.c. e 1218 e 2697 c.c. in quanto la corte territoriale, in ordine alla retribuzione di risultato, non ne avrebbe ritenuta dimostrata la spettanza alla stregua del principio di non discriminazione. Inoltre, si duole del mancato accoglimento RAGIONE_SOCIALEe sue istanze istruttorie.
La censura è inammissibile.
Per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 anche per quello previsto dal n. 3 RAGIONE_SOCIALEa stessa disposizione normativa, il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione. Siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente lamenti che il giudice del gravame non abbia – pur in presenza di una sua istanza al riguardo – esercitato il suo potere-dovere istruttorio ex artt. 421 e 437 c.p.c. ed ancora quando affermi che una data circostanza debba reputarsi sottratta al thema decidendum , perché non contestata, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad indicare le modalità e la ritualità RAGIONE_SOCIALEa sua istanza istruttoria nonché ad evidenziare la tempestività RAGIONE_SOCIALEa censura mossa in ordine all’inerzia o al mancato accoglimento da parte del giudice RAGIONE_SOCIALEe sue richieste (Cass., Sez. L, n. 9076 del 19 aprile 2006) .
Nella specie, il ricorrente non ha ottemperato all’onere di autosufficienza sopra descritto.
Inoltre, per ciò che concerne le istanze istruttorie, si evidenzia che il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi RAGIONE_SOCIALE ‘ art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (Cass., Sez. 3, n. 1754 del l’ 8 febbraio 2012).
Nel caso in esame, però, la motivazione del giudice di appello è del tutto coerente.
7) Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘Al Direttore generale RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE si applicano, a decorrere dal 1° luglio 2014, i limiti retributivi e RAGIONE_SOCIALEstici di cui all’art. 13 RAGIONE_SOCIALEa legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 13 del 2014 e successive modifiche, ancorché prescriva un tetto massimo minore di quello stabilito dall’analoga normativa statale e non preveda la salvezza degli accordi conclusi prima RAGIONE_SOCIALEa sua entrata in vigore, atteso che alla regolamentazione RAGIONE_SOCIALE in materia è precluso di stabilire un regime più favorevole di quello esistente a livello nazionale, al quale è obbligata a conformarsi, ma non di introdurre dei precetti più stringenti, ove tale scelta trovi giustificazione nelle peculiarità RAGIONE_SOCIALE‘organizzazione retributiva e previdenziale RAGIONE_SOCIALE‘impiego e RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione regionali e nelle criticità che la finanza locale deve affrontare e purché, in questo modo, il sacrificio imposto ai pensionati e ai dipendenti RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione RAGIONE_SOCIALE sia ragionevole – succedendo a una disciplina del trattamento ridotto originariamente fondata su criteri particolarmente favorevoli -, di durata non eccessiva, sostenibile e rispettoso RAGIONE_SOCIALEe garanzie di proporzionalità e di adeguatezza sancite dagli artt. 36 e 38 Cost. ‘.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALEo stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
– rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 7.000,00 per compenso, e a rimborsare le spese prenotate a debito;
-ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALEo stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALEa IV Sezione