Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4757 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4757 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
sul ricorso 18983/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
–
ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende
– controricorrente – nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende – controricorrente avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 7894/2018 depositata l’11.12.2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/2/2024 dal AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 7984/2018 dell’11.12.2018, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE ha respinto il gravame di RAGIONE_SOCIALE -quale gestore della RAGIONE_SOCIALE -avverso la sentenza che in primo grado ne aveva rigettato le domande intese a vedersi compensate dalla Regione RAGIONE_SOCIALE e dall’RAGIONE_SOCIALE, a titolo di remunerazione contrattuale ovvero a titolo di indennizzo per l’indebito arricchimento procurato a costoro, le prestazioni di day hospital riabilitativo erogate in regime di accreditamento agli assistiti del SSN nel mese di dicembre 2009 in eccesso rispetto ai tetti di spesa programmati.
Nel motivare le ragioni del rinnovato rigetto il giudice distrettuale, ricordato in via più generale che è la legge a riconoscere alle Regioni il potere di assegnare alle strutture sanitarie convenzionate un volume massimo di prestazioni erogabili, il cui sforamento non dà diritto ad alcuna remunerazione, qualunque ne sia il titolo invocato, ha messo in chiaro che i livelli di spesa per prestazioni erogate in regime di accreditamento remunerabili per l’anno 2009 erano stati determinati nella specie per effetto di provvedimenti commissariali, che, non avendo formato oggetto di impugnazione avanti al giudice amministrativo, avevano acquisito carattere di definitività; provvedimenti che non erano, peraltro, neanche disapplicabili a mente degli artt. 4 e 5 della legge di abolizione del contenzioso
amministrativo, rappresentando essi il fatto costitutivo del diritto esercitato dalla parte e non il mero antecedente logico di questo, della cui illegittimità il giudice ordinario possa conoscere incidentalmente. Né, diversamente, la pretesa dell’istante avrebbe potuto accogliersi sotto il subordinato profilo dell’indebito arricchimento, giacché, pur se a seguito di Cass. 10789/2015 si doveva valutare l’ arricchimento rispetto al quale la PA non aveva manifestato una volontà contraria, nella specie il divieto ope legis di sforare i limiti di spesa escludeva che vi fosse stato anche implicitamente un riconoscimento dell’ utilitas da parte degli enti interessati, fermo restando in ogni caso che l’impoverimento lamentato dall’istante era la conseguenza di un contratto, sì da non poter dar luogo al riconoscimento di alcun indennizzo per difetto del requisito proprio dell’azione proposta in via subordinata .
Per la cassazione di detta sentenza la soccombente si vale di quattro motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, resistiti avversariamente dai controricorsi delle intimate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 4 e 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, dell’art. 100 cod. proc. civ. e dell’art. 24 Cost. Si sostiene che la Corte d’Appello, erroneamente, avrebbe ritenuto che la causa petendi della pretesa avanzata dalla ricorrente riposasse sull’annullamento delle delibere commissariali determinative dei limiti di spesa, impugnabili perciò avanti al g.a., quando al contrario il superamento del tetto di spesa non è elemento costitutivo della domanda, ma semmai mezzo di eccezione di essa, sì ché il decidente avrebbe dovuto conoscere della sua illegittimità disapplicando di conseguenza i detti provvedimenti limitativi.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 4 e 5 l.
2248/1865, degli artt. 3 e 4 d.m. 15 aprile 1994, degli artt. 2, 5, e 8quinquies d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 e dell’art. 1418 cod. civ; ed ancora la violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. Si sostiene che la Corte d’Appello, erroneamente -ed anche richiamandosi ad un proprio precedente estraneo, tuttavia, al contenzioso in oggetto -avrebbe ritenuto che l’opponibilità dei tetti di spesa nella misura risultante dalle citate delibere commissariali derivasse direttamente dalla legge, quando al contrario la legge demandava alle Regioni il relativo potere, nell’esercitare tuttavia il quale gli enti preposti, lungi dal poter replicare le tariffe del dm Sanità del 2006 in ragione dell’annullamento decretatone dal giudice amministrativo, avrebbero dovuto considerare il principio della giusta remunerazione da corrispondersi alla struttura erogante in rapporto ai costi di produzione, nonché l’inderogabilità del principio, posto a presidio di fondamentali esigenze di tutela della salute pubblica, di assicurare comunque la remunerazione dei volumi prestazionali erogati in eccesso rispetto ai limiti di spesa.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. Si sostiene che la Corte d’Appello, erroneamente, avrebbe sollevato gli enti convenuti dall’onere di provare che il tetto di spesa dagli stessi opposto a fronte della remunerazione reclamata dalla ricorrente fosse stato determinato in corretta e piena esplicazione di poteri autoritativi della RAGIONE_SOCIALE, sebbene si trattasse di un elemento impeditivo all’accoglimento della domanda della cui legittimità sarebbe stato onere delle convenute dare prova, dimostrando segnatamente che i provvedimenti determinativi dello stesso non fossero stati adottati in carenza assoluta di potere.
3. Tutti i sopradetti motivi, esaminabili congiuntamente in quanto vertenti sul medesimo tema decisionale, sono infondati e non meritano perciò seguito alcuno.
Come meglio chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (AVV_NOTAIO Stato, Sez. III, 13/09/2021, n. 6264; AVV_NOTAIO Stato, Sez. III, 4/05/2018, n. 2659; AVV_NOTAIO Stato, Sez. III, Sent., 17/12/2015, n. 5731), il contenzioso in materia di determinazione delle tariffe delle prestazioni sanitarie soggiace al principio della invarianza dei tetti di spesa rispetto agli incrementi tariffari, di guisa che una modificazione dei tetti di spesa può derivare unicamente dal reperimento delle risorse necessarie a fronteggiare l’incremento dell’onere finanziario relativo, essendo da escludere che il servizio sanitario possa esser chiamato a pagare somme che non trovano adeguata copertura per l’inesistenza o l’indisponibilità delle risorse corrispondenti, principio che, come è noto, rinviene ineccepibile riscontro normativo nell’art. 8quinquies , comma 2, lett. ebis ), d.lgs. 502/1992, nella parte in cui prevede che, in caso di incremento dei valori unitari dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni sanitarie, il volume massimo di prestazioni remunerate si intende rideterminato nella misura necessaria al mantenimento dei limiti di spesa, a meno che non sopravvengano nuovi accordi integrativi, nel rispetto comunque dell’equilibrio economico-finanziario programmato. L’ineludibilità di siffatto principio, più volte ribadita dalla Corte Costituzionale sul rilievo che secondo una consolidata lezione di costituzionalità il diritto alla salute è un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento (Corte Cost., sent. n. 200 del 2005), è diretta conseguenza dell’esigenza di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica al tempo di una limitata disponibilità delle risorse
impiegabili, sicché l’individuazione del limite massimo delle prestazioni erogabili da soggetti privati in regime di accreditamento -e di converso la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni eccedenti il tetto di spesa, come si è detto anche da questa Corte (Cass., Sez. III, l 29/09/2021, n. 26334) -è volta a ricondurre l’attività di programmazione sanitaria a cui sono preposte le Regioni nel solco di un necessario bilanciamento tra interessi costituzionali parimenti rilevanti, quali il diritto alla salute di tutti i cittadini da un lato e la stabilità economica-finanziaria del sistema per mezzo del controllo sulla spesa dall’altro . Nell’attuale architettura costituzionale, pur nei suddetti i limiti, le Regioni godono in materia di un’ampia discrezionalità nella previsione del dimensionamento e dei meccanismi di attribuzione delle risorse disponibili che si traduce nell’adozione di atti di indirizzo destinati alle aziende sanitarie locali indicativi dei limiti massimi entro i quali le prestazioni erogabili dalle strutture private accreditate con il RAGIONE_SOCIALE si rendono remunerabili secondo gli obiettivi fissati dalla programmazione sanitaria in base alle risorse concretamente disponibili. Sulla base di detti atti intervengono dunque gli atti meramente applicativi delle aziende sanitarie -tra i quali gli specifici accordi contrattuali con le strutture interessate, di cui all’art. 8quinquies d.lgs. 502/1992 -con cui vengono fissati, tra l’altro, il volume massimo di prestazioni che le strutture si impegnano ad assicurare, distinto per tipologie e per modalità di assistenza, i requisiti del servizio da rendere, il corrispettivo preventivato, le procedure di controllo sul rispetto degli accordi e via discorrendo, atti in ordine ai quali le ASL non godono di poteri discrezionali e di fronte ai quali il soggetto accreditato può solo esercitare la facoltà di accettazione o di rifiuto, se l’accordo non viene ritenuto conveniente. Merita in tale contesto di essere rimarcato che, non sussistendo alcuna fase concordata e convenzionale nel
procedimento di adozione delle determinazioni regionali di natura autoritativa, non è perciò configurabile la possibilità per il privato di contestare lo schema-tipo di contratto predisposto dalla Regione e, vieppiù, la determinazione del limite di spesa rimessi alla discrezionalità dell’ente di spesa, di talché anche l’aggredibilità di essi, consentita attraverso i consueti rimedi giurisdizionali esperibili contro gli atti della Pubblica Amministrazione per ragioni di legittimità ed a tutela di interessi legittimi di competenza del giudice amministrativo, non autorizza quest’ultimo ad estendere il proprio sindacato al merito delle scelte effettuate dalla PRAGIONE_SOCIALE. e può avere ad oggetto solo vizi rappresentativi dell’eccesso di potere quali si rendono riconoscibili nell’illogicità, la contraddittorietà, l’ingiustizia manifesta, l’arbitrarietà o l’irragionevolezza della determinazione.
4. Tanto premesso in linea generale, nessuno dei declinati motivi di ricorso merita seguito atteso che, per loro tramite, la ricorrente reclama un sindacato che, per come si è appena precisato, non è esperibile neanche dal giudice amministrativo, dato che è frutto esclusivo della discrezionalità che la legge affida alla Pubblica Amministrazione nella programmazione della spesa sanitaria la determinazione di indicare entro quali limiti le prestazioni erogate dai privati in regime di accreditamento possono essere compensate con oneri a carico della finanza pubblica. E dunque le contestazioni che la ricorrente muove alla decisione impugnata si collocano al di fuori di questo quadro di compatibilità, investendo pretesi profili di illegittimità dell’agire amministrativo che non sono sindacabili ordinariamente neppure dal giudice preposto al loro controllo e che, tantomeno, lo possono essere dal giudice ordinario. Sicché a nulla vale, di fronte alla superiore cogenza del sistema determinativo delle tariffe organizzato sulla base del meccanismo dei tetti di spesa, dibattere sulla natura di esso, giacché, libero il privato di accettarlo, lo sforamento dei limiti ivi indicati non può che restare a carico dello
stesso; o chiedere che esso sia disapplicato, poiché, in disparte da ogni altra preclusione (Cass., Sez. U, 12/04/2021 n. 9543), l’illegittimità non è rappresentabile se il provvedimento è frutto di una determinazione discrezionale della P.A.; o ancora dolersi delle ricadute probatorie, dato che è qui indubbio che la domanda trovi ragione nello sforamento del tetto di spesa.
Il quarto motivo di ricorso argomenta la violazione dell’art. 2041 cod. civ. e dell’art. 8quinquies , d.lgs. 502/1992. Si sostiene che la Corte d’Appello, nel rigettare la domanda di arricchimento senza causa, sarebbe venuta meno ai principi fondanti del SSN, stante l’obbligo delle Regioni di garantire l’erogazione a tutti gli utenti dei servizi sanitari necessari alla tutela della salute pubblica, indipendentemente da ogni ipotetico tetto di spesa, a nulla rilevando in contrario le opposte determinazioni contrattuali, l’art. 2041 cod. civ. rendendosi infatti applicabile proprio per la mancanza di un contratto.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ.
Il responso d’appello rispecchia invero un chiaro enunciato della giurisprudenza di questa Corte, dell’avviso che l’azienda sanitaria, comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa stabilito per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, manifesta implicitamente la sua contrarietà ad una spesa superiore, ovvero a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel predetto limite. Pertanto, l’arricchimento che la RAGIONE_SOCIALE consegue dall’esecuzione delle prestazioni “extra budget” assume un carattere “imposto” che preclude l’esperibilità nei suoi confronti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cod. civ. (Cass., Sez. III, 25/11/2021, n. 36654; Cass., Sez. III, 6/07/2020, 13884; Cass., Sez. III, 24/04/2019, n. 11209).
Non vi è ragione di deflettere da esso, né il motivo introduce nuovi
temi di indagine in direzione della sua conferma o della sua modifica, di talché la doglianza rifluisce appunto nella premessa declaratoria di inammissibilità.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore delle parti resistenti delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuna di esse in euro 5200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE nella camera di consiglio della I sezione civile il