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Testimonianza parte civile: no valore in causa civile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un socio di fatto che chiedeva il risarcimento danni ai suoi ex soci. La Corte ha stabilito che la testimonianza della parte civile, resa nel precedente giudizio penale, non può essere utilizzata come prova nel processo civile. Questa decisione si fonda sul divieto, previsto dal codice di procedura civile, di far testimoniare le persone che hanno un interesse diretto nella causa. Di conseguenza, in mancanza di altre prove sufficienti a dimostrare l’entità del danno, la richiesta di risarcimento è stata respinta.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Testimonianza Parte Civile: Inutilizzabile nel Giudizio Civile per Danni

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione procedurale riguardante il valore probatorio della testimonianza della parte civile. Il caso analizzato riguarda un contenzioso tra soci per risarcimento danni, dove la prova cardine addotta dal ricorrente era la propria dichiarazione resa in un precedente processo penale. La Suprema Corte ha confermato un principio fondamentale: le dichiarazioni di chi ha un interesse diretto nella causa civile non possono essere utilizzate come testimonianza, anche se rese sotto giuramento in un’altra sede.

I Fatti del Contenzioso Societario

La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da un imprenditore nei confronti dei suoi cugini ed ex soci in una società in nome collettivo. L’imprenditore sosteneva che, dopo aver formalmente ceduto le proprie quote, avesse continuato a operare come “socio di fatto”, ma che i cugini si fossero indebitamente appropriati degli utili societari, causandogli un ingente danno patrimoniale e non patrimoniale.

La questione era già stata oggetto di un procedimento penale, conclusosi con una declaratoria di estinzione del reato. La causa civile, avviata per ottenere il risarcimento, vedeva l’imprenditore soccombere in Corte d’Appello. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che, sebbene fosse provata la sua qualità di socio di fatto, mancava totalmente la prova sia della percentuale della sua quota di partecipazione (asseritamente del 25%) sia dell’effettivo ammontare del danno subito.

Il Ricorso in Cassazione

L’imprenditore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente un errore da parte della Corte d’Appello: l’aver escluso dalla valutazione delle prove la sua testimonianza, resa come parte civile sotto giuramento nel processo penale. A loro volta, gli ex soci hanno presentato un ricorso incidentale, contestando la stessa qualifica di “socio di fatto” del loro cugino.

La Decisione della Cassazione: Ricorsi Inammissibili

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili sia il ricorso principale che quello incidentale, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello. La pronuncia si basa su solidi principi di diritto processuale civile, ribadendo i limiti alla valutazione delle prove e l’onere probatorio che grava su chi agisce in giudizio per il risarcimento.

Le Motivazioni: Il Valore della Testimonianza della Parte Civile

Il cuore della decisione risiede nella motivazione con cui la Corte ha rigettato il motivo principale del ricorso. I giudici supremi hanno chiarito che la testimonianza della parte civile, anche se resa sotto giuramento in un processo penale, non può essere “utilizzata” come prova testimoniale nel successivo giudizio civile.

Questo principio si fonda sull’articolo 246 del codice di procedura civile, che sancisce il divieto di testimoniare per le persone che hanno nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Poiché l’imprenditore era la parte che chiedeva il risarcimento, il suo interesse era palese e diretto. Di conseguenza, le sue dichiarazioni non potevano assumere il valore di una testimonianza imparziale, ma costituivano, al più, elementi che il giudice può valutare liberamente, ma non come prova piena.

La Corte ha inoltre specificato che i tentativi del ricorrente di far valere le sue dichiarazioni per provare l’entità del danno patrimoniale e non patrimoniale si configuravano come una richiesta di rivalutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Anche il ricorso incidentale degli ex soci è stato dichiarato inammissibile, in quanto mirava a contestare la selezione delle prove operata dal giudice di merito, un’attività che rientra nella sua esclusiva discrezionalità.

Conclusioni: L’Onere della Prova nel Risarcimento Danni

La decisione in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, riafferma che chi agisce in giudizio per ottenere un risarcimento ha l’onere di provare ogni elemento della sua pretesa: non solo l’esistenza del diritto, ma anche l’esatto ammontare del danno (il cosiddetto quantum debeatur). In secondo luogo, chiarisce che non ci si può affidare alle proprie stesse dichiarazioni, rese in qualsiasi sede, per assolvere a tale onere. È necessario fornire prove oggettive, documentali o testimoniali provenienti da terzi imparziali. Infine, la Corte ricorda che il danno non patrimoniale non può essere considerato esistente in re ipsa (cioè per il solo fatto che sia stato commesso un illecito), ma deve essere specificamente provato, anche attraverso presunzioni, dalla parte che lo lamenta. In assenza di una prova concreta, nessuna liquidazione, neppure in via equitativa, è possibile.

La testimonianza resa dalla parte civile in un processo penale può essere usata come prova in un successivo processo civile per il risarcimento del danno?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che non è consentita l’utilizzazione, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel processo penale, dovendosi applicare il divieto sancito dall’art. 246 c.p.c. per le persone che hanno un interesse nella causa.

Perché il ricorso del socio che chiedeva il risarcimento è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto perché il ricorrente non ha fornito prove adeguate né sulla percentuale della sua quota di partecipazione come socio di fatto, né sull’esatto ammontare del danno subito. La sua prova principale, ovvero la propria testimonianza resa in sede penale, è stata giudicata inammissibile nel processo civile.

Il danno non patrimoniale derivante da un reato è considerato automatico?
No. La Corte ha precisato che l’esistenza del danno non patrimoniale non è presunta (non è un danno in re ipsa), ma deve essere provata dal danneggiato, sia pure a mezzo di presunzioni. In assenza di una prova concreta della sua esistenza, non è possibile procedere a una liquidazione equitativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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