Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6919 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6919 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
Oggetto:
s.n.c. risarcimento danni
AC – 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29891/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
Contro
COGNOME NOME e COGNOME LorenzoCOGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta 170/2020, pubblicata il 5 marzo 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
n. 11 febbraio
RILEVATO CHE
NOME COGNOME socio effettivo e poi di fatto della RAGIONE_SOCIALE unitamente ai cugini NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Caltanissetta, pronunciando ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. sugli effetti civili conseguenti alla declaratoria di estinzione del reato di appropriazione indebita a seguito della sentenza della Seconda Sezione penale di questa Corte Suprema n. 5362/15, ha respinto la domanda da lui formulata contro i predetti consoci, avente a oggetto il risarcimento del danno patrimoniale, parametrato all’ importo degli utili societari di cui i predetti si sarebbero indebitamente appropriati, e il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al reato.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con unico controricorso, proponendo contestualmente ricorso incidentale affidato a un motivo.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che nessuna prova il COGNOME aveva fornito a sostegno dell’ affermazione che la cessione delle proprie quote ai suoi cugini, odierni controricorrenti, era assolutamente simulata; b) che, sulla base delle testimonianze (esclusa quella della parte civile in sede penale) e delle prove documentali acquisite agli atti, poteva ritenersi provato che il COGNOME era divenuto socio di fatto della s.n.c. per il periodo successivo alla cessione formale delle sue quote;
che difettava la prova sia della percentuale della quota di partecipazione detenuta dal RAGIONE_SOCIALE nella s.n.c. quale socio di fatto (asseritamente dedotta al 25% del capitale), sia la prova del ‘quantum’ del danno di cui il predetto chiedeva il risarcimento.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso principale lamenta:
«Primo motivo : In relazione all’art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. – Violazione e/o erronea applicazione de ll’art. 246 c.p.c. Omessa valutazione della testimonianza resa dalla parte civile, sotto giuramento, nell’ambito del processo penale », deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nel l’ escludere dalla propria valutazione probatoria la testimonianza resa dalla parte civile nel processo penale.
Il motivo in esame deduce la compresenza, nella pronuncia impugnata, dei vizi di cui ai numeri 3, 4 e 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. In disparte la teorica ammissibilità di una simile prospettazione, va rilevato che, nel caso di specie, la censura non contiene alcuna allegazione a sostegno dell ‘ asserita violazione del n. 4 del citato articolo ; né è dedotto l’ omesso esame di fatti storico-naturalistici ai sensi del n. 5 del citato articolo, nel senso chiarito da questa Corte a far data dalla sentenza n. 8053 del 07/04/2014.
Ciò che si contesta in diritto (n. 3 art. 360) è l’omessa valutazione della testimonianza resa dal ricorrente, quale parte civile, in sede penale.
Tale allegazione è, in primo luogo, erronea, dovendo in senso diametralmente opposto darsi continuità a quanto già affermato da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 16916 del 25/06/2019),
secondo cui non è consentita l” utilizzazione”, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo trovare applicazione, viceversa, il divieto sancito dall’art. 246 cod. proc. civ. di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio.
Per altro verso, laddove la censura potesse intendersi nel senso della pretesa illegittimità dell’omessa valutazione di tali dichiarazioni come fonte di convincimento ai fini della decisione, essa si rivela inammissibile, perché è versata totalmente in fatto, pretendendo da questa Corte una non consentita rivalutazione in questa sede del complessivo quadro probatorio, integrato bensì dalla dichiarazioni del ricorrente, al fine di pervenire a una diversa conclusione circa la sussistenza della prova del danno lamentato.
«Secondo motivo. In relazione all’art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. – Violazione e/o erronea applicazione degli artt. 115, 116 e 246 c.p.c., nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c. – Omessa valutazione nella determinazione del danno patrimoniale della testimonianza resa sotto giuramento dalla persona offesa nell’ambito delle complessive emergenze istruttorie, testimoniali, documentali oltre che del comportamento extraprocessuale e processuale tenuto falle controparti», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente pretermesso la testimonianza resa in sede penale dall’odierno ricorrente in qualità di parte civile.
«Terzo motivo. In relazione all’art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. – Violazione e/o erronea applicazione degli artt. 115, 116 e
246 c.p.c., nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c. ed art. 185 c.p. Omessa valutazione nella determinazione del danno non patrimoniale della testimonianza resa sotto giuramento dalla persona offesa da valutare nell’ambito delle complessive emergenze istruttorie, testimoniali, documentali oltre che del comportamento extraprocessuale e processuale tenuto falle controparti», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente pretermesso la testimonianza resa in sede penale dall’ odierno ricorrente con riferimento anche alle circostanze rilevanti ai fini della prova del danno morale da reato.
I due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, per la parte inerente alla deduzione della violazione dei nn. 4 e 5 dell’art. 360 cod. proc civ. si espongono alle stesse considerazioni reiettive già riportate a commento del primo motivo di ricorso. Per il resto, essi sono inammissibili, perché parimenti totalmente versati in fatto, come già dedotto a commento del primo motivo di ricorso, in assenza di alcuna contestazione inerente alla violazione della gerarchia delle prove (unico elemento rilevante ai fini della violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc civ.: cfr. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022). Va aggiunto, con riferimento al terzo motivo, che la censura non si misura nemmeno con la sentenza impugnata, in cui è stato osservato che spettava al ricorrente, quale danneggiato, l’onere di provare, sia pure a mezzo di presunzioni, l’esistenza del danno, non essendo configurabile un pregiudizio in re ipsa e che non poteva farsi luogo alla liquidazione equitativa, in assenza di prova concreta dell’esistenza del predetto pregiudizio.
2. Il ricorso incidentale lamenta: «1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3: l’ attore in riassunzione non ha assolto all’onere probatorio sulla qualità di socio di fatto – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2722 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. mancata prova della simulazione assoluta dell’atto notarile di cessione delle quote sociali -divieto di prova per testi della simulazione e necessità di controdichiarazione», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente omesso di attribuire natura di atto pubblico al verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 20 febbraio 2003, in cui il COGNOME dichiarava di non essere dipendente dell’ impresa in verifica, nonché omesso di esaminare correttamente il materiale probatorio in atti, dal quale emergeva con chiarezza che il predetto non è mai stato socio di fatto della società.
In via preliminare, va respinta l’eccezione di giudicato sollevata dai ricorrenti incidentali nella memoria illustrativa: sia perché il decreto ingiuntivo divenuto irretrattabile nelle more del presente giudizio ha ad oggetto parti parzialmente diverse (RAGIONE_SOCIALE.n.cRAGIONE_SOCIALE e Ditta individuale NOME COGNOME) da quelle del presente giudizio; sia perché l’effetto di irretrattabilità del decreto ingiuntivo si estende alle sole questioni inerenti al titolo posto a base dell’ ingiunzione, la quale, nella specie, in base alla stessa prospettazione dei ricorrenti incidentali, ha avuto a oggetto forniture commerciali effettuate nei confronti della Ditta RAGIONE_SOCIALE, mentre nel presente giudizio si discute di risarcimento del danno patrimoniale per appropriazione di utili societari e di danno non patrimoniale conseguente a reato.
Nel merito, il ricorso incidentale è inammissibile, poiché il relativo motivo, da un canto, pretende di sindacare la selezione del materiale probatorio utilizzabile ai fini del decidere effettuata dal giudice del merito, attività che è a questi esclusivamente affidata, con il solo limite di dare conto in motivazione delle fonti del relativo giudizio, compito nella specie ampiamente assolto; d’altro canto, esso è infondato, laddove assume che il verbale di constatazione redatto in sede di verifica fiscale dalla Guardia di Finanza abbia natura di atto pubblico, atteso che il contenuto delle dichiarazioni rese e ivi verbalizzate è liberamente valutabile e ammette la prova contraria (cfr. Cass. civ., Sez. 5, Sentenza n. 28060 del 24/11/2017; id., Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018); il motivo è, infine, inammissibile sia laddove non spiega dove la sentenza impugnata avrebbe valorizzato la prova di un accordo simulatorio, sia laddove, nella sua sostanza, pretende in questa sede una rivalutazione delle risultanze di causa, in presenza di una motivazione recante ampie e minuziose indicazioni circa le prove raccolte nel processo da cui la Corte di appello ha tratto il proprio convincimento.
Le spese di lite del giudizio di legittimità, stante la reciproca soccombenza delle parti, possono essere integralmente compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quelli incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e quello incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese di lite inerenti alla presente fase di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quelli incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’ 11 febbraio