Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32005 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32005 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 9919/2019 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAILpec.ordineavvocatitorino.it ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. NOME COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO controricorrente
avverso la sentenza n. 85/2019 della Corte d’Appello di Torino, pubblicata il 15-1-2019, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3-122024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha convenuto avanti il Tribunale di Torino NOME COGNOME e NOME COGNOME proponendo querela di falso in ordine al testamento olografo a firma di NOME COGNOME, datato 23-7-2011 e
OGGETTO:
falsità di testamento
olografo – indegnità
a succedere
RG. 9919/2019
C.C. 3-12-2024
pubblicato il 14-2-2014, con richiesta di dichiarazione di indegnità a succedere di NOME COGNOME e condanna dello stesso a restituire i beni ereditari.
Ha esposto di essere nipote in linea collaterale di NOME COGNOME deceduto il 15-11-2013, il quale era nonno del convenuto NOME COGNOME figlio del figlio premorto del de cuius NOME COGNOME mentre coniuge del de cuius era NOME COGNOME ha dichiarato che NOME COGNOME il 19-7-2011 aveva redatto testamento olografo alla presenza di notaio, pubblicato il 22-11-2013, con il quale aveva nominato erede NOME COGNOME aveva lasciato a NOME COGNOME la legittima e a NOME COGNOME legati.
Con sentenza n. 1143/2017 il Tribunale di Torino ha accolto la querela di falso e ha dichiarato che la successione di NOME COGNOME era regolata dal testamento del 19-72011, ha dichiarato l’indegnità a succedere del convenuto NOME COGNOME condannandolo altresì alla restituzione degli immobili e al pagamento di indennità di occupazione.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Torino ha rigettato integralmente con sentenza n. 85/2019, pubblicata il 15-1-2019.
Con detta sentenza la Corte piemontese ha respinto il motivo di appello con il quale si chiedeva la dichiarazione di nullità della sentenza e del procedimento per non essere stata eseguita la comunicazione al Pubblico Ministero, osservando che le ordinanze del 23-7-2015 e del 45-2016 avevano disposto la comunicazione al Pubblico Ministero e dai documenti risultava l’avvenuta comunicazione. La sentenza ha, poi, rigettato il motivo di appello con il quale si lamentava la mancata dichiarazione di interruzione del processo in ragione del decesso della convenuta NOME COGNOME in quanto la circostanza era stata comunicata nella comparsa conclusionale senza intenti interruttivi ma
con mere finalità informative e gli eredi di NOME COGNOME erano NOME COGNOME e NOME COGNOME parti del giudizio di appello.
Nel merito, la sentenza di secondo grado ha rigettato il motivo con il quale l’appellante aveva lamentato che il giudice di primo grado avesse acriticamente accettato le conclusioni del consulente d’ufficio in ordine alla falsificazione del testamento e ha respinto il motivo con il quale l’appellante aveva lamentato l’omessa valutazione degli indizi contrari al fatto che NOME COGNOME avesse scientemente usato il testamento falso.
Avverso la citata sentenza di appello NOME COGNOME in proprio e in qualità di erede di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
NOME COGNOME in proprio e in qualità di erede di NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 3-12-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è rubrica to ‘ violazione o falsa applicazione di norma di diritto art. 70 e 71 I comma c.p.c. e 221 c.p.c. e art. 136 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Con esso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia rigettato il suo motivo di appello, con il quale aveva sostenuto la nullità del procedimento di primo grado e della sentenza che lo aveva concluso per mancanza della comunicazione obbligatoria al Pubblico Ministero; sostiene che la sentenza, ritenendo eseguita la comunicazione al Pubblico Ministero per il fatto che la comunicazione era stata ordinata con le ordinanze 23-7-2015 e 4-5-2016, abbia commesso le violazioni
lamentate, in quanto le ordinanze non avevano valenza di accertamento dell’avvenuta comunicazione; aggiunge che le annotazioni presenti a margine delle due ordinanze non permettono di avere la certezza della consegna del messaggio al destinatario.
Con il secondo motivo, rubricato ‘ nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4 per violazione dell’art. 132 co.2 n. 4 c.p.c. per contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza in punto’, il ricorrente sostiene l’irriducibile contraddittorietà tra l’affermazione che le ordinanze contenevano l’ordine di comunicazione al Pubblico Ministero e che tali ordinanze dimostravano l’avvenuta comunicazione al Pubblico Ministero.
Il primo e il secondo motivo, esaminabili unitariamente stante la loro connessione, sono infondati.
Costituisce principio pacifico che l’omesso intervento del Pubblico Ministero nei procedimenti contenziosi nei quali sia previsto il suo intervento obbligatorio non determina la nullità della decisione, a condizione che egli sia stato ufficialmente informato dell’esistenza del procedimento, così da essere posto in grado di parteciparvi e presentare le sue conclusioni, atteso che non può costituire motivo di nullità il modo di intervento del P.M. o l’uso dallo stesso fatto del potere di intervento attribuitogli (Cass. Sez. 2, 23-9-2011 n. 19498, e Cass. Sez. 1, 16-12-2021 n. 40377).
Nella fattispecie il ricorrente trae dalla mancata partecipazione del Pubblico Ministero al giudizio la mancanza di prova della comunicazione, senza però considerare che sono le annotazioni di cancelleria a margine delle ordinanze di data 23-7-2015 e 4-5-2016 con il quale il giudice ha disposto la comunicazione al Pubblico Ministero ad attestare che il cancelliere ha eseguito le comunicazioni. Infatti, come pure evidenziato dalla pronuncia impugnata (pag. 12) senza censura del ricorrente, la sentenza del Tribunale ha dato atto che la
causa era stata svolta anche nei confronti del Pubblico Ministero, come risultava a pag. 1 dell’intestazione della sentenza ; il Tribunale non avrebbe indicato tra le parti in causa il Pubblico Ministero, se non avesse accertato che lo stesso era stato posto in condizione di intervenire nel processo.
4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare dell’art. 116 c.p.c., 281 quinquies c.p.c. e 300 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3’ e lamenta che la Corte d’appello abbia rigettato il suo motivo di appello, con il quale aveva sostenuto la nullità della sentenza di primo grado per essere stata pronunciata senza dichiarare l’interruzione del processo a seguito della comunicazione della morte della convenuta NOME COGNOME sul presupposto che la dichiarazione del decesso avrebbe di per sé valore interruttivo.
4.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello con il quale l’odierno ricorrente aveva sostenuto la nullità della sentenza di primo grado per non essere stata dichiarata l’interruzione del processo , rilevando esattamente che quella dichiarazione era stata eseguita con finalità meramente informativa e senza l’intento di ottenere la dichiarazione di interruzione del processo; ciò sulla base della considerazione che, diversamente, il difensore non avrebbe speso l’ultrattività de lla procura alle liti depositando lo scritto difensivo, ma si sarebbe limitato a eseguire la dichiarazione a fini interruttivi.
Posto che nella fattispecie l’accertamento della sentenza impugnata in ordine alla dichiarazione avvenuta solo a fini informativi non è neppure oggetto di censura da parte del ricorrente, è principio consolidato che la dichiarazione dell’evento morte eseguita dal difensore della parte debba essere correlata alla manifestazione della volontà di ottenere l’interruzione del giudizio affinché il giudice sia
tenuto a dichiarare l’interruzione. E’ stato più volte espresso il principio sulla scorta del quale la dichiarazione da parte del difensore di uno degli eventi che ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ. comportano l’interruzione del processo deve essere finalizzata al conseguimento di tale effetto, il quale, pertanto, non si verifica se la dichiarazione è stata resa per uno scopo meramente informativo, in difetto del detto elemento intenzionale e senza astensione dall’attività difensiva. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, in considerazione dei necessari requisiti formali della dichiarazione – quali la formulazione in udienza o in atto notificato alle altre parti – non determina interruzione del processo la dichiarazione resa solo nella comparsa conclusionale, che costituisce tipico atto difensivo non equiparabile alla dichiarazione resa in udienza o alle notificazioni con le suddette finalità (Cass. Sez. 1, 23-11-2000 n. 15131, Cass. Sez. 1, 3-4-2007 n. 8357, Cass. Sez. 2, 28-9-2015 n. 19139). E’ appena il caso di notare che, seppure l’ordinanza Cass. Sez. 2, 10-11-2022 n. 33203 abbia ammesso che l’evento della morte della parte possa essere dichiarato in comparsa conclusionale, comunque la stessa pronuncia ha tenuto ferma la necessità della correlata manifestazione della volontà di ottenere l’interruzione del processo.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce ‘ violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4’ e lamenta che la sentenza impugnata abbia confermato la sentenza di primo grado in punto accertamento della falsità del testamento omettendo di valutare le censure mosse dal consulente di parte alle conclusioni del consulente d’ufficio e limitandosi a ripo rtare acriticamente le conclusioni del consulente d’ufficio così come aveva fatto il giudice di primo grado, senza considerare che le analogie tra le scritture erano state parecchie e i gnorando la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria o quanto meno di chiamata a chiarimenti del c.t.u.
5.1. Il motivo è inammissibile, dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo se si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, il valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento. Diversamente, solo ove si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile ai sensi dell’art. 360 , co. 1, n. 5 cod. proc. civ., ancorché soltanto nei limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, 30-9-2020 n. 20867).
Nella fattispecie nessuno degli argomenti svolti nel motivo è utile a fare emergere la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. , ma la censura risulta piuttosto finalizzata a ottenere un diverso apprezzamento delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio ; ciò, a fronte del fatto che la sentenza impugnata – da pag. 20 a pag. 22 – ha analiticamente preso in esame le critiche dell’appellante odierno ricorrente alla consulenza grafologica d’ufficio e ha esposto le ragioni per le quali è giunta alla conclusione di confermare il giudizio di primo grado in ordine alla falsità del testamento, con riguardo ai tagli irregolari del foglio, al l’esame ottico degli inchiostri, alle discordanze tra testo e data, considerando anche il tremore delle mani del de cuius, nonché il fatto che tre periti grafologici su quattro erano giunti alla stessa conclusione di falsificazione della scheda testamentaria.
In questo modo la Corte d’appello ha individuato in modo logico e compiuto gli elementi posti a base del proprio convincimento, in forza
dei quali ha ritenuto superfluo lo svolgimento di qualsiasi ulteriore indagine. Del resto, è già stato enunciato e si deve dare continuità al principio secondo il quale rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base a elementi di convincimento tratti dalle risultanze istruttorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di parte che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass. Sez. 2, 20-8-2019 n. 21525, Cass. Sez. 3, 15-7-2011 n. 15666, Cass. Sez. 3, 25-11-2003 n. 17906).
6. Con il quinto motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in relazione all’art. 116 c.p.c. all’art. 463 n. 6 c.c., 2227 e 2229 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’; lamenta che la sentenza di appello, nel considerare gli elementi indicati dall’appellante a sostegno della sua tesi sull’uso inconsapevole del testamento falso, lo abbia fatto in modo riduttivo e fuorviante. Evidenzia che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, aveva dedotto non solo che NOME COGNOME faceva l’agricoltore e non il perito, ma anche che lo stesso aveva chiesto un parere pro veritate a perito grafologo, che con un certo grado di certezza tecnica aveva ritenuto la scheda testamentaria genuina; aggiunge che non aveva dedotto solo la riduttiva circostanza che la terminologia dei due testamenti era diversa, ma il fatto che nel
testamento poi ritenuto falso il linguaggio era consono all’età e al grado di cultura del testatore, diversamente dal linguaggio del testamento poi ritenuto genuino; lamenta che siano state ignorate le interpretazioni date dall’appellante ad alcuni indizi usati dal Tribunale per motivare l’uso consapevole del testamento falso, senza rispondere alle osservazioni dell’appellante a riguardo.
6.1. Il motivo è inammissibile, dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale la denuncia in cassazione di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. può prospettarsi solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti, ovvero fondi la presunzione su fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito (Cass. Sez. 2, 21-3-2022 n. 9054); infatti, la valutazione della ricorrenza della precisione, gravità e concordanza e dell’idoneità degli elementi presuntivi aventi tale carattere a dimostrare i fatti ignoti da provare costituisce attività riservata in via esclusiva all ‘apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass. Sez. 1, 25-9-2023 n. 27266).
Nella fattispecie il ricorrente si limita a sostenere il peso probatorio degli elementi indiziari da lui indicati al fine di ritenere l’utilizzo inconsapevole del testamento falso da parte di NOME COGNOME sulla base dell’erroneo presupposto che la sentenza avesse l’obbligo di esaminare analiticamente tutti gli elementi, anche quelli ritenuti irrilevanti, e perciò con l’evidente e inammissibile finalità di ottenere in questa sede una diversa lettura dei dati di fatto.
La sentenza impugnata ha esposto in modo esente da qualsiasi vizio logico il quadro probatorio in forza del quale è giunta alla
conclusione che il nipote NOME COGNOME era consapevole del fatto di utilizzare testamento falso, in virtù della circostanza che egli sapeva che molti beni indicati nel testamento non appartenevano più da tempo al nonno con il quale egli aveva convissuto molti anni dopo la morte di entrambi i genitori, avuto riguardo al fatto che lo stesso non aveva spiegato come potesse confidare in buona fede che beni che non erano più del testatore da anni potessero essere oggetto di disposizione testamentaria, in relazione alla data del 23-7-2011 apposta su quel testamento; ha considerato che nel marzo 2011 i nonni NOME e COGNOME avevano querelato il nipote NOME per dissidi inerenti la conduzione dei terreni agricoli, che egli coltivava senza averne titolo, e nell’agosto 2011 lo aveva no convenuto in giudizio in relazione all’occupazione dei fondi, per cui non era credibile che il de cuius volesse beneficiare il nipote in un periodo così denso di attriti tra le parti; ha, altresì, considerato che la pubblicazione del testamento falso era avvenuta a febbraio 2014, senza che si sapesse nulla delle modalità di rinvenimento, e ha considerato il fatto che il testamento falso escludeva dalla successione NOME COGNOME il quale era invece persona di fiducia del de cuius, che lo aveva nominato suo procuratore.
La pretesa del ricorrente, secondo la quale gli elementi indiziari di segno diverso da lui dedotti avrebbero dovuto condurre la Corte d’appello a ritenere la buona fede di NOME COGNOME nell’utilizzazione del testamento falso, si concretano nella volontà di interferire in modo inammissibile nell’apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e incensurabile in questa sede in quanto immune da vizi logici e giuridici.
7. Con il sesto motivo il ricorrente deduce ‘omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 n. 5 c.p.c.’ e sostiene che, a fronte di tutte le inferenze di segno contrario indicate nel precedente motivo, il giudice di primo grado non sarebbe
dovuto arrivare all’accertamento dell’uso consapevole del testamento dichiarato falso; aggiunge che ha errato anche la Corte d’appello nel confermare la sentenza di primo grado, con l’aggravante che gli elementi indiziari ignorati dal Tribunale erano stati chiaramente sottoposti al suo esame.
7.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348 -ter, co.5, cod. proc. civ. ratione temporis vigente, in ragione dell’introduzione del giudizio d’appello successivamente all’11 -9-2012 (la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 28-2-2017) e all’introduzione del giudizio di cassazione prima del 28-2-2023, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme” , avendo la sentenza d’appello confermato quella di primo grado. In tale caso, il motivo di ricorso per cassazione proposto in relazione al n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3, 28-2-2023 n. 5947, Cass. Sez. 1, 22-12-2016 n. 26774, per tutte). Al contrario il ricorrente, limitandosi a lamentare che la Corte d’appello non abbia esaminato i fatti che secondo la sua tesi erano decisivi, così come già aveva fatto il Tribunale, presuppone l’inesistenza di una diversità tra le ragioni di fatto poste a fondamento delle decisioni di primo e di secondo grado.
8. Il settimo motivo è rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in relazione agli artt. 463 n. 6 c.c., art. 43 c.p. (elemento soggettivo) art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’; con questo motivo il ricorrente sostiene che, a fronte della necessaria ricorrenza del requisito oggettivo e del requisito soggettivo n ella fattispecie di cui all’art. 463 n. 6 cod. civ., ci si trovi di fronte all’elemento oggettivo della falsità del testamento contestato in entrambi i gradi d el giudizio e all’elemento soggettivo dell’uso
consapevole del testamento falso che non è stato oggetto di prova rigorosa.
8.1. Anche questo motivo è inammissibile, in quanto non individua alcuna violazione delle disposizioni richiamate, ma ripropone la tesi del ricorrente in ordine alla mancanza di prova della condotta che comporta l’ indegnità a succedere, in termini estranei al giudizio di legittimità.
In conclusione, il ricorso va interamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 c o. 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione, a favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 8.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa come per legge. Sussistono , ai sensi dell’ art. 13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione