Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22198 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22198 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10840-2021 proposto da:
NOME COGNOME , domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
Oggetto
Licenziamento
Spettanze retributive
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/06/2024
CC
INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 38/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 03/02/2021 R.G.N. 134/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), oltre che della RAGIONE_SOCIALE quale committente responsabile in solido per i debiti dell’appaltatrice, volto ‘a conseguire l’accertamento di illegittimità del licenziamento disciplinare comminatogli dalla RAGIONE_SOCIALE – alle cui dipendenze era stato addetto all’attività di autista, inquadrato nel quinto livello del CCNL di settore in forza di contratto di lavoro a tempo parziale formalizzato l’1 maggio 2015 e trasformato in rapporto a tempo pieno dall’1 settembre 2015 -nonché l’accertamento di spettanza delle differenze retributive maturate in relazione alle mansioni di fatto svolte, inquadrabili nel superiore quarto livello, ed all’osservanza di un orario eccedente le 39 ore settimanali, oltre che alla mancata erogazione di altri emolumenti retributivi ‘;
la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha innanzitutto ritenuto ‘corretta l’affermazione del Tribunale in ordine all’inutile decorso dal 9 gennaio 2018 al 13 marzo 2018 del termine di sessanta giorni fissato a pena di decadenza dall’art.
6 l. n. 604/66 per l’impugnativa del licenziamento’; ha, infatti, accertato ‘che in data 9 gennaio 2018 è stato immesso nella cassetta del destinatario originario ricorrente l’avviso di deposito della raccomandata consacrante la comunicazione del licenziam ento, di cui l’agente postale aveva tentato il recapito presso l’abitazione del predetto, risultato assente’;
ha quindi confermato la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha escluso che le mansioni di ‘corriere’ effettivamente svolte dall’istante, e cioè di ‘operaio addetto ad effettuare nell’arco della giornata lavorativa la consegna di merce entro una det erminata zona assegnatagli, mediante l’utilizzo di un furgone aziendale’, fossero riconducibili al quarto livello della scala classificatoria del CCNL Trasporto e Spedizione Merci Confetra (in particolare al profilo professionale di autista) in luogo del quinto livello formalmente riconosciuto al dipendente; passando alle rivendicazioni inerenti il lavoro straordinario, la Corte ha ritenuto che ‘la prova di questo non è stata fornita dal ricorrente nei rigorosi termini imposti dall’ormai consolidato orientamento della Giurisprudenza di legittimità (…). Al contrario, emergono dalla prova testimoniale elementi per affermare che la prestazione era richiesta al ricorrente odierno appellante nei limiti delle otto ore giornaliere per cinque giorni alla settimana, (…)’; ha aggiunto: ‘A fronte del quadro probatorio del ineatosi, non vi è luogo all’integrazione istruttoria sollecitata dall’appellante, in quanto nel caso di specie non ricorre una situazione di oggettiva insufficienza di elementi a sostegno dell’assunto attoreo, ma, al contrario, può dirsi raggiunta, attrav erso l’escussione del testi ammessi in primo grado, la prova negativa in ordine ai fatti dedotti in giudizio’;
secondo la Corte territoriale, infine, ‘analogo ragionamento presiede al rigetto della domanda di differenze retributive collegate alla mancata fruizione di ferie e permessi’;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il soccombente con dieci motivi, cui hanno resistito le società intimate con distinti controricorsi;
il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi del ricorso possono essere indicati secondo le sintesi offerte dalla stessa parte ricorrente;
1.1. con il primo ed il secondo motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) degli artt. 1334 e 1335 c.c., in relazione all’art. 6, co 1 L. 604/1966, con riferimento alla decorrenza del termine per l’impugnazione del licen ziamento’, nonché ‘Violazione e/o falsa applicazione (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) dell’art. 6, co 1 L. 604/1966, in relazione all’art. 24 Cost., con riferimento all’esercizio del diritto di impugnazione del licenziamento ed alla decorrenza dei relativi termini impugnatori secondo il principio di bilanciamento degli interessi tra datore e lavoratore’;
si sostiene che il licenziamento, pur atto unilaterale recettizio, ‘giammai può ritenersi presuntivamente e sostanzialmente pervenuto a conoscenza del lavoratore il giorno stesso in cui venga compiuto il (solo) tentativo di recapito al destinatario, stante l’assenza del destinatario o delle persone abilitate alla sua ricezione’;
1.2. col terzo e quarto motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) degli artt. 2697 e 27272729 c.c. in relazione all’art. 1335 c.c. e/o agli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla presunzione di conoscenza della comunicazione di licenziamento sul solo presupposto del rilascio dell’avviso di giacenza presso il domicilio del lavoratore e alla mancata ammissione di prova contraria’, nonché ‘Omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di contraddittorio tra le parti (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.), anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’omesso esame del contenuto del documento sub. 9 fasc. RAGIONE_SOCIALE (tracking spedizione racc. 1 lettera di licenziamento NOME COGNOME) e delle informazioni scritte fornite da Poste Italiane in data 2825/06/2019 al Tribunale di Pesaro’;
1.3. il quinto e sesto motivo denunciano: ‘Violazione e/o falsa applicazione (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), sotto molteplici profili, degli artt. 4, 6, 7, 8 e 11-quinquies del CCNL Trasporto e Spedizioni Merci Confetra del 01/08/2013, in relazione all’art. 2103 c.c., con riferimento alla sussumibilità della figura del c.d. corriere espresso nella declaratoria contrattuale, al riconoscimento dell’inquadramento superiore ed al relativo percorso logico argomentativo’, nonché ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103 e 1362-1363 c.c. (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.), anche in relazione agli artt. 113 e 115 co. 2 c.p.c., con riferimento al riconoscimento dell’inquadramento superiore ed al relativo percorso logico argomentativo’;
si critica diffusamente la sentenza impugnata per avere negato la richiesta azionata dal lavoratore di vedersi riconosciuto l’inquadramento superiore;
1.4. con il settimo e ottavo motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente (art. 360 co 1 n. 4
c.p.c.), con violazione degli artt. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., avendo omesso di palesare le argomentazioni logicoinduttive giuridiche esitate nel rigetto della domanda di riconoscimento dei compensi per lavoro straordinario’, ovvero (i n via subordinata) ‘Violazione e/o falsa applicazione (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) degli artt. 2697 co. 1, nonché dell’art. 2108 c.c., anche in relazione agli artt. 2727-2729 c.c. e 116 c.p.c., per aver ritenuto raggiunta la prova negativa in ordine all’esp letamento del lavoro straordinario sulla base di circostanze non univoche’;
1.5. il nono motivo lamenta: ‘Violazione e/o falsa applicazione (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) degli artt. 24, 36 e 111 Cost, degli artt. 2697 co 1, 2907 e 2108 c.c., nonché artt. 3 e 5, D.Lgs. 66/2003, anche in relazione agli artt. 115 co 1, 346 e 437 c.p.c., pe r non aver proceduto all’attività istruttoria integrativa richiesta sulla quantificazione del lavoro straordinario’;
1.6. il decimo motivo denuncia: ‘Nullità della sentenza per vizio di infrapetizione (art. 360 co 1 n. 4 c.p.c.), con violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo omesso di statuire su un punto della domanda devoluta al suo esame avente per oggetto il riconoscimento di differenze retributive inerenti ad automatismi contrattuali e altre voci retributive non ricomprese negli altri capi di domanda’;
i primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto censurano, sotto vari profili, la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto la parte ricorrente decaduta dall’impugnativa del licenziamento per decorrenza del termine di s essanta giorni previsto dall’art. 6 della l. n. 604 del 1966; il dies a quo è stato fatto coincidere con la data del 9 gennaio 2018 in cui la Corte territoriale ha accertato essere stato ‘immesso nella cassetta del destinatario
originario ricorrente l’avviso di deposito della raccomandata consacrante la comunicazione del licenziamento, di cui l’agente postale aveva tentato il recapito presso l’abitazione del predetto, risultato assente’;
le doglianze del ricorrente non risultano meritevoli di accoglimento;
2.1. la sentenza impugnata è conforme ad una risalente giurisprudenza di legittimità secondo cui la comunicazione di un atto negoziale recettizio, qual è il licenziamento, si presume conosciuto dal destinatario nel momento in cui è recapitato al suo indirizzo e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza, con la conseguenza che, ove l’atto recettizio venga comunicato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al destinatario per l’assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, si presume pervenuta alla data in cui è rilasciato il relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale, restando irrilevante il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l’avviso di giacenza e l’eventuale ritiro da parte del destinatario (in termini Cass. n. 23859 del 2018, che cita a supporto Cass. n. 27526 del 2013 e Cass. n. 6527 del 2003; v. pure Cass. n. 29237 del 2017; Cass. n. 6256 del 2016; Cass. n. 2847 del 1997; Cass. n. 8399 del 1996; Cass. n. 4909 del 1981);
inoltre, Cass. n. 23396 del 2017 ha ribadito il principio della coincidenza dell’operatività della presunzione di conoscenza con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata ritirata o dal compiersi della giacenza), esplicitamente confutando proprio
Cass. n. 25791 del 2016, che viene posta a fondamento dei motivi del presente ricorso;
detta pronuncia del 2017, qui condivisa, scrutina anche l’ipotesi del regolamento postale in base al quale l’«avviso» di giacenza, oltre che indicare il luogo (ufficio postale o centro di distribuzione), indica altresì la data e l’ora a partire dalle quali il ritiro potrà essere effettuato, in genere non coincidenti con la data e l’ora di pervenimento dell’avviso all’indirizzo stesso del destinatario, posteriori (di alcune ore o anche di un paio di giorni, specialmente in corrispondenza di festività) in relazione all’esigenza organizzativa di restituzione dei plichi all’ufficio e di loro razionale predisposizione per la distribuzione; al cospetto del problema di stabilire se sia valida ancora la soluzione giurisprudenziale per cui sia il rilascio da parte dell’agente postale dell’avviso di giacenza a segnare il momento di pervenimento della raccomandata all’indirizzo del destinatario ai fini anzidetti, o se invece detto momento debba essere posposto alla data e ora successivi, a partire dalle quali il plico ritorni effettivamente disponibile per la consegna, mancata all’indirizzo del destinatario, questa Corte, nel precedente citato, non ha ravvisato ragioni per tale posposizione, alla luce del fatto che, come detto, al momento della tentata consegna, seguita dal rilascio dell’avviso di giacenza, il plico è comunque pervenuto all’indirizzo del destinatario, realizzandosi così il presupposto dell’art. 1335 cod. civ., per cui la circostanza che le fasi temporali successive evidenzino ostacoli di mero fatto alla materiale conoscenza dell’atto, in relazione alle accennate esigenze organizzative del servizio postale (ma in maniera non dissimile, quanto agli effetti concreti, a quanto possa avvenire, ad es., in caso di consegna del plico a familiare convivente o al portiere che, poi, si assenti e non sia in grado per un breve
periodo di riferire in ordine alla consegna e rendere disponibile lo stesso) non può valere a introdurre differenziazioni nell’interpretazione della disciplina (in conformità, v. pure Cass. n. 8275 del 2019);
2.2. quanto alle censure con cui si lamenta la mancata ammissione della prova contraria alla presunzione di conoscenza stabilita per l’operatività dell’art. 1335 c.c. e l’omesso esame del contenuto di documenti, le stesse risultano inammissibili e, comunque, infondate; sono inammissibili laddove pretendono una rivalutazione dei materiali probatori ovvero non riportano adeguatamente i contenuti della prova che non sarebbe stata ammessa; che si tratti di rivalutazione di merito è reso chiaro dall’improprio riferimento alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
in ogni caso, le censure in esame risultano infondate perché la presunzione relativa dell’art. 1335 c.c. può essere vinta laddove la prova richiesta sia rivolta a dimostrare che il destinatario, rispetto alla dichiarazione giunta al suo indirizzo, provi ‘d i essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia’, mentre nella specie è certo che il COGNOME ha avuto conoscenza della comunicazione del licenziamento, avendo ritirato il plico postale, mentre è irrilevante -per quanto innanzi detto -che tale effettiva conoscenza sia successiva a quella della data di immissione dell’avviso nella sua cassetta delle lettere;
data di cui era evidentemente consapevole e a partire da tale data era computabile il termine di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale;
il quinto e il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto gravano il capo di sentenza con cui è stato negato il riconoscimento del rivendicato inquadramento superiore;
le censure ivi contenute non possono essere condivise;
3.1. i giudici del merito non hanno affatto disatteso il consolidato orientamento, oramai stratificato nella giurisprudenza di legittimità (tra molte: Cass n. 30580 del 2019; Cass. n. 10961 del 2018; Cass. n. 21329 del 2017; Cass. n. 39 del 2016; Cass. n. 24544 del 2015; Cass. n. 18040 del 2015), secondo il quale l’accertamento del diritto all’inquadramento superiore avviene seguendo un procedimento logico-giuridico articolato in tre fasi successive: occorre accertare in fatto le attività concretamente svolte dal lavoratore, individuare poi la qualifica rivendicata e le mansioni alla stessa riconducibili secondo la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva ed infine verificare che le prime corrispondano a queste ultime;
in particolare, si è precisato che, ai fini della determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune, al giudice del merito spetta dapprima identificare le qualifiche o categorie, interpretando le disposizioni collettive secondo i criteri di cui agli artt. 1362 ss. c.c.; deve poi accertare le mansioni di fatto esercitate e deve infine confrontare le categorie o qualifiche così identificate con le mansioni svolte in concreto;
mentre la prima operazione logica può essere censurata in sede di legittimità come violazione di legge per falsa o errata applicazione dei canoni ermeneutici anzidetti -ovvero, nel caso di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, successivament e alla modifica dell’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.,
operata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, anche per violazione o falsa applicazione di detta disciplina collettiva ( ab imo Cass. n. 6335 del 2014) -le altre due operazioni logiche attengono ad apprezzamenti di fatto ( ex pluribus , Cass. n. 17896 del 2007; Cass. n. 26233 del 2008; Cass. n. 26234 del 2008); si è poi evidenziato che l’osservanza del cd. criterio “trifasico” non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio (tra molte: Cass. n. 18943 del 2016); 3.2. ciò posto, la sentenza impugnata ha certamente operato secondo la sequenza procedimentale stabilita dall’orientamento
richiamato;
invece, la parte ricorrente, più che evidenziare realmente un errore di interpretazione che sarebbe stato commesso nell’ascrizione di significato alle declaratorie contrattuali, nella sostanza critica apprezzamenti di merito – compiuti dai giudici ai quali il merito compete – in ordine a quello che costoro hanno definito come ‘il profilo qualitativo della prestazione eseguita in costanza di rapporto’, oltre che in ordine alla non riconducibilità delle mansioni di ‘corriere’ a quelle di ‘autista’, quale prof ilo tipico del superiore inquadramento rivendicato, per sostanziale eterogeneità dei rispettivi compiti, con conseguente esclusione anche di qualsiasi ricorso all’interpretazione analogica;
si tratta di apprezzamenti di merito, peraltro con esiti concordi sia in primo che in secondo grado, i quali tengono conto delle circostanze del caso concreto, che evidentemente non possono essere oggetto di diversa valutazione in questa sede di legittimità;
i motivi settimo, ottavo e nono, concernenti il mancato riconoscimento di differenze retributive a titolo di lavoro straordinario, vanno esaminati congiuntamente per chiara connessione;
gli stessi non possono trovare accoglimento;
4.1. innanzitutto, può escludersi la nullità della sentenza per ‘motivazione apparente’, atteso che è certamente percepibile il percorso logico-giuridico che ha indotto il convincimento dei giudici d’appello nel respingere le pretese retributive legate allo straordinario, con una motivazione che sicuramente valica il cd. ‘ minimum costituzionale’, mentre non sono più sindacabili innanzi a questa Corte eventuali insufficienze argomentative;
4.2. la Corte territoriale, poi, ha fatto applicazione del principio per il quale il lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per il lavoro straordinario ha l’onere di dimostrare di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro, senza che possa farsi ricorso, nel relativo accertamento, al criterio equitativo di cui all’art. 432 c.p.c., atteso che tale norma riguarda la valutazione del valore economico della prestazione lavorativa e non già la sua esistenza (cfr. Cass. n. 4668 del 1993; Cass. n. 14466 del 1999; Cass. n. 1389 del 2003);
4.3. la valutazione sull’assolvimento dell’onere probatorio in ordine al lavoro straordinario prestato costituisce accertamento di fatto (Cass. n. 12434 del 2006; Cass. n. 3714 del 2009), sicché esso è censurabile in sede di legittimità secondo i canoni impost i dall’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. nella formulazione tempo per tempo vigente, incorrendo nella specie nella preclusione posta dalla cd. ‘doppia conforme’, che non può essere aggirata attraverso la prospettazione formale di violazioni di legge o di carenze motivazionali;
parimenti compete al giudice del merito il potere di valutare gli elementi di prova, comprese le presunzioni semplici, al fine di giungere, in termini sufficientemente concreti e realistici, ad una determinazione “minimale” delle ore prestate in aggiunta all’orario normale (Cass. n. 6623 del 2001; cfr. Cass. n. 11615 del 1995; Cass. n. 12884 del 1999);
4.4. in ordine alla critica rivolta alla Corte territoriale per non avere proceduto ad un ‘approfondimento istruttorio’ circa la ‘quantificazione del lavoro straordinario’, nella specie ‘non risulta assolto l’onere di specificare le circostanze, ipoteticamente decisive per le sorti della controversia, che avrebbero potuto essere riferite dai testimoni non escussi perché ritenuti non utili all’istruzione della causa’ (Cass. n. 6023 del 2009);
4.5. vi è infine da rilevare che i giudici d’appello come ricordato nello storico della lite hanno ritenuto che ‘A fronte del quadro probatorio delineatosi, non vi è luogo all’integrazione istruttoria sollecitata dall’appellante, in quanto nel caso di spe cie non ricorre una situazione di oggettiva insufficienza di elementi a sostegno dell’assunto attoreo, ma, al contrario, può dirsi raggiunta, attraverso l’escussione del testi ammessi in primo grado, la prova negativa in ordine ai fatti dedotti in giudizio .’; si tratta di una valutazione delle risultanze probatorie che compete tipicamente ai giudici del merito e il diverso convincimento espresso dalla parte soccombente non è sufficiente a determinare la cassazione della sentenza impugnata;
l’ultimo motivo di ricorso è fondato;
l’art. 112 c.p.c., rubricato ‘corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato’, governa il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice che deve provvedere ‘su tutta la
domanda’; l’affermazione della violazione di tale disposizione processuale per omesso esame di una domanda o per la pronuncia su di una domanda non proposta denuncia un error in procedendo del giudice di merito, nella specie correttamente dedotto a mente del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. in quanto determinante la ‘nullità della sentenza’;
l’omessa pronuncia può realizzarsi anche laddove il giudice non si sia pronunciato sul motivo di appello realmente veicolato nell’atto di gravame (tra molte: Cass. n. 16028 del 2023; Cass. n. 29952 del 2022; Cass. n. 41205 del 2021), salvo che questa Corte non possa evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, ove si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. n. 21968 del 2015; Cass. n. 17416 del 2023);
nella specie, la parte ricorrente, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, ha riportato nel motivo di ricorso in scrutinio, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi dell’atto di appello mediante i quali è stata devoluta alla Corte territoriale la questione avente per oggetto ‘il riconoscimento di differenze retributive inerenti ad automatismi contrattuali e altre voci retributive non ricomprese negli altri capi di domanda’;
la pronuncia qui impugnata non contiene alcuna statuizione sul punto, avendo delibato le pretese del lavoratore inerenti le differenze retributive in quanto collegate esclusivamente al superiore inquadramento rivendicato, allo straordinario e alla mancata fruizione di ferie e permessi;
pertanto, in accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata per il rilevato vizio processuale, non trattandosi di una questione di mero diritto,
onde consentire al giudice del rinvio di pronunciarsi su detto motivo di gravame;
in conclusione, respinti i primi nove motivi di ricorso, deve essere accolto il decimo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura ritenuta fondata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo anche sulle spese;
P.Q.M.
La Corte rigetta i motivi di ricorso dal primo al nono, accoglie il decimo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 5 giugno 2024.