Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25742 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7068/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio del difensore come indicato nella PEC, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2984/2021 depositata il 22/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 30.1.2020, NOME COGNOME deducendo di aver concesso con contratto del 11.11.2011 ad RAGIONE_SOCIALE l’affitto di terreni agricoli di proprietà siti nei comuni di Mogliano Veneto (TV), Marcon (VE) e Quarto d’Altino (VE), conveniva in giudizio la società affittuaria, chiedendo, previo accertamento della morosità nel pagamento dei canoni d’affitto a partire dal 2012, la risoluzione del contratto per grave inadempimento, e conseguentemente la condanna al rilascio dei fondi rustici affittati, nonché al pagamento di tutti i canoni insoluti fino al rilascio.
A sostegno della pretesa, la ricorrente deduceva che, nonostante le parti avessero concordato una durata annuale del contratto (con scadenza, dunque, al 10.11.2012), tale clausola era da ritenersi nulla in quanto alla stipula non aveva partecipato alcuna associazione professionale di categoria, e la scadenza naturale si sarebbe pertanto verificata solo al 10.11.2026, cioè una volta decorsi i 15 anni previsti come durata minima dalla legge n. 203/1982.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE il decimo giorno anteriore all’udienza fissata per il 2.12.2020, ovverosia domenica 22.11.2020, eccependo il difetto di competenza del giudice adito, attesa la clausola di arbitrato irrituale contenuta all’art. 11 del contratto di affitto. Nel merito, la società contestava le pretese avanzate dalla ricorrente, in particolare sostenendo di aver pagato integralmente la somma d € 11.800,00 prevista a titolo di canone annuale, per quanto riguarda la prima annata agraria, e successivamente di avere via via
compensato i canoni dovuti alla COGNOME con ulteriori controcrediti, spettanti alla società convenuta in ragione di rapporti di locazione ‘inversa’, con cui la resistente aveva concesso alla stessa COGNOME altri terreni finitimi di sua proprietà.
Con sentenza del 22.6.2021, il Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata Agraria, accertava la tardività della costituzione in giudizio della convenuta RAGIONE_SOCIALE la quale -scadendo il termine di domenica -avrebbe dovuto anticipare la costituzione al primo giorno utile non festivo, e cioè venerdì 20.11.2020.
Dichiarava la decadenza della resistente da tutte le eccezioni non rilevabili d’ufficio e dalle istanze istruttorie, nonché l’inammissibilità di tutti i documenti prodotti, e nel merito, disattesa la domanda di nullità del contratto d’affitto, accertava la durata annuale del contratto, accoglieva parzialmente la domanda della ricorrente, condannando l’affittuaria al rilascio dei terreni, nonché al pagamento di € 9.601,76 (giusta decurtazione, come richiesto dalla stessa COGNOME, di un controcredito di € 2 .198,24) a titolo di canoni insoluti, oltre interessi ex art. 1284, co. 1, c.c. dalla costituzione in mora (raccomandata del 28.7.2015) al deposito del ricorso ed ex art. 1284, co. 4, c.c. dal deposito del ricorso al saldo.
Avverso detta sentenza proponeva appello RAGIONE_SOCIALE formulando otto motivi di gravame, censurando l’eccezione di tardività della costituzione, nonché il mancato accoglimento della istanza di rimessione in termini; l’erroneo rigetto per inammissibilità, da parte del Giudice di primo grado, dell’eccezione di arbitrato irrituale e la mancata considerazione dei documenti prodotti; deduceva il vizio di ultrapetizione e contestava il capo di sentenza che non aveva concesso il termine di grazia per il pagamento dei canoni d’affitto.
Si costituiva nel giudizio di secondo grado NOME COGNOME la quale insisteva per il rigetto dell’appello. Per l’ipotesi di
riforma (anche parziale) della sentenza di prime cure in punto di durata del contratto, proponeva appello incidentale condizionato.
La Corte d’Appello, Sezione Specializzata per le Controversie Agrarie, con sentenza del 22 dicembre 2021 rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE con gravame delle spese.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a sei motivi. Ha resistito con controricorso NOME COGNOME
In data 16 marzo 2023 uno dei due originari difensori di parte ricorrente ha rinunciato al mandato.
La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c. e la parte resistente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 416 c.p.c., all’art. 155, commi 4), 5) e 6) c.p.c. all’art. 16 bis del d.l. n. 179/2012 sul PCT in merito al termine per il deposito telematico degli atti processuali, per avere la Corte d’appello ritenuto di accogliere l’eccezione di tardività della costituzione della parte convenuta; in subordine si lamenta la motivazione errata ed insufficiente (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Secondo la Società ricorrente, la costituzione nel giudizio di primo grado, avvenuta domenica 22 novembre 2020 per l’udienza del 2 dicembre 2020, sarebbe tempestiva rispettando il termine di 10 giorni indicato dall’art. 416 c.p.c. La tempestività derivereb be dalla disciplina del processo telematico.
Tali deduzioni, che portano a considerare tempestivamente avvenuto il deposito in data 22 novembre 2020 e quindi nel termine previsto dall’art. 416 c.p.c. di 10 giorni prima dell’udienza del 2 dicembre 2020, sarebbero da ritenere a maggior ragione confermate dall’entrata in vigore del processo telematico in quanto si tratta di
atto di costituzione intervenuto non con deposito ‘fisico’ in cancelleria, ma per via telematica con l’apposito deposito nell’ambito del processo civile telematico.
Rileva parte ricorrente che il DL ‘Orlando’ n. 179/2012 all’art. 16 bis comma 7 stabilisce che nei procedimenti civili ‘il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia’ e quindi il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori ha luogo esclusivamente con modalità telematiche e che il deposito telematico può essere effettuato entro le ore 24 del giorno di scadenza.
La questione del dover provvedere al deposito di un atto giudiziario nel giorno feriale antecedente al giorno festivo e non a quello feriale successivo era infatti oggetto di previsione che regolava i depositi manuali, legati alla apertura delle cancellerie, per gli atti in scadenza, appunto fino alle ore 14,00. In tale regime non era infatti possibile provvedere al deposito in un giorno festivo in cui erano chiuse le cancellerie, né in orario successivo a quello di apertura delle cancellerie.
Ma si tratterebbe, secondo la ricorrente, di questioni ormai superate nell’ambito del processo telematico in cui ciò che conta ai fini della tempestività è il ricevimento delle due pec di ‘accettazione’ e ‘consegna’ che costituiscono per il depositante e/o per il notificante la prova del rispetto del termine entro le ore 24,00 del giorno di scadenza.
Il motivo è infondato.
L’art. 16 bis, sub. n.7, del D.L. n. 179/2012 stabilisce che ‘Il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta
consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del Codice di procedura civile.’
Pertanto è corretta l’argomentazione della Corte d’appello secondo la quale ‘nei casi di termini ‘a ritroso’ che scadono in un giorno festivo, la scadenza non viene di diritto prorogata al giorno feriale successivo – giacché in tal caso il termine ritenuto congruo dalla legge a difesa della parte destinataria dell’atto processuale troverebbe un’ingiusta compressione – bensì è anticipata al giorno precedente non festivo, producendo il risultato, nella specie, di individuare il dies ad quem per un tempestivo deposito nella giornata di venerdì 20 novembre 2020 (Cass. civ., sez. VI-2, ord. n. 21335/2017; Cass. civ., sez. III, sent. n. 14767/2014; Cass. civ., sez. II, ord. n. 182/2011).’
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte (Cass Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7068 del 12/03/2020) in tema di computo dei termini a ritroso e della ulteriore considerazione secondo cui le modalità con cui è eseguito il deposito di un atto – di persona mediante accesso in cancelleria oppure a mezzo di deposito telematico – non incidono sulla regola, unitaria, relativa al calcolo dei tempi entro i quali il deposito stesso deve essere compiuto; pertanto, anche agli atti depositati con modalità telematiche si applica la regola secondo la quale anche lo spostamento nel tempo della scadenza dei termini da calcolarsi a ritroso, se cadenti in giorno festivo, dev’essere calcolato a ritroso, individuando il ” dies ad quem ” nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, non già nel giorno successivo, così da non abbreviare l’intervallo di tempo, previsto a tutela di chi deve ricevere l’atto (Cass. Sez. 3-, Sentenza n. 8496 del 24/03/2023, Cass. n. 12689 del 2024, in motivazione con riferimento specifico alla giornata del sabato).
Mette conto di rilevare che nel considerare una questione come quella posta dal motivo in esame è opportuno rimarcare che nella stessa giurisprudenza appena evocata (specie in Cass. n. 8496 del 2023) si coglie talvolta, peraltro, sebbene senza che esso incrini la validità della soluzione prescelta, un errore quanto all’assunto secondo cui il termine a ritroso sarebbe un termine c.d. ‘ libero ‘ .
Con riferimento al presente giudizio il termine per il deposito della comparsa di risposta, ma il discorso potrebbe estendersi alla comparsa di appello per l’appello incidentale e a quello per il deposito della memoria ex art. 378 c.p.c., tutti termini a ritroso, non sono termini ‘ liberi ‘ , in cui cioè non si computa né il dies a quo , né quello ad quem. Si tratta di termini non liberi, in cui non si computa solo il dies a quo .
L’argomento della tesi sopra condivisa fondato, dunque, in talune decisioni anche sulla necessità di garantire il destinatario secondo la logica del termine libero è ultroneo.
Nonostante l’inapplicabilità della detta logica, comunque la scadenza del termine a ritroso ‘non libero’ in un giorno festivo o di sabato deve essere interessata dalla disciplina dettata dall’art. 155 c.p.c.
L’art. 155 si applica ai termini c.d. a ritroso perché, in assenza di elementi contrari ed anzi essendo riferibile la nozione di proroga sia al termine ‘ in avanti ‘ , sia a quello ‘ a ritroso ‘ , atteso che una proroga rispetto alla scadenza è concepibile tanto in avanti quanto indietro, conforme alla natura, anzi al modo di calcolare il termine (cioè fino a o prima di). Il disposto dell’art. 155 c.p.c. norma, riferendosi al termine che viene a scadere in un certo giorno concerne sia il caso in cui il termine de bba calcolarsi per un’attività che deve essere compiuta entro una certa data o entro un certo evento (termine in avanti) e dunque a far tempo dal loro verificarsi, sia ai termini che debbono essere osservati per un’attività che l’ordinamento prescrive doversi compiere prima di una data futura, come accade appunto per i termini a ritroso.
Il testo dell’art. 155 c.p.c. si presta a regolare entrambe le ipotesi e soprattutto, si risolve, in realtà, in un vantaggio per chi deve osservare quel termine.
Infatti, la deroga all’osservanza del termine quando questo scadrebbe nel giorno festivo si spiega, determina l’esclusione dell’imposizione a chi deve osservare il termine del compimento dell’attività processuale nel termine a suo carico. Tale esigenza val e a prescindere dal se l’attività sia possibile o no (cosa, vigente il processo cartaceo, impossibile per le attività di deposito presso gli uffici, possibile per le sole attività notificatorie ad iniziativa del difensore).
Anche nel caso in esame, di termine con scadenza al sabato, il legislatore, prorogando quel termine, viene incontro sia alle esigenze di chi deve compiere l’atto sia della controparte.
Ciò perché il sabato non deve considerarsi giornata lavorativa, tenuto conto che il quinto comma consente le attività processuali di udienza ed ogni altra attività che non comporti il dover osservare un termine scadente il sabato.
La proroga del termine a ritroso scadente la domenica o il sabato o in giorno festivo, opera nei primi due casi, al venerdì precedente, nel terzo, al giorno precedente.
Tale proroga si risolve anche in un vantaggio per la controparte.
Infatti, quando si tratta di atto da depositarsi in giudizio ed il cui deposito rileva ai fini dell’acquisizione della conoscenza per la convenuta, se non vi fosse la proroga, detta parte si vedrebbe costretta a prendere visione dell’atto, a partire dal mo mento del giorno festivo, la domenica o il sabato, per fruire della intera durata del termine.
La proroga del termine a ritroso trova dunque una giustificazione nella garanzia della fruizione alla controparte dello stesso trattamento di chi deve compiere l’atto circa la giustificazione della proroga.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 153 e 294 commi 1 e 2 c.p.c., per avere la Corte d’Appello disatteso l’istanza formulata in via subordinata di remissione in termini, nonché in relazione agli art. 115 e 116 c.p.c. in merito alla valutazione delle prove. In subordine, si lamenta la motivazione manifestamente insufficiente ed apodittica (art., 360, n. 5 c.p.c.).
La ricorrente lamenta l’illegittimità del rigetto dell’istanza di rimessione in termini, giustificata invece, a suo avviso, dal malfunzionamento del server ministeriale che avrebbe impedito la costituzione della società nel giudizio di primo grado nella giornata di sabato 21 novembre 2020 ed in quelle precedenti.
Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse, rispetto alle doglianze relative ad un eventuale malfunzionamento del server nella giornata di sabato 21 novembre 2020. Infatti, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, la costituzione, per essere tempestiva, si sarebbe dovuta formalizzare nella giornata di venerdì 20 novembre 2020.
Sotto altro profilo -lo si dice ad abundantiam – la stessa sentenza impugnata precisa -con motivazione aggiuntiva e non decisiva – che non era stata documentato il malfunzionamento e la parte non ha individuato, nel ricorso, la fase processuale nella quale i documenti posti a sostegno della richiesta di rimessione in termini sarebbero stati ritualmente dedotti.
Per il resto, non è sindacabile in questa sede la valutazione relativa alla idoneità del materiale probatorio sottoposto all’attenzione della Corte territoriale la quale ha ragionevolmente argomentato che l’appellante ‘ha solamente dedotto, ma non provato, malfunzionamenti nel sistema telematico di deposito che gli hanno reso impossibile il deposito sabato 21 novembre 2020, a nulla rilevando i documenti depositati che fanno riferimento a disservizi
relativi a distretti di Corte d’Appello tra cui non rientra quello di Venezia.’
Si tratta di un apprezzamento che non può essere censurato sotto il profilo degli artt. 115 e 116 c.p.c., giacché ‘una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n.30186/2021)’.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 in relazione agli artt. 153 e 294 commi 1 e 2 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto di non accogliere l’istanza formulata in via subordinata di remissione in termini, in quanto ritenuta tardiva perché formulata non nell’atto di costituzione in giudizio ma alla prima udienza. In subordine deduce la motivazione manifestamente insufficiente ed apodittica (art. 360 n. 5 c.p.c.).
La società ricorrente, già in primo grado, aveva chiesto di essere rimessa in termini, ed in secondo grado aveva formulato analoga istanza rilevando che la richiesta di rimessione in termini, avvenuta alla prima udienza, a seguito dell’eccezione di tardivi tà della costituzione nel giudizio di primo grado, doveva ritenersi tempestiva e, pertanto, erroneamente respinta in base al combinato disposto degli artt. 153 e 294 c.p.c.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la argomentazione della Corte territoriale che riguarda una valutazione anche nel merito della fondatezza della istanza, escludendo tale profilo in ragione dell’imputabilità del ritardo alla stessa richiedente.
La Corte d’Appello rileva, infatti, che: ‘nemmeno può trovare accoglimento l’istanza di rimessione in termini riproposta in questo grado, in quanto, come puntualmente argomentato dall’appellata, in primo luogo il ritardo è imputabile all’appellante (che, c ome detto per non incorrere nelle decadenze e preclusioni era onerata della costituzione entro venerdì 20 novembre 2020 e nulla ha dedotto circa quel giorno). Tale profilo non è attinto dalla censura.
Sotto tale aspetto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di imputabilità del ritardo alla parte. L’istituto della rimessione in termini, di cui all’art. 153, secondo comma, c.p.c., presuppone un fatto impeditivo della tempestiva proposizione dell’impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e quindi non imputabile, della cui prova essa è onerata, avente carattere di assolutezza, e non di impossibilità relativa, né tantomeno di mera difficoltà (Cass., sez. un., 4 dicembre 2020, n. 27773), in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (Cass. n. 268 del 2022).
Con il quarto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. per non avere la Corte d’appello comunque valutato le prove relative all’avvenuto pagamento dei canoni con bonifico banca rio e compensazione dei crediti di RAGIONE_SOCIALE, nonché in relazione agli artt. 421 e 437 c.p.c. per non avere la Corte d’appello esercitato i poteri istruttori del giudice nel rito lavoro ex artt. 421 e 437 c.p.c. In subordine, lamenta la motivazione insufficiente ed apodittica (art. 360, n. 5 c.p.c.), anche in relazione all’esame dei documenti dimessi.
Il motivo è inammissibile alla stregua del consolidato principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un., n. 3840 del 2007: l’unica motivazione impugnabile era quella sulla tardività della costituzione e, quindi, delle produzioni.
Opera infatti il noto principio secondo cui qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ” ad abundantiam” nella sentenza gravata (Cass. Sez. U., 20/02/2007, n. 3840, Rv. 595555 – 01).
La Corte territoriale ha ritenuto assorbente il profilo della tardività della produzione documentale (‘il doc.1 del fascicolo di primo grado dell’appellante, ancorché prodotto tardivamente’) e tale rilievo non è superato dalle censure della ricorrente.
Sotto tale profilo diviene irrilevante l’esame delle cesure avverso l’autonoma motivazione con la quale la Corte ha ritenuto quella documentazione non idonea a dimostrare l’avvenuto pagamento del primo anno di canone, ‘dal momento che i vari bonifici docum entati anche nell’estratto del c.c. della signora COGNOME, riportano come causale solamente la generica dicitura ‘acconto affitti’, senza che sia possibile imputare detti versamenti all’uno piuttosto che ad altri, dei numerosi contratti d’affitto in essere tra le parti (come dedotto da ambo le parti;)’.
Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 in relazione all’art. 819 ter c.p.c. per avere la Corte d’Appello dichiarato inammissibile per tardività l’eccezione di incompetenza del giudice adito per l’esisten za di valida clausola arbitrale ex art. 806 c.p.c. in relazione alle controversie agrarie di cui all’art. 409, comma 2, c.p.c. In subordine lamenta la motivazione insufficiente ed apodittica (art. 360, n. 5 c.p.c.).
Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha rigettato l’eccezione sulla base della tardività della costituzione in giudizio rilevando che ‘pur non essendo direttamente applicabile, nel rapporto tra giudici ed arbitri irrituali, l’art. 819 ter c.p.c. che attiene unicamente all’arbitrato rituale, la parte che intenda far valere l’esistenza di una clausola di arbitrato irrituale è tenuta, a pena di decadenza, a sollevare l’eccezione di merito all’atto della tempestiva costituzione in giudizio (Cass. civ. Sez. Unite. sent. n. 19473/2016; Cass. civ. Sez. II, sent. n. 21177/2019). Per tutti i motivi sopra esposti, l’eccezione di RAGIONE_SOCIALE è inammissibile, in quanto tardiva’.
Tale argomentazione non è contrastata con il motivo, che invece si occupa della legittimità della clausola arbitrale sul presupposto che la materia degli affitti agricoli non rientrerebbe nel divieto di predisposizione di siffatte clausole riguardo alle materie previste dall’art. 409 c.p.c. non prevedendo una deroga rispetto alla competenza a decidere prevista dalla legge agraria n. 203 del 1982. Pertanto, vanno reiterate le considerazioni espresse per il motivo precedente alla stregua del consolidato principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un., n. 3840 del 2007 per cui l’unica motivazione impugnabile era quella sulla tardività della costituzione e, quindi, dell’eccezione di arbitrato.
Con il sesto motivo si deduce ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art. 11, comma 8, d. lgs. n. 150/2011 ed in subordine art. 360, n. 3) c.p.c.; comunque n. 5) art. 360 c.p.c.
La ricorrente si duole della mancata concessione del termine di grazia, ritenuta dalla Corte d’appello veneziana ‘richiesta manifestatamente incompatibile con la contestazione di nulla dovere alla ricorrente, per avere integralmente provveduto al pagamento, eccezione tuttavia non supportata, come visto, da adeguato corredo probatorio.’
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali in materia secondo cui nella controversia avente ad oggetto la risoluzione per inadempimento del conduttore di un contratto di affitto di fondo rustico, l’affittuario può beneficiare del termine di grazia alla duplice condizione, che formuli in modo espresso la relativa istanza e che le sue difese non risultino incompatibili con l’affermazione dell’esistenza del contratto e che il medesimo formuli un’istanza inequivoca, ancorché priva di formule sacramentali, volta a porre fine al merito della lite (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17008 del 20/08/2015).
Tale principio, benché formulato in relazione all’art. 46, comma sesto, della legge 3 maggio 1982, n. 203, può essere esteso anche all’art. 11 del d.lgs. n. 150 del 2011 (che recepisce il contenuto dell’art. 46 prima della sua abrogazione – Cass. ord. n. 25759/2019). Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore della controricorrente in € 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 13 maggio 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME