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Termine reclamo chiusura fallimento: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 4619/2024, ha stabilito che per determinare la tempestività di una domanda di equa riparazione per eccessiva durata di un processo fallimentare, il termine reclamo chiusura fallimento da considerare è quello vigente all’epoca di apertura della procedura principale, e non di quella del sub-procedimento di chiusura. Nel caso specifico, un fallimento iniziato nel 1988, si applica il termine lungo annuale e non quello semestrale introdotto dalla riforma del 2009, rendendo tempestiva la domanda dell’imprenditore.

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Termine Reclamo Chiusura Fallimento: La Cassazione Fa Chiarezza sul Principio Tempus Regit Actum

L’eccessiva durata dei processi è una delle problematiche più sentite del sistema giudiziario italiano. La Legge Pinto offre uno strumento di tutela, ma il suo accesso è vincolato a precisi termini di decadenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sul termine reclamo chiusura fallimento, un passaggio cruciale per calcolare la tempestività della domanda di equa riparazione. La Corte ha ribadito che la legge da applicare è quella in vigore all’inizio della procedura fallimentare, non al momento della sua conclusione, anche se questa avviene decenni dopo.

I Fatti di Causa: Un Fallimento Durato Oltre 23 Anni

La vicenda riguarda un imprenditore, socio di una società di calzature, dichiarata fallita nel lontano dicembre 1988. La procedura fallimentare si è protratta per un tempo eccezionalmente lungo, concludendosi solo nel luglio 2018. L’imprenditore, ritenendo che la durata di oltre 23 anni fosse irragionevole, ha presentato ricorso nel febbraio 2020 per ottenere l’equa riparazione prevista dalla Legge Pinto.

Il Giudice di primo grado ha accolto la sua richiesta, riconoscendogli un indennizzo. Il Ministero della Giustizia, tuttavia, ha proposto opposizione, sostenendo che la domanda fosse tardiva. Il fulcro della questione era il termine per considerare definitivo il decreto di chiusura del fallimento.

Il Dibattito sul Termine Reclamo Chiusura Fallimento

Il Ministero sosteneva che, al momento della chiusura del fallimento nel 2018, fosse in vigore la riforma del 2009 (Legge n. 69/2009), la quale aveva ridotto il termine lungo per le impugnazioni da un anno a sei mesi. Secondo questa tesi, l’imprenditore avrebbe dovuto presentare la domanda di equa riparazione entro sei mesi dalla scadenza di questo termine semestrale, e non l’aveva fatto.

La Corte d’Appello di Ancona aveva respinto l’opposizione del Ministero, aderendo all’orientamento secondo cui, per i procedimenti iniziati prima della riforma, continuasse ad applicarsi il vecchio termine annuale. Il Ministero ha quindi presentato ricorso in Cassazione per contestare questa decisione.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero, confermando la decisione della Corte d’Appello e consolidando un principio giurisprudenziale di notevole importanza.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che il reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento (previsto dall’art. 119 della Legge Fallimentare) non è un procedimento autonomo, ma una fase ‘endofallimentare’, cioè interna alla procedura principale. Come tale, esso non può essere soggetto a una disciplina processuale diversa da quella che regola l’intera procedura fallimentare.

Il principio cardine applicato è quello del tempus regit actum: la legge che governa un procedimento è quella in vigore al momento della sua instaurazione. Poiché la procedura fallimentare in questione era iniziata nel 1988, ben prima della riforma del 2009, tutte le sue fasi, inclusa quella conclusiva del reclamo, dovevano essere regolate dalle norme allora vigenti.

Di conseguenza, il termine per l’impugnazione del decreto di chiusura era quello lungo annuale previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 327 del codice di procedura civile. Calcolando la decorrenza da questo termine più ampio, la domanda di equa riparazione presentata dall’imprenditore risultava perfettamente tempestiva.

La Cassazione ha anche dichiarato inefficace il ricorso incidentale presentato dall’imprenditore (che lamentava un’insufficiente liquidazione delle spese legali), in quanto l’inammissibilità del ricorso principale travolge anche quello incidentale tardivo.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza la certezza del diritto per tutti coloro che sono coinvolti in procedure fallimentari di lunga data, iniziate prima delle riforme processuali degli ultimi anni. Il principio affermato è chiaro: per stabilire il termine reclamo chiusura fallimento e le relative conseguenze (come la decorrenza dei termini per la Legge Pinto), si deve guardare alla data di apertura del fallimento. Questo evita confusioni e garantisce un’applicazione uniforme della legge, proteggendo il diritto dei cittadini a ottenere un giusto indennizzo quando la giustizia impiega un tempo irragionevole per concludere un procedimento.

Quale termine si applica per impugnare un decreto di chiusura di un fallimento iniziato prima della riforma del 2009?
Si applica il termine lungo annuale previsto dalla versione dell’art. 327 c.p.c. precedente alla riforma, in virtù del principio ‘tempus regit actum’ secondo cui la legge applicabile è quella vigente al momento dell’apertura della procedura principale.

Perché il reclamo contro la chiusura del fallimento non è considerato un procedimento autonomo?
Perché è una fase ‘endofallimentare’, ovvero un sub-procedimento che si inserisce all’interno della procedura concorsuale principale e, come tale, è regolato dalla stessa disciplina processuale di quest’ultima.

Cosa succede al ricorso incidentale se il ricorso principale viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso incidentale è tardivo (cioè notificato oltre il termine per l’impugnazione autonoma), l’inammissibilità del ricorso principale ne determina l’inefficacia, come previsto dall’art. 334, comma 2, del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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