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Termine perentorio reclamo: l’appello è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una lavoratrice, confermando che il suo reclamo contro la sentenza di primo grado era tardivo. La decisione sottolinea che la comunicazione della sentenza via PEC è valida per far decorrere i termini e che il giudice può rilevare d’ufficio la tardività, indipendentemente dalla contestazione della controparte. Il punto chiave è il rispetto del termine perentorio reclamo.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Termine Perentorio Reclamo: Quando la Tardività Costa Caro

Nel mondo del diritto processuale, il tempo è un fattore cruciale. La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 6592/2024 ci ricorda in modo inequivocabile l’importanza del rispetto del termine perentorio reclamo. Il caso analizzato riguarda una lavoratrice che ha visto il suo appello dichiarato inammissibile perché depositato oltre la scadenza prevista dalla legge, una lezione fondamentale sull’importanza della diligenza e della corretta gestione delle comunicazioni telematiche.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un giudizio di impugnazione di un licenziamento per giusta causa. Il tribunale di primo grado aveva rigettato le doglianze della lavoratrice. La sentenza era stata comunicata dalla cancelleria ai difensori di entrambe le parti tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) il 28 maggio 2021. La lavoratrice, tuttavia, depositava il suo reclamo (appello) solo il 24 luglio 2021.

La Corte d’Appello, su eccezione della società datrice di lavoro, dichiarava il reclamo inammissibile per tardività. Secondo i giudici, il deposito era avvenuto ben oltre il termine di trenta giorni stabilito dall’art. 1, comma 58, della legge n. 92/2012 (cd. Rito Fornero), che decorreva dalla data di comunicazione della sentenza.

La Decisione della Corte sul Termine Perentorio Reclamo

La lavoratrice ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente applicato il principio di non contestazione, invertendo l’onere della prova riguardo all’avvenuta comunicazione della sentenza.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, definendolo inammissibile. I giudici hanno chiarito che la decisione della Corte d’Appello non si basava affatto sul principio di non contestazione, bensì su un accertamento fattuale. L’esame del fascicolo di primo grado aveva infatti confermato, senza ombra di dubbio, l’esistenza e la ricezione della comunicazione telematica della sentenza da parte del difensore della lavoratrice in data 28 maggio 2021.

Le Motivazioni

La Cassazione ha smontato la tesi difensiva della ricorrente, spiegando che l’argomento centrale della decisione d’appello (la ratio decidendi) era la prova documentale della notifica, non la mancata contestazione. Il riferimento della Corte d’Appello alla mancanza di deduzioni della reclamante sul punto nelle note scritte era solo un argomento aggiuntivo (ad abundantiam), non il fondamento della decisione.

Inoltre, la Corte ha ribadito un principio cardine del diritto processuale: la tardività di un’impugnazione è una questione che il giudice può e deve rilevare d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del processo, anche per la prima volta in sede di legittimità. Questo perché il rispetto dei termini perentori è un presupposto processuale la cui mancanza impedisce al giudice di esaminare il merito della questione. Di conseguenza, non vi è stata alcuna violazione delle regole sulla formazione della prova o inversione dell’onere probatorio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti spunti di riflessione:
1. Validità delle Comunicazioni Telematiche: La comunicazione di un provvedimento giudiziario tramite PEC al difensore è pienamente valida e sufficiente a far decorrere i termini per l’impugnazione. Questo impone agli avvocati una gestione impeccabile e costante della propria casella di posta certificata.
2. Rilevabilità d’Ufficio della Tardività: Il rispetto del termine perentorio reclamo non è un onere della parte resistente, ma un requisito di ammissibilità che il giudice deve sempre verificare. Affidarsi a una possibile inerzia della controparte è una strategia processuale estremamente rischiosa e, come dimostra questo caso, perdente.

La comunicazione della sentenza di primo grado tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) è sufficiente per far decorrere il termine per l’impugnazione?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che la comunicazione della sentenza eseguita dalla cancelleria tramite PEC ai difensori delle parti è un atto idoneo a far decorrere il termine breve per proporre reclamo.

Se la controparte non contesta la tardività del reclamo, il giudice può comunque dichiararlo inammissibile?
Assolutamente sì. La tardività dell’impugnazione è una questione rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento, poiché attiene a un presupposto di ammissibilità dell’azione stessa.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione non affronta la vera motivazione (ratio decidendi) della sentenza impugnata?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Per essere ammissibile, il ricorso deve confrontarsi specificamente con le ragioni giuridiche fondamentali che hanno sorretto la decisione impugnata, altrimenti le censure risultano inefficaci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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