Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22013 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 22013 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
SENTENZA
sul ricorso 29910-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ASSESSORATO DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO DELLA REGIONE SICILIANA – ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI COGNOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 627/2022 della CORTE D’APPELLO di COGNOME, depositata il 04/10/2022 R.G.N. 178/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Oggetto
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/07/2024
PU
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO COGNOME che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso e accoglimento del secondo motivo
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’opposizione di NOME COGNOME alla ordinanza ingiunzione n. 17/0687 in data 19 settembre 2017 emessa dal Dirigente dell’RAGIONE_SOCIALE e condannato l’opponente alla rifusione delle spese del giudizio di primo e secondo grado, come in dispositivo quantificate; la ordinanza contestava al COGNOME la violazione relativa all’RAGIONE_SOCIALE di un dipendente per il periodo 2/12 maggio 2011, senza la preventiva comunicazione al RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice di appello, sulla base di analitico esame della documentazione in atti e di quanto riportato nella ordinanza opposta ha escluso la configurabilità, ritenuta, viceversa, dal primo giudice, di un difetto di motivazione del provvedimento; ha inoltre escluso la tardività, per violazione del termini di legge ex art. 14 l n. 689/1981, della notifica del verbale relativo all’accertamento operato; invero, l’accertamento ispettivo iniziato il 3 ottobre 2012 si era concluso il 3 dicembre 2012 per cui la notifica della violazione, effettuata il 12 dicembre 2012, risultava rispettosa del prescritto termine di novanta giorni, essendo irrilevante la circostanza che la violazione fosse stata consumata nel periodo 2/12 maggio 2011.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di due motivi illustrati con memoria; la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 l. n. 689/1981 nonché illogicità della motivazione e omesso esame in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio. Censura la sentenza impugnata per avere fatto decorrere il termine di novanta giorni ex art. 14 cit. per la notifica della contestazione dalla data di inizio dell’accertamento – il 3 ottobre 2012 – rispetto ad una violazione risalente al periodo 2/12 maggio 2011; ascrive, inoltre, alla sentenza impugnata di non avere motivato in ordine alla congruità del differimento dell’accertamento ispettivo alla data del 3 ottobre 2021 cioè ben oltre 16 mesi dall’accertamento della violazione; sostiene che in base alla giurisprudenza di legittimità occorreva considerare anche il momento in cui si sarebbe dovuta compiere l’attività amministrativa; in questa prospettiva si duole del fatto che la Corte di merito non avesse motivato in ordine alle ragioni per le quali si poteva ritenere congruo un accertamento iniziato il 3 ottobre 2012 a fronte di una violazione commessa oltre un anno prima e comunicata ‘ nella sua evidenza’ al RAGIONE_SOCIALE il 12 maggio 2011.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e 23, comma 5 l. n. 689/1981 censurando la sentenza impugnata per averlo condannato al pagamento degli onorari e dei compensi di avvocato del giudizio di primo grado malgrado l’autorità amministrativa opposta si fosse costituita a mezzo di funzionario per cui avrebbe avuto diritto al solo riconoscimento delle spese vive, se provate, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 11389/2011, n. 30597/2017, n. 4536/2021).
Il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
3.1. La sentenza impugnata, nel respingere la doglianza, riproposta ex art. 436 c.p.c. dall’appellato, in punto di tardività della notifica del verbale di accertamento della violazione, doglianza fondata sul rilievo che la violazione si riferiva al periodo 2/12 maggio 2011 ed essendo la stessa di immediata contestazione non appariva giustificato il protrarsi dell’accertamento per oltre diciannove mesi, ha osservato che la notifica della violazione risultava tempestiva in quanto il termine di novanta giorni ex art. 14 l. n. 689/1981, doveva farsi decorrere dall’accertamento e non, come sembrava viceversa ritenere l’appellata, dalla data della violazione; ha quindi escluso la ‘lungaggine’ della indagine ispettiva ritenendo senz’altro congruo e ragionevole il termine di due mesi.
3.2. Secondo la giurisprudenza di legittimità ‘In tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’illecito, il momento dell’accertamento – in relazione al quale va collocato il “dies a quo” del termine previsto dall’art. 14, comma 2, della l. n. 689 del 1981 per la notifica degli estremi della violazione non coincide con quello di acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell’autorità che ha ricevuto il rapporto, ma va individuato nella data in cui detta autorità ha completato l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione; compete al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato. (Cass. 27405/2019, Cass. 27702/2019); è stato in particolare chiarito che ‘i limiti temporali entro i quali, a pena di estinzione dell’obbligazione
di pagamento, l’amministrazione procedente deve provvedere alla notifica della contestazione (art. 14, commi secondo e sesto della legge 689/81) devono ritenersi collegati all’esito del procedimento di accertamento (la legittimità della cui durata va valutata in relazione al caso concreto e sulla base della complessità delle indagini) e non anche alla data di commissione della violazione, dalla quale decorre il solo termine iniziale di prescrizione di cui all’art. 28 della legge citata. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la tardività della contestazione, relativa a violazione inerente agli adempimenti connessi all’assunzione di un lavoratore, intervenuta abbondantemente dopo il decorso del termine di 90 giorni, ritenendo irrilevanti, ai fini del differimento del termine iniziale di accertamento, gli atti istruttori compiuti dall’amministrazione -quali la data dell’ispezione e la richiesta di visura camerale) (Cass. 12093/2007); da tanto deriva che al fine della verifica del rispetto del termine in oggetto occorre individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione e che tale individuazione è compito del giudice del merito non sindacabile nel giudizio di legittimità ove congruamente motivata (Cass. n. 26734/2011, n. 9311/ 2007).
3.3. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi avendo ampiamente argomentato, con accertamento di fatto ad essa istituzionalmente devoluto, sia in ordine al fatto che il dies a quo di decorrenza del termine ex art. 14 l. cit. non doveva farsi decorrere dalla data della violazione, sia in ordine alle ragioni per le quali il tempo
impiegato per l’accertamento della violazione doveva ritenersi senz’altro ragionevole stante la necessità di indagini documentali e altro, da svolgere necessariamente anche nella sede lavorativa dell’opponente.
3.4. Tale valutazione non risulta validamente incrinata dalle censure svolte con il primo motivo di ricorso che si limitano a prospettare, in termini meramente contrappositivi, la possibilità di un diverso apprezzamento in ordine alla complessiva congruità dei tempi di accertamento della violazione rispetto alla data della sua consumazione, prospettazione intrinsecamente inidonea a dare contezza dell’errore in tesi ascritto al giudice di appello; in concorrente profilo deve inoltre evidenziarsi che parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., omette la trascrizione o esposizione per riassunto del contenuto dei documenti alla base delle censure ( v. documenti indicati a pag. 5, ultimo capoverso e pag. 6) e la indicazione della relativa collocazione topografica nell’ambito del giudizio di merito, come prescritto a pena di inammissibilità ( cfr . Cass. n. 195/2016, tra le tante, nonché Cass. Sez. Un. n. 5698/2012, Cass. Sez. Un. n. 22726/2011); detti documenti neppure risultano allegati al ricorso di primo grado, come prescritto dall’art. 269, comma 2 n. 4 c.p.c., a pena di improcedibilità.
4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
4.1. E’ dirimente a tal fine la considerazione che, ratione temporis , in ragione della data del deposito del ricorso di primo grado ( nell’ anno 2017), risulta applicabile la disciplina dettata dall’art. 152 bis disp. att. c.p.c., di applicazione del d.l. 1/2012 conv. in l. . 27/2012 che stabilisce per le amministrazioni assistite dai propri dipendenti la liquidazione del compenso spettante agli avvocati con riduzione del 20%
dell’importo complessivo ivi previsto. In conseguenza, alla luce della disciplina applicabile, non avendo parte ricorrente formulato specifiche censure relative al quantum in concreto liquidato, il motivo deve essere respinto.
Non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Non si fa luogo al regolamento delle spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 4 luglio