Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23235 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23235 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9296/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-ricorrente-
CONTRO
PROVINCIA DI SALERNO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, come da procura speciale digitale da intendersi in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la ordinanza della Corte di appello di Salerno n. 2634/2023, depositata il 12/10/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con decreto del 7/10/2016 la Provincia di Salerno espropriava mq 2074 di terreni in proprietà della società RAGIONE_SOCIALE; tuttavia, l’espropriazione effettiva era di mq 2597, quindi maggiore di mq 523.
Successivamente, il commissario ad acta con decreto di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, in data 18 del 2019, acquisiva il terreno residuo di mq 523, di cui al foglio 8, particelle 953 e 955, rispettivamente di mq 241 e mq 282.
La stima era di euro 60,00 al metro quadrato, per un indennizzo complessivo di euro 45.762,50.
L’opposizione della società comportava l’iscrizione nel R.G. 434/ 2019.
Con ulteriore decreto di acquisizione sanante in data 14/11/2019 si provvedeva nuovamente all’acquisizione dello stesso terreno, modificando l’importo complessivo in euro 46.285,50, in ragione di un maggiore periodo di occupazione, dal 5/12/2011 al 30/6/2019, mentre in precedenza il periodo di occupazione era considerato dal 5/12/ 2011 al 28/2/2019.
La successiva opposizione dava luogo al procedimento iscritto al R.G. 1115/2019.
I due giudizi venivano riuniti.
La Corte d’appello di Salerno, con ordinanza n. 2634/2023, depositata il 12/10/2023, rigettava le opposizioni.
Per quel che ancora qui rileva, distingueva, nell’ambito della superficie complessiva di mq 523, la superficie di mq 423, destinata a zona verde di rispetto stradale e la superficie di metri quadri 100 destinata a zona INDIRIZZO.
Il valore del terreno di cui alla zona INDIRIZZO era di euro 10,00 m².
Il valore del terreno di cui alla zona verde di rispetto stradale veniva determinato tenendo conto della natura non edificabile dello stesso, per la presenza della fascia di rispetto stradale, non essendo stata neppure individuata un’utilizzazione intermedia.
Veniva respinta la richiesta di determinazione dell’indennità di occupazione legittima, non essendo stato indicato il decreto di occupazione e il periodo di occupazione legittima.
Non vi era diminuzione di valore del fondo residuo, in quanto mancava il presupposto della titolarità del bene da parte del medesimo proprietario.
Per la Corte territoriale, al momento di emanazione dei decreti di acquisizione sanante, rispettivamente del 28/3/2000 e del 18/11/ 2019, la società aveva già venduto la superficie di mq 5503 (residuata dopo la prima espropriazione, da mq 8900 a mq 6026) ad altra società.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la società.
Il Consigliere coordinatore, con provvedimento del 26/11/ 2024, ha proposto la definizione del ricorso ex art. 380bis c.p.c., stante la tardività dello stesso, oltre il termine di sei mesi di cui allo art. 327 c.p.c.
La Procura Generale, in persona del dott. NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001. Art. 9 N.T.A. del P.R.T.V. del Consorzio ASI di Salerno».
Per la ricorrente, infatti, con lo specifico riferimento all’area di mq 523, l’esistenza della fascia di rispetto stradale non rendeva del tutto inedificabile il terreno, in presenza dell’art. 9 delle N.T.A., che conteneva la clausola «purché la relativa superficie risulti compatibile alla determinazione della volumetria della superficie edificabile sul restante suolo ablato».
Tale zona era edificabile in quanto generava una capacità edificatoria pari a 3,5 mc/mq per un indice di copertura pari a 0,4 mq/mc.
Inoltre, il vincolo della zona di rispetto avrebbe portato l’avanzamento di tale fascia all’interno dell’area residua rimasta in proprietà degli espropriati.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 32, 37, 42bis e art. 50 del d.P.R. n. 327/2001. Art. 9 N.T.A. del P.R.T.C. del consorzio RAGIONE_SOCIALE Salerno».
Per la ricorrente spettava anche l’indennizzo per occupazione legittima, in quanto l’occupazione dell’area era pacifica e non contestata, come emergeva dalle premesse del decreto di esproprio n. 1 del 2016.
L’occupazione vi era stata e per l’intera consistenza contestualmente; il diritto all’indennità ex art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001 discende direttamente dalla legge ed è connesso al periodo di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
La maggiore consistenza, oggetto di decreto di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, era ricompresa nel decreto di occupazione originario.
L’opera da realizzare, infatti, era unica, come unica era stata l’occupazione.
Diversamente, sarebbe comunque dovuta l’indennità di occupazione illegittima ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 32, 33, 37, 42-bis e art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001. Art. 9 N.T.A, del P.R.T.C. del Consorzio ASI di Salerno».
Sarebbe dovuta anche l’indennità per la diminuzione del valore del fondo residuo.
La circostanza che alla data del decreto di acquisizione sanante la ricorrente non fosse proprietaria di entrambi i fondi, non sarebbe idonea a determinare il mancato riconoscimento della richiesta indennità.
Al contrario, la circostanza che la ricorrente abbia trasferito il fondo residuo ad un prezzo inferiore a quello di mercato costituirebbe la prova evidente della riduzione di valore riconducibile all’intervenuta acquisizione sanante.
Il ricorso è inammissibile.
4.1. Invero, il provvedimento impugnato è stato pubblicato in data 12/10/2023, con conseguente scadenza del termine lungo di impugnazione, ex art. 327 c.p.c., della durata di mesi 6, al 12/4/ 2024 (venerdì).
La ricorrente non ha depositato la prova della notifica del ricorso, ma la procura ed il ricorso sono datati 15/4/2024 e nella nota di iscrizione a ruolo è indicata quale data di notifica il 15/4/2024.
Il consorzio controricorrente non ha eccepito la tardività, ma ha depositato copia della relazione di notificazione del ricorso (con data 15/4/2024) e la copia del messaggio inoltrato all’avvocatura contenente il ricorso, recante data 15/4/2024.
Peraltro, l’unico grado del giudizio di merito, avente per oggetto la determinazione di indennità per acquisizione sanante, è stato instaurato nel 2019, mentre il precedente giudizio dinanzi al Tar è stato introdotto nel 2017.
Persino il precedente giudizio di opposizione alla stima (in ogni caso relativa fondo contiguo) ha un numero di R.G. risalente al 2016.
Non v’è dubbio, dunque, che il termine di impugnazione sia quello «lungo» di sei mesi.
5. Inoltre, va precisato che per questa Corte (Cass., sez. 6-2, 18/ 3/2019, n. 7635), in tema di impugnazione, nel caso in cui su una sentenza risulti apposta un’unica data relativa alla sua pubblicazione con attestazione del competente cancelliere, non rileva, ai fini dell’individuazione del termine ordinario ex art. 327 c.p.c. (per il quale deve, perciò, farsi riferimento al dato temporale dell’intervenuta pubblicazione), il mero previo inserimento della sentenza nel registro cronologico, qualora manchino l’attestazione di altra data di deposito da parte del cancelliere e, quindi, la scissione temporale tra il momento del deposito e quello della pubblicazione (che devono, peraltro, essere, di regola, coincidenti), che ricorre nell’eventualità che siano apposte due distinte date di deposito (in tale ultima ipotesi trovando applicazione il principio sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18569 del 2016).
Più recentemente, si è affermato che il termine per l’impugnazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c. decorre dalla data di pubblicazione e non da quella di inserimento della sentenza nel registro cronologico; quest’ultima è irrilevante, a meno che non
siano apposte in calce alla sentenza due diverse date e risulti così realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione, la quale impone di accertare il momento in cui la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il suo deposito in cancelleria e l’inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo (Cass., sez. 3, 13/4/2023, n. 9917).
Contrariamente a quanto osservato dalla società nella memoria scritta, l’ordinanza della Corte d’appello di Salerno è stata depositata e pubblicata il 12/10/2023, mentre l’inserimento della sentenza nel registro cronologico è avvenuto il 13/10/2023, ma non può rilevare ai fini della individuazione del termine «lungo» per l’impugnazione.
Si è ritenuto che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. U, 27/9/2023, n. 27433; Cass., Sez. U, 13/10/2023, n. 28540; Cass., n. 11346/2024); tuttavia, la disposizione citata non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. U, 27/12/2023, n. 36069).
Nella specie non si rinvengono ragioni (stante la correttezza del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per
confermare il rigetto del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
La ricorrente soccombente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di euro 4.000,00, valutata equitativamente, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente della somma di euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente al pagamento della ulteriore somma di euro 4.000,00, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 maggio