Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33161 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33161 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13126/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO n. 973/2020, depositata il 08/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1. La RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro in composizione monocratica, per vedersi riconoscere l’equa riparazione in conseguenza del mancato rispetto del termine di ragionevole durata della procedura concorsuale iniziata con sentenza dichiarativa di fallimento della RAGIONE_SOCIALE in data 16.07.2003 e chiuso con decreto del 02.07.2018, rispetto alla quale la dante causa di RAGIONE_SOCIALE era stata ammessa al passivo.
Il Giudice Designato rigettava il ricorso in quanto la ricorrente non aveva dato prova della definitività del decreto di chiusura del fallimento nel termine indicato nel provvedimento dello stesso giudice ad integrazione della documentazione , come richiesto dall’art. 3, comma 4, della legge 24.03.2001, n. 89, che richiama i primi due commi dell’art. 640 del codice di procedura civile .
In sede di opposizione al decreto monitorio, la Corte d’Appello di Catanzaro, in composizione collegiale, confermava il decreto opposto, condividendone le argomentazioni (mancata integrazione della documentazione per come disposta dal giudice monocratico).
Il giudice dell ‘opposizione rilevava che non risultava in atti la prova del momento dell’avvenuta definitività del decreto di chiusura del fallimento, non sussistendo in atti alcuna attestazione o documentazione comprovante l’avvenuta (o non avvenuta) proposizione del reclamo avverso suddetto decreto, tale non potendosi ritenere l’attestazione di cancelleria dell a pubblicazione ex art. 17 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) , tra l’altro senza indicazione della data della stessa.
Avverso il decreto emesso in sede di opposizione proponeva ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidato a due motivi.
Resisteva il Ministero della Giustizia depositando controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, e dell’art. 4, legge n. 89/2001, in relazione all’art. 6, § 1 della Cedu, all’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui si è limitato a sanzionare la mancata produzione di un documento, senza peraltro collegare tale omissione ad un’effettiva ragione di infondatezza ovvero di inammissibilità della domanda.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 e 134 cod. proc. civ., in relazione art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Secondo la ricorrente, il rigetto della domanda di risarcimento unicamente per l’omessa produzione di un documento può essere considerata come motivazione apparente in quanto non prende in considerazione ragioni di rito (la ipotetica tardività della domanda di equa riparazione oltre il termine di cui all’art. 4), ovvero di merito (in ipotesi, il mancato decorso del periodo di ragionevole durata del processo presupposto).
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti connessioni logiche, e sono fondati.
3.1. Innanzitutto, questa Corte ha già spiegato che, pur ove sia stata respinta la domanda con decreto, ex art. 3, comma 6, legge n. 89/2001, per la sua insufficiente documentazione, il ricorrente può produrre gli atti e i documenti mancanti nella successiva fase d’opposizione, in quanto quest’ultima, per la sua natura pienamente devolutiva, non subordina l’esercizio di tale facoltà alla previa concessione del termine di cui all’art. 640, comma 1, cod. proc. civ. (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1524 del 2019; Cass. Sez. 6 – 2, 06/11/2015, n. 22763).
È agevole dedurre come la doverosa produzione da parte dell’istante degli atti introduttivi del giudizio presupposto sia intesa dalla legge come funzionale all’onere sullo stesso incombente di allegare e documentare l’intera durata dello stesso giudizio, inclusi i gradi e le fasi eventualmente non eccedenti gli standard di ragionevolezza, dovendo il giudice dell’equa riparazione procedere ad una ponderazione unitaria della durata del processo.
3.2. Tanto precisato, nella fattispecie deve farsi applicazione del previgente disposto di cui all’art. 119 della legge fallimentare, nella versione che ha preceduto la novella di cui al d.lgs. n. 5 del 2006 ed al d.lgs. n. 169 del 2007 (che hanno introdotto la previsione per la quale il termine per il reclamo va determinato in base a quanto disposto dall’art. 26 della medesima legge fallimentare).
Tuttavia, in relazione alla norma previgente di cui all’art. 119 della legge fallimentare, la Corte Costituzionale, con la sentenza del 23 luglio 2010 n. 279, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma del l’ articolo, nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei soggetti interessati e già individuati sulla base degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso il decreto motivato del Tribunale di chiusura del fallimento, dalla data di pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dall’art. 17 della stessa legge fallimentare, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altre modalità di comunicazione previste dalla legge.
3.2.1. Questa Corte ha ritenuto che, per le procedure di reclamo relative a procedure concorsuali cui non si applica la novella, deve in ogni caso trovare applicazione la regola generale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., che prevede il termine lungo di un anno per l’impugnazione: laddove sia stata omessa la comunicazione del decreto di chiusura del
fallimento, il medesimo diviene definitivo solo decorso un anno dalla sua pubblicazione, oltre la sospensione feriale dei termini (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 8088 del 21/03/2019, Rv. 653385 -01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 80 del 03/01/2024, Rv. 669914 -01; confermate da molteplici pronunce non massimate: nn. 4020/20, 19735/20, 19735/20, 19736/20, 19740/20, 28496/20, 4531/21, 17070/21, 32009/21, 34665/21, 35519/21, 36156/21, 13267/22, 13348/22, 13350/22, 15547/22, 17384/22, 21186/22, 30606/22, 14414/2022, 4465/23).
Principio, peraltro, non contraddetto da Cass. n. 221 del 09.01.2017 (citata nel decreto impugnato); in quell’occasione , questa Corte si è limitata a precisare che: la decisione che conclude il procedimento nel cui ambito si assume verificata la violazione, la quale segna il dies a quo del termine semestrale di decadenza per la proponibilità della domanda, può essere considerata «definitiva» se insuscettibile di essere revocata, modificata o riformata dal medesimo giudice o da altro giudice, chiamato a provvedere in grado successivo; che, pertanto, nelle procedure fallimentari giunte a compimento, il predetto termine semestrale decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non è più reclamabile in appello; che non si può considerare esaurita la procedura fallimentare per effetto della mera dichiarazione di desistenza rilasciata dai creditori.
Deve, inoltre, ribadirsi che al fine di stabilire se sia applicabile il termine lungo di sei mesi ex art. 327 cod. proc. civ., in luogo del termine di un anno, ai fini della proposizione del reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento non comunicato (secondo la versione dell’art. 119 della legge fallimentare anteriore alle riforme di cui al d.lgs. n. 5/2006 e al d.lgs. n. 169/2007 e all’esito della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza del Giudice delle leggi 23
luglio 2010, n. 279), occorre considerare non la data di instaurazione del subprocedimento di chiusura, bensì la data di apertura della procedura fallimentare, che rappresenta il giudizio presupposto rispetto al quale si lamenta la non ragionevole durata. E ciò perché il procedimento di reclamo e, a monte, il procedimento di chiusura del fallimento non costituiscono procedimenti autonomi occasionati dal fallimento – rispetto ai quali può applicarsi il principio tempus regit actum , con la conseguente applicabilità del termine lungo semestrale, ove ad essi sia stato dato impulso successivamente alla data del 4 luglio 2009, ai sensi dell’art. 58 della legge n. 69/2009 – ma sono piuttosto procedimenti endofallimentari, avverso l’esito della procedura, ai quali si applica la disciplina transitoria, da cui la riferibilità al termine di un anno oltre a quello della sospensione feriale dei termini (così, in motivazione, Cass., Sez. 2, n. 30606 del 18.10.22).
3.3. Pertanto, nel caso di specie la data di apertura della procedura fallimentare essendo il 16.07.2003, ad esso troverà applicazione il termine lungo annuale ex art. 327 cod. proc. civ. nella versione precedente alla riforma che, considerata la data di chiusura della procedura fallimentare, il 02.07.2018, tenuto conto altresì della sospensione feriale, diventava definitivo il 02.09.2019: pertanto, alla data di proposizione del ricorso monitorio, il 24.01.2020, non era ancora decorso il termine semestrale di sei mesi previsto dall’art. 4, legge n. 89 del 2001.
Il decreto impugnato merita, quindi, di essere cassato e il giudizio rinviato alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro , in
diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda