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Termine lungo fallimento: la Cassazione chiarisce

Una società chiedeva un’equa riparazione per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare. La richiesta era stata respinta per mancata prova della definitività del decreto di chiusura. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, specificando che per i fallimenti antecedenti alla riforma, in assenza di comunicazione del decreto, si applica il termine lungo fallimento di un anno per l’impugnazione. Di conseguenza, la domanda di riparazione era stata presentata tempestivamente. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una decisione nel merito.

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Termine lungo fallimento: la Cassazione chiarisce i termini per l’equa riparazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33161/2024, è intervenuta su una questione cruciale per chi richiede l’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi: il calcolo del termine lungo fallimento per le procedure antecedenti alle riforme. La pronuncia stabilisce che, in assenza di comunicazione del decreto di chiusura, il termine per l’appello è di un anno, non di sei mesi, con importanti conseguenze sulla tempestività della richiesta di indennizzo.

I Fatti di Causa

Una società, creditrice in una procedura fallimentare durata ben quindici anni (dal 2003 al 2018), presentava ricorso per ottenere un’equa riparazione ai sensi della Legge Pinto. La Corte d’Appello, sia in prima istanza che in sede di opposizione, rigettava la domanda. La motivazione? La società non aveva fornito la prova che il decreto di chiusura del fallimento fosse diventato definitivo, un requisito essenziale per stabilire il momento da cui far decorrere i sei mesi per presentare la domanda di indennizzo.

Secondo i giudici di merito, la documentazione prodotta non era sufficiente a dimostrare che contro il decreto di chiusura non fosse stato proposto reclamo. La società, ritenendo la decisione ingiusta e basata su un’interpretazione troppo formalistica, ricorreva per cassazione.

La Questione Giuridica: Il termine lungo fallimento e la prova della definitività

Il cuore della controversia risiedeva nel determinare quando il decreto di chiusura del fallimento potesse considerarsi ‘definitivo’. Questo momento, infatti, costituisce il dies a quo, ossia il giorno da cui inizia a decorrere il termine di sei mesi per chiedere l’equa riparazione.

Il problema nasceva dal fatto che la procedura fallimentare era iniziata nel 2003, quindi sotto il vigore della vecchia legge fallimentare, prima delle importanti riforme del 2006 e del 2007. La normativa previgente, peraltro dichiarata incostituzionale su questo punto, legava la decorrenza dei termini per l’impugnazione alla mera pubblicazione del provvedimento, anziché alla sua comunicazione personale alle parti interessate.

Quando la comunicazione manca, entra in gioco il cosiddetto ‘termine lungo’ per impugnare. La domanda era: questo termine è di un anno, come previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 327 c.p.c., o di sei mesi, come previsto dalla normativa post-riforma del 2009?

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, cassando il decreto impugnato e rinviando la causa alla Corte d’Appello per una nuova valutazione nel merito. I giudici di legittimità hanno ritenuto errata la decisione dei giudici di merito, che avevano respinto la domanda per un vizio puramente formale senza considerare la normativa applicabile al caso concreto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Cassazione ha fondato la sua decisione su due principi cardine.

In primo luogo, ha ribadito che nella fase di opposizione del procedimento per equa riparazione, il ricorrente ha pieno diritto di produrre i documenti che erano mancanti nella fase iniziale. Questo perché il giudizio di opposizione ha un ‘effetto pienamente devolutivo’, che consente un riesame completo della questione.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Corte ha chiarito come si calcola il termine lungo fallimento per le procedure iniziate prima delle riforme. I giudici hanno spiegato che per stabilire quale versione dell’art. 327 c.p.c. (che regola il termine lungo) applicare, bisogna guardare alla data di inizio della procedura principale, ovvero il fallimento, e non alla data dei singoli sub-procedimenti come quello di chiusura.

Poiché il fallimento era iniziato nel 2003, si applicava la versione dell’articolo precedente alla riforma della L. 69/2009, che prevedeva un termine lungo di un anno dalla pubblicazione del provvedimento. Di conseguenza, il calcolo corretto era:

* Data di chiusura del fallimento: 02/07/2018
* Termine lungo per il reclamo: 1 anno + sospensione feriale
* Data di definitività del decreto: 02/09/2019
* Termine per ricorso Legge Pinto: 6 mesi dalla definitività

La domanda di equa riparazione, presentata il 24/01/2020, risultava quindi ampiamente nei termini.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante chiarimento per tutti i creditori coinvolti in procedure fallimentari di lunga data. La Suprema Corte ha stabilito un principio di diritto chiaro: per i fallimenti iniziati prima delle riforme, se il decreto di chiusura non viene comunicato, il termine lungo fallimento per l’impugnazione è di un anno. Questo principio garantisce una maggiore tutela ai soggetti danneggiati dalla lentezza della giustizia, impedendo che le loro richieste di indennizzo vengano respinte per interpretazioni eccessivamente restrittive e formalistiche dei termini processuali.

Quando un decreto di chiusura del fallimento, emesso in una procedura ante-riforma, diventa definitivo se non viene comunicato alle parti?
Secondo la Corte, diventa definitivo dopo un anno dalla sua pubblicazione, a cui si aggiunge il periodo di sospensione feriale dei termini processuali. Questo perché si applica il ‘termine lungo’ previsto dalla versione dell’art. 327 c.p.c. in vigore prima della riforma del 2009.

È possibile presentare documenti mancanti nella fase di opposizione di un ricorso per equa riparazione (Legge Pinto)?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che il ricorrente può produrre gli atti e i documenti mancanti nella fase di opposizione. Questa fase ha natura pienamente devolutiva, consentendo un riesame completo della causa senza che sia necessaria una previa autorizzazione del giudice a integrare la documentazione.

Perché è importante la data di inizio della procedura fallimentare per determinare il termine di impugnazione del decreto di chiusura?
È fondamentale perché stabilisce quale disciplina legale applicare. La Corte ha chiarito che si deve guardare alla data di inizio della procedura principale (il fallimento) e non a quella dei sub-procedimenti. Per le procedure iniziate prima delle riforme del 2006/2007 e della legge n. 69/2009, si applica il termine lungo di un anno; per quelle successive, il termine è di sei mesi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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