Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20326 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20326 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8598 – 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE ope legis ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in Finale Emilia, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso il decreto n. cron. 4974/2021 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il 28/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/12/2023 dal consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 4974/2021 la Corte di appello di Ancona ha accolto l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento del Consigliere designato che aveva dichiarato inammissibili, per tardività, le domande, da loro proposte ex l. 89/2001, di indennizzo per equa riparazione dell’eccessiva durata di una procedura fallimentare, iniziata con dichiarazione di fallimento del 2001 e chiusa con decreto del 26 marzo 2018, nel cui passivo erano stati insinuati i loro crediti.
1.1. La Corte d’appello ha ritenuto, infatti, che il decreto di chiusura del fallimento, dalla cui definitività decorreva il termine per la proposizione della domanda di equo indennizzo, fosse divenuto definitivo a seguito della scadenza del termine di impugnazione di un anno e non di sei mesi, come invece ritenuto dal Consigliere designato, trovando applicazione l’art. 327 cod. proc. civ. nella formulazione anteriore alla riduzione del termine operata dall’art. 46 della legge n. 69 del 2009, per essere la procedura fallimentare iniziata nel 2001 e per non avere la fase di chiusura una sua autonomia, in quanto subprocedimento.
In accoglimento dell’opposizione, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello ha liquidato, in favore delle società opponenti, Euro 500,00 per compensi, a fronte del riconoscimento di un indennizzo di Euro 5.500,00 per ciascuna società.
Avverso questo decreto il Ministero ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un motivo; RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE si sono difese con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso principale, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il Ministero ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli art. 327 cod. proc. civ. e 119 della legge fallimentare (regio decreto n. 267/47), per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile, ai fini della definitività e, in conseguenza, della decorrenza del termine di decadenza ex dell’art. 4 l. 89/2001, il termine di un anno e non di sei mesi dalla pronuncia del decreto di chiusura, sebbene pronunciato nella vigenza della nuova formulazione dell ‘art. 327 cod. proc. civ. .
Il motivo è infondato.
In applicazione della disciplina transitoria prevista all’art.150 d.lgs. n.5/2006, alla fattispecie deve essere applicato l’art. 119 della legge fallimentare nella versione che ha preceduto la novella di cui di cui al d.lgs. n. 5 del 2006 e al d.lgs. n. 169 del 2007, con ciò escludendosi l’applicazione dell’art. 26 della stessa legge fallimentare : il fallimento è stato, infatti, dichiarato nel 2001.
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 23 luglio 2010 n. 279, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art.119, nella formulazione anteriore alla novella, nella parte in cui fissava la decorrenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento dalla data della sua pubblicazione nelle forme prescritte dall’art. 17 della stessa legge fallimentare, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito, effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altre modalità di comunicazione previste dalla legge. Conseguentemente, è stato stabilito che il reclamo avverso il decreto di chiusura che non sia stato comunicato sia proponibile nel termine RAGIONE_SOCIALE di decadenza
dall’impugnazione di cui all’art. 327 cod.proc.civ.: nella fattispecie, poiché la procedura fallimentare per cui è giudizio è iniziata nel 1995, il termine RAGIONE_SOCIALE è di un anno, atteso che l’art. 58, comma 1, della l.64/09 ha disposto che la previsione di cui al precedente art. 46, comma 17 -che ha abbreviato questo termine a sei mesi – si applica soltanto ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore.
Diversamente non può ritenersi in considerazione della pretesa natura di sub procedimento autonomo della fase di reclamo e, perciò, in riferimento alla data di pubblicazione del decreto di chiusura.
Sul punto, infatti, questa Corte ha già rilevato che il reclamo ex art. 119 legge fall. è diretto ad introdurre una fase endofallimentare che ha natura di procedimento incidentale all’interno della procedura concorsuale e, come tale, non può essere assoggettato ad una disciplina processuale differente da quella regolatrice del procedimento principale in cui si inserisce (Cass. Sez. 6 – 2, n. 8088 del 21/03/2019; Sez. 2, n. 17384 del 30/05/2022).
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha applicato il termine annuale e non semestrale, in riferimento alla formulazione dell’art. 327 cod. proc. civ. vigente alla data di inizio della procedura fallimentare.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e RAGIONE_SOCIALE hanno denunciato la violazione degli artt.91 e 92 cod. proc. civ., dell’art.2233 cod. civ. e del d.m. Giustizia n. 55/2014, per avere la Corte d’appello liquidato le spese in Euro 600,00 per compenso professionale, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, in evidente violazione dei limiti stabiliti dalla tabella n.12 del d.m. n.55/2014, applicabile alla fattispecie per giurisprudenza consolidata di legittimità.
2.1. Il motivo è fondato.
Le spese del giudizio di opposizione ex art. 5 ter l.89/2001 devono essere liquidate in applicazione della tabella 12 allegata al d.m. n. 55 del 2014, perché il procedimento camerale di equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo ha natura contenziosa (in ultimo, Cass. Sez. 6 – 2, n. 15493 del 21/07/2020).
Il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile ( ex plurimis , Sez. 2, n. 9815 del 13/04/2023).
L’analisi dettagliata delle voci di compenso spettanti, come compiuta nel motivo, mostra evidente la violazione dei limiti fissati nella liquidazione impugnata.
Il ricorso principale è, perciò rigettato; è accolto, invece, il ricorso incidentale, con conseguente cassazione della statuizione del decreto impugnato in punto di spese.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa è decisa in merito e le spese della fase di opposizione sono liquidate in complessivi Euro 3.118,00, oltre Euro 27 per esborsi, IVA e contributi come per legge e rimborso forfettario del 15%, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Le spese di legittimità, secondo soccombenza, sono poste a carico del Ministero e in favore delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, secondo la liquidazione operata in dispositivo in relazione al valore , con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato e, decidendo in merito, liquida
le spese della fase di opposizione in complessivi Euro 3.118,00, oltre Euro 27 per esborsi, IVA e contributi come per legge e rimborso forfettario del 15%, ponendole a carico del Ministero e in favore delle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e RAGIONE_SOCIALE, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario ;
condanna il Ministero al pagamento, in favore delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda