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Termine impugnazione espulsione: residenza e presenza

La Cassazione chiarisce il termine impugnazione espulsione. Un cittadino straniero, pur residente formalmente all’estero, se presente in Italia e qui radicato con legami familiari, non può beneficiare del termine più lungo di 40 giorni. Si applica il termine ordinario di 20 giorni, poiché la sua presenza fisica elimina le difficoltà pratiche che giustificano l’estensione del termine.

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Pubblicato il 5 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Termine Impugnazione Espulsione: La Presenza in Italia Annulla il Termine Lungo

Il rispetto dei termini processuali è un pilastro del nostro sistema giuridico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale: qual è il termine impugnazione espulsione corretto per un cittadino straniero che, pur essendo formalmente residente all’estero, si trova fisicamente in Italia e qui ha legami familiari? La risposta della Corte è netta e si basa su un principio di effettività: la presenza sul territorio nazionale prevale sulla residenza anagrafica.

I Fatti di Causa

Un cittadino tunisino ha impugnato un decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto. Il ricorso è stato presentato al Giudice di Pace, il quale lo ha dichiarato inammissibile per tardività. Secondo il giudice di primo grado, il ricorso era stato depositato oltre il termine di 20 giorni previsto dalla legge.

Il cittadino straniero ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il Giudice di Pace avesse commesso un errore. A suo avviso, essendo lui residente in Tunisia, avrebbe dovuto beneficiare del termine più lungo di 40 giorni concesso a chi risiede all’estero. A prova di ciò, ha prodotto una procura rilasciata nel suo paese di origine.

Tuttavia, un dettaglio fondamentale è emerso dagli atti del primo giudizio: lo stesso ricorrente aveva dichiarato di essere radicato in Italia dal 2020, vivendo con il padre, regolarmente soggiornante e con un lavoro stabile. Questa circostanza, inizialmente usata per motivare l’illegittimità dell’espulsione per via dei legami familiari, si è rivelata decisiva per la questione dei termini.

La Questione sul Termine Impugnazione Espulsione

Il cuore della controversia legale risiede nell’interpretazione dell’articolo 18, comma 3, del D.Lgs. 150/2011. Questa norma stabilisce due termini perentori per impugnare un provvedimento di espulsione:

* 20 giorni dalla notifica, come regola generale.
* 40 giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Il ricorrente chiedeva l’applicazione del termine di 40 giorni, basandosi sulla sua residenza formale in Tunisia. Il Giudice di Pace, invece, aveva applicato il termine breve di 20 giorni. La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere quale dei due termini fosse applicabile al caso di specie, considerando la dicotomia tra residenza formale all’estero e presenza fisica e integrazione in Italia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la decisione del Giudice di Pace. Il ragionamento dei giudici si è concentrato sulla ratio della norma che prevede un termine più lungo per i residenti all’estero.

Il termine di 40 giorni non è un beneficio automatico legato alla mera residenza anagrafica, ma una tutela pensata per superare le difficoltà concrete che una persona all’estero incontra nell’organizzare la propria difesa: trovare un avvocato in Italia, conferirgli il mandato a distanza e preparare il ricorso. Queste difficoltà, secondo la Corte, non sussistono quando la persona si trova già sul territorio nazionale.

Nel caso specifico, il ricorrente non solo era fisicamente presente in Italia al momento della proposizione del ricorso, ma aveva egli stesso affermato di essere integrato nel tessuto sociale e familiare italiano sin dal 2020. Questa affermazione, utilizzata per contestare nel merito l’espulsione, è diventata la prova che le difficoltà logistiche previste dal legislatore non esistevano. La sua presenza in Italia ha reso la sua situazione identica a quella di qualsiasi altra persona sul territorio nazionale, giustificando l’applicazione del termine ordinario di 20 giorni.

La Corte ha richiamato un precedente orientamento (Cass. 8378/2025), secondo cui la presenza dello straniero nel territorio nazionale al momento della presentazione della domanda è la linea di discrimine per l’applicazione del termine breve o lungo. Consentire a chi è presente in Italia di usare il termine per i residenti all’estero creerebbe un ‘indebito e generale allargamento dei termini’.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione stabilisce un principio chiaro: ai fini del calcolo del termine impugnazione espulsione, la condizione di ‘residente all’estero’ deve essere effettiva e non solo formale. La presenza fisica dello straniero sul territorio italiano al momento dell’impugnazione è il fattore determinante. Se la persona si trova in Italia, le ragioni che giustificano un’estensione del termine vengono meno e si applica il termine standard di 20 giorni. Questa decisione sottolinea l’importanza della coerenza delle argomentazioni difensive e riafferma un’interpretazione della legge basata sulla sostanza e sulla finalità della norma, piuttosto che su un’applicazione meramente formale.

Qual è il termine standard per impugnare un decreto di espulsione in Italia?
Secondo la legge citata nell’ordinanza (art. 18, comma 3, D.Lgs. 150/2011), il termine standard per proporre ricorso contro un provvedimento di espulsione è di venti giorni dalla sua notificazione.

In quali casi si applica il termine esteso di 40 giorni?
Il termine esteso di 40 giorni è previsto per i soli casi in cui il ricorrente risieda effettivamente all’estero. La ragione di questa estensione è quella di compensare le maggiori difficoltà pratiche nel preparare una difesa e conferire un mandato a un avvocato a distanza.

Una persona con residenza formale all’estero ma presente in Italia può beneficiare del termine di 40 giorni?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che se la persona, pur avendo una residenza formale all’estero, si trova fisicamente sul territorio nazionale al momento dell’impugnazione, deve rispettare il termine ordinario di 20 giorni. La sua presenza fisica elimina le difficoltà che giustificano il termine più lungo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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