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Termine impugnazione espulsione: la prova della residenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3218/2025, ha chiarito le condizioni per l’applicazione del termine di impugnazione espulsione esteso a 60 giorni. Un cittadino straniero aveva impugnato un decreto di espulsione oltre il termine di 30 giorni, sostenendo di essere senza fissa dimora e quindi equiparabile a un residente all’estero. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la condizione di ‘senza fissa dimora’ non equivale alla ‘residenza all’estero’. L’onere di provare la residenza estera per beneficiare del termine più lungo spetta esclusivamente al ricorrente, e la mancata prova rende l’impugnazione tardiva e inammissibile.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Termine impugnazione espulsione: 60 giorni solo con prova della residenza all’estero

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3218/2025) offre un importante chiarimento sul termine impugnazione espulsione, specificando le condizioni per l’applicazione del termine esteso di 60 giorni previsto per i residenti all’estero. La Corte ha stabilito un principio netto: la condizione di ‘senza fissa dimora’ in Italia non è sufficiente a giustificare l’applicazione del termine più lungo, poiché l’onere di provare l’effettiva residenza all’estero ricade interamente sul ricorrente.

I fatti del caso: un ricorso presentato oltre i termini

Il caso ha origine dal ricorso di un cittadino straniero contro un decreto di espulsione emesso dal Questore di Salerno e notificatogli il 9 ottobre 2023. Il ricorso veniva depositato presso il Giudice di Pace il 9 dicembre 2023, ovvero oltre il termine ordinario di 30 giorni previsto dalla legge. Di conseguenza, il Giudice di Pace dichiarava il ricorso inammissibile per tardività.

Il cittadino straniero proponeva quindi ricorso in Cassazione, sostenendo che a lui dovesse applicarsi il termine più favorevole di 60 giorni, previsto dall’art. 18 del D.Lgs. 150/2011 per i soggetti residenti all’estero. La sua tesi si basava sul fatto di essere ‘senza fissa dimora’ in Italia, una condizione che, a suo dire, lo equiparava a un non residente.

La questione giuridica e il termine impugnazione espulsione

La questione centrale verteva sull’interpretazione della norma che differenzia il termine impugnazione espulsione: 30 giorni per chi si trova in Italia e 60 giorni per chi risiede all’estero. Può la condizione di ‘senza fissa dimora’ essere equiparata a quella di ‘residente all’estero’ ai fini della concessione del termine più lungo? E su chi grava l’onere di provare tale residenza?

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e fornendo una motivazione chiara e basata su consolidata giurisprudenza.

L’onere della prova è a carico del ricorrente

Il primo punto fondamentale ribadito dalla Corte è che l’onere della prova circa il rispetto dei termini di impugnazione spetta sempre alla parte che propone il ricorso. È il ricorrente che deve dimostrare di aver agito tempestivamente, fornendo la prova dei presupposti che giustificano l’applicazione di un termine più lungo, come quello di 60 giorni. La Corte ha specificato che la mancata contestazione da parte dell’Amministrazione circa la presunta residenza all’estero è irrilevante, poiché la verifica della tempestività del ricorso è un compito che il giudice deve svolgere d’ufficio a tutela di un interesse pubblico.

‘Senza fissa dimora’ non equivale a ‘residente all’estero’

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra le due condizioni. Essere ‘senza fissa dimora’ in Italia indica semplicemente l’assenza di un’iscrizione anagrafica, ma non prova in alcun modo che il soggetto abbia stabilito la propria residenza effettiva in un altro Stato. La norma che prevede il termine di 60 giorni ha lo scopo di tutelare chi, trovandosi fisicamente all’estero, potrebbe avere maggiori difficoltà a esercitare il proprio diritto di difesa in tempi brevi. Tale ratio non si applica a chi si trova sul territorio nazionale, seppur in stato di irregolarità o senza una dimora stabile. Allegare di essere senza fissa dimora non è, quindi, una prova sufficiente per ottenere il raddoppio dei termini.

Le conclusioni: il principio di diritto

La Corte di Cassazione ha concluso enunciando un principio di diritto di notevole importanza pratica:

«Ai fini dell’applicazione del termine di sessanta giorni di cui all’art. 18, comma 3, d. lgs. n. 150/2011 per impugnare il decreto di espulsione, la parte che impugna ha l’onere di allegare e provare di essere residente all’estero, anche in caso di non contestazione da parte dell’Amministrazione… tale elemento non è surrogabile dalla allegazione che il ricorrente risulti senza fissa dimora nel territorio nazionale».

Questa ordinanza conferma che per beneficiare del termine impugnazione espulsione di 60 giorni, non basta un’autodichiarazione o una condizione di incertezza anagrafica in Italia. È necessaria una prova concreta e positiva della residenza effettiva in un altro Paese. In assenza di tale prova, si applica inderogabilmente il termine standard di 30 giorni, con conseguente inammissibilità di qualsiasi ricorso presentato oltre tale scadenza.

Qual è il termine ordinario per impugnare un decreto di espulsione?
Il termine ordinario per impugnare un decreto di espulsione è di trenta giorni dalla data di notificazione del provvedimento.

Quando si applica il termine più lungo di 60 giorni per l’impugnazione?
Il termine di sessanta giorni si applica esclusivamente se il ricorrente risiede all’estero e fornisce la prova di tale residenza. L’onere di dimostrare questa circostanza è interamente a suo carico.

Essere ‘senza fissa dimora’ in Italia è sufficiente per ottenere il termine di 60 giorni?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la condizione di ‘senza fissa dimora’ sul territorio nazionale non è equiparabile alla residenza all’estero e, pertanto, non è sufficiente per beneficiare dell’estensione del termine a sessanta giorni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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