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Termine impugnazione espulsione: la prova della residenza

Un cittadino straniero ha impugnato un decreto di espulsione oltre il termine di 30 giorni, sostenendo di avere diritto al termine più lungo di 60 giorni previsto per i residenti all’estero, in quanto “senza fissa dimora” in Italia. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo che per beneficiare del termine impugnazione espulsione esteso è necessaria la prova positiva della residenza all’estero, la quale non può essere dedotta dalla semplice assenza di un domicilio stabile in Italia. L’onere della prova grava interamente sul ricorrente.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Termine Impugnazione Espulsione: Essere Senza Fissa Dimora Non Equivale a Risiedere all’Estero

L’impugnazione di un decreto di espulsione è una procedura delicata, governata da termini perentori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un aspetto cruciale: la corretta interpretazione del termine impugnazione espulsione per i cittadini stranieri. La Corte ha stabilito che la condizione di “senza fissa dimora” in Italia non è sufficiente per beneficiare del termine più lungo di 60 giorni, riservato a chi risiede effettivamente all’estero.

I Fatti di Causa

Un cittadino di nazionalità bengalese riceveva un decreto di espulsione dal Questore di Salerno, con notifica in data 9 ottobre 2023. Il cittadino presentava ricorso contro tale provvedimento il 9 dicembre 2023, ovvero 61 giorni dopo la notifica. Il Giudice di Pace di Salerno dichiarava il ricorso inammissibile per tardività, poiché era stato depositato oltre il termine standard di 30 giorni.
L’interessato decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo che, essendo senza fissa dimora in Italia, avrebbe dovuto beneficiare del termine più lungo di 60 giorni previsto dalla legge per i ricorrenti che risiedono all’estero.

La Questione sul Termine Impugnazione Espulsione

La questione giuridica al centro del caso riguarda l’interpretazione dell’art. 18, comma 3, del D.Lgs. 150/2011. Questa norma stabilisce che il ricorso contro un provvedimento di espulsione deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notifica. Tuttavia, prevede un’eccezione: il termine è esteso a sessanta giorni “se il ricorrente risiede all’estero”.
L’argomentazione del ricorrente si basava sull’equiparazione della sua condizione di “senza fissa dimora” a quella di “residente all’estero”, un’interpretazione che, se accolta, avrebbe reso il suo ricorso tempestivo.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo un’interpretazione chiara e rigorosa della normativa. I giudici hanno sottolineato i seguenti punti chiave:

1. L’Onere della Prova: Spetta a chi impugna il provvedimento dimostrare di possedere i requisiti per beneficiare di un termine più favorevole. In questo caso, il ricorrente avrebbe dovuto non solo allegare, ma anche provare concretamente di essere residente all’estero al momento della notifica del decreto. La semplice dichiarazione di essere senza fissa dimora sul territorio italiano non è una prova sufficiente.

2. Nessuna Equiparazione: La condizione di “senza fissa dimora” in Italia non è giuridicamente equiparabile a quella di “residente all’estero”. La residenza all’estero è una condizione fattuale e giuridica precisa, che deve essere dimostrata. L’assenza di un domicilio registrato in Italia non implica automaticamente una residenza in un altro Stato.

3. Irrilevanza della Mancata Contestazione: Il ricorrente aveva evidenziato che l’Amministrazione non aveva contestato la sua affermazione di essere residente all’estero. La Corte ha chiarito che la tempestività del ricorso è una questione di ordine pubblico processuale. Il giudice ha il dovere di verificarla d’ufficio, indipendentemente dal comportamento delle altre parti in causa.

Conclusioni e Principio di Diritto

La Corte ha concluso enunciando un principio di diritto fondamentale: “Ai fini dell’applicazione del termine di sessanta giorni […] per impugnare il decreto di espulsione, la parte che impugna ha l’onere di allegare e provare di essere residente all’estero […]; tale elemento non è surrogabile dalla allegazione che il ricorrente risulti senza fissa dimora nel territorio nazionale”.
Questa decisione rafforza la necessità, per i cittadini stranieri, di fornire prove concrete della propria residenza all’estero se intendono avvalersi del termine di impugnazione esteso. La sentenza sottolinea il rigore formale delle procedure di impugnazione e ribadisce che l’onere di dimostrare i presupposti per deroghe ai termini ordinari grava interamente sulla parte che intende beneficiarne.

Qual è il termine ordinario per impugnare un decreto di espulsione?
Il termine ordinario per impugnare un decreto di espulsione è di trenta giorni dalla data di notificazione del provvedimento, a pena di inammissibilità del ricorso.

Per ottenere il termine più lungo di 60 giorni per l’impugnazione, cosa deve dimostrare il cittadino straniero?
Per beneficiare del termine esteso a sessanta giorni, il cittadino straniero ha l’onere non solo di dichiarare ma anche di provare concretamente di essere residente all’estero. La prova deve essere fornita al giudice.

Dichiararsi “senza fissa dimora” in Italia è sufficiente per ottenere il termine di 60 giorni?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la condizione di “senza fissa dimora” in Italia non è in alcun modo equiparabile alla residenza all’estero e, pertanto, non è sufficiente per giustificare l’applicazione del termine di impugnazione di sessanta giorni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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