Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12820 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12820 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
R.G.N. 26137/2019
C.C. 10/04/2024
VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: RAGIONE_SOCIALE, IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO; -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 921/2019 (pubblicata il 7 febbraio 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie depositate da entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Viterbo, avverso il decreto ingiuntivo n. 476/2009 emesso dallo stesso giudice su ricorso della RAGIONE_SOCIALE per l’ottenimento del pagamento della somma di euro 361.554,24, asseritamente corrispondente al prezzo residuo della vendita di traverse ferroviarie in legno, oltre interessi e spese, eccependo, preliminarmente, l’incompetenza del predetto Tribunale e instando, in ogni caso, per l’infondatezza dell’avversa pretesa. Nella costituzione della società opposta, l’adito Tribunale n. 995/2010, in accoglimento della suddetta eccezione preliminare di rito, dichiarava la sua incompetenza, rilevando la sussistenza della competenza del Tribunale di Roma, e revocava l’impugnato provvedimento monitorio.
Riassunto il giudizio avanti al Tribunale di Roma da parte della società RAGIONE_SOCIALE, che insisteva nella richiesta di pagamento dell’importo di cui al decreto monitorio, la società RAGIONE_SOCIALE vi si opponeva e formulava anche domanda riconvenzionale per la dichiarazione di risoluzione del contratto, con ritiro della merce consegnata a cura e spese della società riassumenteasserita creditrice, con restituzione in suo favore delle somme già versate a titolo di anticipo.
L’attrice, con la memoria prevista dall’art. 183, comma 6, c.p.c., modificava la sua originaria domanda in quella di risoluzione del contratto dedotto in giudizio per fatto e colpa della controparte, con la correlata condanna di quest’ultima al risarcimento del danno in misura pari al prezzo della fornitura ancora dovuto, con interessi e rivalutazione.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 3778/2014, accoglieva, per quanto di ragione, la domanda della società RAGIONE_SOCIALE,
affermando che non era stata fornita prova dei vizi della merce da parte della società RAGIONE_SOCIALE e, di conseguenza, dichiarava la risoluzione dei contratti per inadempimento di quest’ultima, disponendo la restituzione alla medesima della somma già versata alla venditrice, pari ad euro 147.000,00, ma respingendo la domanda risarcitoria proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nonché quella di rimborso delle spese di custodia.
Decidendo sull’appello avanzato dalla RAGIONE_SOCIALE, cui resisteva l’appellata RAGIONE_SOCIALE (la quale eccepiva, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’appello per assunta tardività), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 921/2019 (pubblicata il 7/2/2019), dichiarava l’inammissibilità dell’appello, condannando la società appellante alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia processuale, la Corte laziale rilevava la fondatezza dell’eccezione pregiudiziale formulata dalla società appellata, sul presupposto che l’appello della RAGIONE_SOCIALE dovesse considerarsi formulato oltre il termine semestrale previsto dall’art. 327, comma 1, c.p.c., nella versione modificata dall’art. 46, comma 17, della legge n. 69/2009, ritenuto ‘ratione temporis’ applicabile nella fattispecie, tenendosi conto che il giudizio di primo grado era stato instaurato dinanzi al Tribunale di Viterbo con citazione in opposizione notificata il 14 settembre 2009 e, poi, riassunto avanti al Tribunale di Roma, dichiarato competente, il 18 marzo 2011.
Pertanto, alla stregua del rappresentato quadro processuale, la Corte territoriale rilevava che, dovendo i due giudizi -quello di opposizione al decreto ingiuntivo e quello di riassunzione per effetto dell’intervenuta revoca dello stesso decreto monitorio -considerarsi autonomi, quello successivo avrebbe dovuto qualificarsi come processualmente nuovo, pur
avendo ad oggetto la proposizione della medesima domanda già svolta in INDIRIZZO monitoria. Quindi, trattandosi di un giudizio nuovo e dovendosi, perciò, ritenere irrilevanti ‘quoad processum’ sul piano temporale -avuto riguardo alla sopravvenuta entrata in vigore del modificato art. 327, comma 1, c.p.c., a decorrere dal 4 luglio 2009 – la data antecedente del deposito del ricorso (27 maggio 2009), quella di emissione del decreto ingiuntivo (28 maggio 2009) e quella di notificazione dello stesso provvedimento monitorio (22 giugno 2009), venendo in rilievo il solo momento della notificazione dell’atto di citazione in riassunzione avvenuta il 3 aprile 2015, l’appello avrebbe dovuto considerarsi tardivo e, quindi, inammissibile -in virtù della precedente pubblicazione della sentenza di primo grado verificatasi in data il 17 febbraio 2014, essendo risultato formulato oltre il termine di sei mesi (con l’aggiunta eventuale del periodo di sospensione feriale) contemplato dal suddetto art. 327, comma 1, c.p.c., nella versione modificata dall’art. 46, comma 17, della citata legge 18 giugno 2009, n. 69.
Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ha resistito con controricorso l’intimata RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 46, comma 17, e 58, comma 1, della legge n. 69/2009, in relazione all’art. 638 c.p.c.
Sostiene, al riguardo, la ricorrente l’erroneità della sentenza impugnata, con la quale -pur dandosi atto che la ‘pendenza del giudizio’ ai fini dell’operatività o meno del termine
semestrale di decadenza dell’appello di cui all’art. 327 c.p.c. come novellato dalla citata legge n. 69/2009 andasse individuata con riferimento alla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo -ha, poi, illegittimamente statuito che tale principio debba applicarsi alla fattispecie in cui il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sia stato regolarmente definito, nel mentre, nella fattispecie, lo stesso giudizio così come originariamente instaurato era stato definito con una sentenza di mero rito, ovvero con la dichiarazione di incompetenza del Tribunale adito in sede monitoria, davanti al quale si sarebbe dovuto ritenere iniziato un nuovo giudizio.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce -ancora ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 50 c.p.c., sul presupposto che la Corte di merito aveva considerato il giudizio conseguente alla sopravvenuta riassunzione come un nuovo giudizio, anziché come una prosecuzione di quello incardinato antecedentemente dinanzi al giudice poi dichiaratosi incompetente, con la conseguente applicabilità, sul piano temporale, della disciplina dell’art. 327 c.p.c. nella versione anteriore alla sua sopravvenuta modifica ad opera della legge n. 69/2009, dovendosi aver riguardo -ai fini della determinazione del momento della ‘pendenza della lite ‘ a quello del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo presso il Tribunale di Viterbo, pur se poi dichiaratosi incompetente (da cui sarebbe derivata la conseguenza dell’ammissibilità dell’appello, in quanto tempestivo, applicandosi, per l’appunto, il termine c.d. ‘lungo’ per impugnare previsto dalla precedente versione dello stesso art. 327 c.p.c.).
In via preliminare vanno respinte le due eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso formulate dalla controricorrente, sia perché non si ricade in una delle ipotesi
di cui all’art. 360 -bis, n. 1), c.p.c. (anzi dovendosi ritenere fondati i motivi, per quanto si dirà in appresso), sia perché il requisito previsto dall’art. 366, comma 1, n. 3), c.p.c. risulta legittimamente rispettato.
Ciò premesso, si ritiene che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto all’evidenza connessi. Essi sono fondati.
Occorre prendere le mosse -nella ricostruzione dello svolgimento della vicenda processuale – dal presupposto che, nel caso in esame, il ricorso per decreto ingiuntivo era stato depositato nella cancelleria del Tribunale di Viterbo il 27 maggio 2009 (con emissione del provvedimento monitorio il successivo 28 maggio 2009 e la conseguente notificazione il 22 giugno 2009), quindi prima dell’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, decorrente dal 4 luglio 2009.
Orbene, stante la pacificità di questo dato temporale, va evidenziato che la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che, i n base alla disposizione di diritto intertemporale di cui all’art. 58, primo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69, la data di instaurazione del giudizio per i procedimenti per decreto ingiuntivo va individuata in quella del deposito del ricorso per l’emissione dello stesso decreto, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il giudice investito dell’opposizione avverso il medesimo provvedimento monitorio si dichiari poi incompetente, con riassunzione del giudizio avanti al giudice ritenuto competente (cfr., ad es., Cass. n. 16005/2011 e Cass. n. 4987/2016).
Da tanto consegue che le controversie di opposizione a decreti ingiuntivi, emessi su ricorsi depositati anteriormente al 4 luglio 2009, sono soggette alle disposizioni del codice di procedura civile e a quelle di attuazione dello stesso codice
anteriori alle modifiche introdotte dalla citata legge n. 69/2009.
Pertanto, avuto riguardo alla riportata data di deposito del ricorso monitorio, nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione il disposto del previgente art. 327 c.p.c., contemplante -per il c.d. termine lungo ai fini dell’impugnazione quello di un anno (a cui aggiungere quello della sospensione feriale), considerando che il giudizio poi riassunto dinanzi al Tribunale di Roma costituiva -diversamente da quanto ritenuto con la sentenza qui impugnata una prosecuzione di quello originariamente intentato avanti al Tribunale di Viterbo, pur essendosi quest’ultimo dichiarato incompetente ed avendo disposto, per l’effetto, la revoca del decreto ingiuntivo.
E’ pacifico, infatti, una volta intervenuta la dichiarazione di incompetenza da parte del giudice che ha emanato il decreto ingiuntivo, pronunciata in sede di opposizione allo stesso (con la cui pronuncia venga disposta anche la revoca del provvedimento monitorio e che contenga, solo implicitamente, la declaratoria di invalidità del decreto medesimo), la tempestiva riassunzione dinanzi al giudice ritenuto competente non concerne la causa di opposizione, appartenente alla competenza funzionale e inderogabile del giudice che ha emesso l’ingiunzione e da questo definita con la decisione dichiarativa della sua incompetenza, ma la causa relativa alla pretesa azionata dal creditore, quale causa soggetta alla decisione secondo le regole della cognizione ordinaria piena; ne consegue che, in seguito alla declaratoria di incompetenza del giudice adìto in sede monitoria, caducato il decreto ingiuntivo, non viene meno la prospettiva della prosecuzione, dinanzi al giudice indicato come competente, ai
sensi dell’art.50 c.p.c., del giudizio di merito, che è destinato a proseguire nelle forme del procedimento ordinario.
In altre parole, quando, a norma dell’art. 50 c.p.c., la riassunzione della causa – disposta a seguito di una pronuncia dichiarativa di incompetenza – davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato dal giudice o, in mancanza, dalla legge, il processo continua davanti al nuovo giudice mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali di quello svoltosi davanti al giudice incompetente, poiché la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario (v., tra le tante, Cass. n. 9915/2019 e Cass. n. 5542/2021).
Pertanto, nel caso in esame, l’appello applicandosi il regime processuale antecedente dell’art. 327, comma 1, c.p.c. avrebbe dovuto essere considerato tempestivo.
Infatti, a fronte della pubblicazione della sentenza di primo grado avvenuta in data 17 febbraio 2014, l’appello risulta essere stato proposto con atto di citazione notificato il 3 aprile 2015 e, quindi, entro il termine massimo -avente come scadenza il 4 aprile 2015 – di un anno e 46 giorni (questi ultimi riferibili all’intervallo temporale dal 1° agosto al 15 settembre, coincidente con il periodo di sospensione feriale dei termini processuali).
E’ appena il caso di precisare che, ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, per il computo del termine di impugnazione cd. lungo, ex art. 327, comma 1, c.p.c., la modifica di cui all’art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014 (conv., con modif., dalla l. n. 162 del 2014), che, sostituendo l’art. 1 della l. n. 742 del 1969, ha ridotto il periodo di sospensione da 46 giorni a 31 giorni (dall’1 al 31 agosto di ciascun anno), ha trovato applicazione,
in mancanza di una disciplina transitoria, a partire dalla sospensione dei termini relativa al periodo feriale dell’anno solare 2015, non rilevando, a tal fine, la data dell’impugnazione o quella di pubblicazione della sentenza.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.