Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6849 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 6849  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8366/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliata    in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato COGNOME  NOME  (CODICE_FISCALE)  rappresentata  e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),  COGNOME  NOME  (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
LIQUIDAZIONE  DEL  PATRIMONIO  DI  COGNOME  NOME
-intimata-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di LUCCA n. 18/2019 depositato il 22/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il  Tribunale  di  Lucca,  con  decreto  depositato  il  22.1.2021,  ha rigettato    il  reclamo  proposto  dalla  RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto con cui il G.D. della procedura di sovraindebitamento, ex art. 3 L. 3/2012, di NOME COGNOME, ha ritenuto non ammissibile la domanda di insinuazione del credito di € 381.307,25, derivante da un contratto di mutuo ipotecario del 17.5.07.
Il giudice del merito ha evidenziato essere pacifico in causa che la domanda  proposta  dall’istante  di  partecipazione  alla  liquidazione del  patrimonio  di  NOME  COGNOME  fosse  tardiva,  essendo stata  presentata  successivamente  allo  scadere  del  termine  di  cui all’art. 14 sexies lett b) L. cit.
Orbene, ha affermato il Tribunale di Lucca che nella procedura de qua , a differenza di quella fallimentare, le domande tardive non sono previste, né può avere pregio l’argomento secondo cui il termine di cui all’art. 14 sexies lett b) L. cit. non è previsto come perentorio. Infatti, anche ove il termine sia ordinatorio non significa che la sua scadenza sia irrilevante, atteso che il suo mancato rispetto determina le stesse conseguenze della mancata osservanza di un termine perentorio, diversamente argomentando, termine ordinatorio sarebbe sinonimo di termine inutile. Pertanto, la scadenza del termine può essere superata soltanto ove il creditore non abbia ricevuto la comunicazione ex art. 14 sexies, oppure pur ricevuta la comunicazione, sussistano i presupposti per la rimessione in termini.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione C.F.
RAGIONE_SOCIALE, affidandosi ad un unico articolato motivo. La parte intimata non ha svolto difese.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’  stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 14  sexies,  septies  e  octies  L.  n.  3/2012  e  degli  artt.  152  e  153 c.p.c.
Espone la ricorrente che se è pur vero che nella L. n. 3/2012 non è prevista  la  verifica  ‘tardiva’  dei  crediti,  tuttavia,  il  termine  che viene  fissato  dal  liquidatore  per  la  presentazione  delle  domande non è previsto a pena di decadenza.
Farebbe,  inoltre, deporre  per  la  tesi della ammissibilità  della domande di partecipazione alla liquidazione  dopo  la  scadenza  del termine  la  previsione  dell’art.  14  octies  L.  3/2012  secondo  cui  il liquidatore esamina ‘le domande di cui all’art. 14 septies’ con ciò intendendosi, indistintamente, tutte le domande di partecipazione.
Tale  previsione  è  quindi  diversa  da  quella  di  cui  all’art.  95  L.F.  , secondo cui il curatore deve esaminare ‘le domande di cui all’art. 93’,  ossia  quelle  che  sono  pervenute  nel  termine  fissato  dal Tribunale per le tempestive.
Ancora, farebbe deporre per la non perentorietà del termine di cui è  causa  la  diversa  disciplina  introdotta  dall’art.  270  CCII,  che prevede un termine per la presentazione delle domande a pena di decadenza,  e  dall’art.  273  comma  7,  che  ammette  le  domande oltre il termine solo in caso di non imputabilità del ritardo.
La  ricostruzione  dei  giudici  dii  merito  si  porrebbe  in  conflitto  con l’art. 152 c.p.c.,  essendosi in presenza di un termine non previsto dalla  legge,  né  stabilito  da  un  giudice,  ma  che  viene  fissato  dal
liquidatore, ovvero da un organo amministrativo, nella fase amministrativa della verifica del passivo.
2. Il ricorso non è fondato.
La ricorrente invoca la proponibilità delle domande di partecipazione alla liquidazione del patrimonio del sovraindebitamento prescindendo dall’osservanza e dalla scadenza del  termine  previsto dall’art .  14  sexies  lett  b  L.  n.  3/2012.  In questa prospettiva, invoca un’interpretazione come se il suo testo presentasse una lacuna e necessitasse di un’integrazione.
La norma in oggetto è, invece, determinativa di un testo autosufficiente,    atteso  che    la  mancata  previsione  da  parte  del legislatore del 2012 della possibilità di proporre domande tardive è frutto  di  una  scelta  che  comporta  che  lo  stesso  legislatore  non abbia ritenuto ammissibile altro che la domanda tempestiva.
Le  Sezioni  di  questa  Corte,  nella  sentenza  n  38596/2021,  hanno chiarito  che  il  ricorso  all’analogia  non  può  mai  giustificarsi  in funzione ‘creativa’ da parte del giudice, ma solo quando ricorrano determinati precisi presupposti, esplicitati nei termini che seguono:
‘…..L’interpretazione, o applicazione, analogica o per analogia è costituita dunque dal procedimento mediante il quale chi interpreta ed applica il diritto può sopperire alle eventuali deficienze di previsione legislativa (c.d. lacuna dell’ordinamento giuridico) facendo ricorso alla disciplina normativa prevista per un caso “simile”, ovvero per “materie analoghe”: ciò, in forza dei principi fondamentali del nostro ordinamento, secondo cui il giudice deve decidere ogni caso che venga sottoposto al suo esame (“obbligo di non denegare giustizia”) e deve assumere la relativa decisione applicando una norma dell’ordinamento positivo (“obbligo di fedeltà del giudice alla legge” ex art. 101, comma 2, Cost.) (Cass. 8 agosto 2005, n. 16634).
Segnatamente,  quindi,  per  poter  ricorrere  al  procedimento  per analogia,  è  necessario  che:  i)  manchi  una  norma  di  legge  atta  a
regolare direttamente un caso su cui il giudice sia chiamato a decidere; li) sia possibile ritrovare una o più norme positive (c.d. analogia legis) o uno o più principi giuridici (c.d. analogia iuris), il cui valore qualificatorio sia tale che le rispettive conseguenze normative possano essere applicate alla situazione originariamente carente di una specifica regolamentazione, sulla base dell’accertamento di un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi (giuridici o di fatto) della vicenda regolata ed alcuni elementi di quella non regolata: costituendo il fondamento dell’analogia la ricerca del quid comune mediante il quale l’ordinamento procede alla propria “autointegrazione” (così ancora la menzionata decisione). Onde l’analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’incipit del precetto («se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»); l’art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie. La regola, secondo cui l’applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui, altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all’esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente compromissione delle prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Onde non semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da colmare facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi. Ciò tanto più quando si tratti di estendere l’applicazione di una disposizione specifica oltre l’ambito di applicazione delineato dal legislatore, ovvero di applicarla
“analogicamente” a vicenda concreta da questi non contemplata ed in presenza di diversi presupposti integrativi della fattispecie…’ .
Dunque, non si può ricorrere all’applicazione analogica semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, non integrando tale situazione ex se una lacuna normativa. L’analogia postula, infatti, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere altrimenti (art. 12 preleggi: «se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»). La previsione si spiega storicamente nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet , a causa della mancanza di norme che disciplinino la fattispecie.
Non è questo il caso di specie, atteso che, come sopra evidenziato, la  disciplina  dei  termini  nella  presentazione  delle  domande  di partecipazione alla liquidazione del patrimonio del sovraindebitato è ‘compiuta’ e se non prevede la disciplina delle domande tardive ciò si giustifica in ragione della peculiarità di tale procedura, improntata alla massima semplicità e celerità.
Non  si  può  accedere  all’interpretazione  invocata  dalla  ricorrente neppure prospettando che il termine di cui all’art. 14 sexies lett b) L.  n.  3  /2012  non  è  stato  previsto  a  pena  di  decadenza,  con  la conseguenza che una diversa interpretazione si porrebbe in conflitto con l’art. 152 c.p.c.
Sul punto, va osservato, che tale norma disciplina i termini per il compimento degli atti del processo, mentre gli atti del procedimento di liquidazione del patrimonio del sovraindebitato non sono atti processuali in senso proprio: sono atti di un procedimento  concorsuale  di  liquidazione  di  beni,  non  di  un  vero processo a parti contrapposte funzionale a una tutela dichiarativa.
In  questo  senso  soccorre  ciò  che  questa  Corte  ha  affermato  in procedimenti di analogo taglio.
In generale, ove ci si trovi in presenza di atti che non hanno natura processuale  in  senso  stretto,  questa  Corte  ha  affermato  che  il carattere  perentorio  di  un  termine  non  deve  necessariamente risultare  esplicitamente  dalla  norma,  potendosi  desumere  dalla funzione,  ricavabile  con  chiarezza  dal  testo  della  legge,  che  il termine è chiamato a svolgere (v. Corte Cost. n. 107/2003;  Cass. S.U.  n.  1111/1994;  vedi  anche  Cass.  n.  2608/1984;  Cass.  n. 1288/1988).
Dopodiché, questa Corte (vedi Cass. n. 30247/2019), in analoga prospettiva qual è quella della liquidazione concorsuale dell’eredità beneficiata, ha affermato ‘ che il termine previsto dall’art. 498, comma 2, c.c., entro il quale l’erede deve invitare i creditori e i legatari a presentare le dichiarazioni di credito, ha natura perentoria, in quanto coerente con l’esigenza di procedere in tempi ragionevoli alla liquidazione dell’eredità; in funzione della medesima necessità è perentorio anche il termine, fissato dal notaio, entro il quale i creditori e i legatari possono presentare le dichiarazioni di credito’.
Dunque, nella fattispecie di cui all’art. 498 c.c., caratterizzata dall’analoga situazione del concorso di più creditori e dalla liquidazione di un patrimonio (in questo caso ereditario), benché il termine ivi previsto non sia espressamente previsto come perentorio, questa Corte ha ritenuto di desumere la perentorietà dall’esigenza acceleratoria della procedura, che indubbiamente si riscontra anche nella liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato. Non vi è dubbio, infatti, che, anche in confronto con la disciplina della procedura fallimentare, l’esigenza di procedere alla rapida liquidazione del patrimonio emerge (nel sovraindebitamento) con evidenza sia nella fase di verifica del passivo, che in quella di eventuale contestazione della decisione sull’ammissione del credito, e pure in quella di liquidazione
dell’attivo, fasi la cui regolamentazione  è  caratterizzata dalla massima semplificazione del rito.
Nella procedura fallimentare, è il giudice delegato che provvede necessariamente all’esame di ciascuna domanda e forma lo stato passivo, mentre nella liquidazione ex art. 14 ter e ss. L. n. 3/2012 è il liquidatore che, dopo aver provveduto (come il curatore fallimentare) a predisporre il progetto di stato passivo, ove non vi siano osservazioni, lo approva, con la conseguenza che l’intervento del giudice è solo eventuale, in presenza di contestazioni non superabili. Anche la fase di eventuale impugnazione della decisione del giudice è assai più snella rispetto alla procedura fallimentare, non essendo previsto nella procedura di sovraindebitamento un vero e proprio procedimento di impugnazione articolato e minutamente disciplinato, come quello di cui all’art. 99 L.F., atteso che con il richiamo dell’art. 14 octies comma 4° all’art. 10 comma 6°, il legislatore ha previsto la possibilità di proporre reclamo con un procedimento del tutto deformalizzato, come si evince dal riferimento agli artt. 737 e ss. c.p.c., in quanto compatibili, che prevede termini sensibilmente più brevi di quelli previsti dal procedimento ex art. 99 L.F.
Pure, la fase liquidatoria è più snella, atteso che nella procedura fallimentare il programma di liquidazione ex art. 104 ter L.F. soggiace a termini specifici e alla susseguente sottoposizione al comitato dei creditori. Laddove, invece, nella procedura di liquidazione, a norma dell’art. 14 novies L. cit., il liquidatore deve elaborare il programma entro termini ben più ristretti (trenta giorni dalla formazione dell’inventario) e depositarlo direttamente in cancelleria, senza necessità di approvazione di altro organo. Invero, ‘tale programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura’.
Insomma, emerge, con evidenza che, analogamente alla liquidazione dell’eredità beneficiata prevista dall’art. 498  c.c.,
anche  la  procedura  di  liquidazione  del  sovraindebitato  è  tutta improntata, oltre che alla semplificazione, al suo sollecito svolgimento.
Ne segue che i termini che il legislatore ha previsto per la verifica dello stato passivo e per l’esame  delle  domande  hanno  un significato  pregnante,  e  non  possono  ritenersi  ‘inutili’  come sostanzialmente  pretenderebbe  la  ricorrente  –  solo  perché  non espressamente previsti a pena di decadenza.
La  loro  perentorietà -oggi  d’altronde  riconosciuta  nel  CCII  (art. 270) -discende quindi dalla loro funzione.
Pertanto,  è  preclusa  al  creditore  la  semplice  presentazione  di domande di partecipazione alla liquidazione oltre il termine ex art. 14  sexies  lett.  b)  L  n.  3/2012,  salvo  che  il  creditore  tardivo  non giustifichi  il  suo  ritardo  nell’ottica  di  un’istanza  di  remissione  in termini  (art.  153  c.p.c.),  dimostrando  l’esistenza  della  causa  non imputabile che abbia determinato la decadenza.
Si dice nel ricorso che l’ammissibilità della domande di partecipazione  alla  liquidazione  proposte  dopo  la  scadenza  del termine  previsto  dal  liquidatore  sarebbe  data  dalla  previsione dell’art. 14 octies L. 3/2012, secondo cui il liquidatore esamina ‘le domande di cui all’art. 14 septies’ con ciò intendendo, indistintamente,  tutte  le  domande  di  partecipazione  e  non  solo quelle pervenute prima della scadenza del termine ex art. 14 sexies lett b.
Tale  osservazione  non  può essere accolta perché non tiene conto della specificità della norma.
Va osservato che il legislatore della legge fallimentare, nell’art. 95 L.F., ha fatto espresso riferimento all’esame delle ‘domande di cui all’art. 93 L.F.’ non certo perché solo nella procedura fallimentare sono stati previsti -a differenza di quella di sovraindebitamento -dei termini perentori, ma  solo per distinguere le domande tempestive da quelle tardive di cui all’art. 101 L.F, precisazione che
non  occorreva  nella  legge  n.  3/2012  proprio  in  quanto  l’istituto delle tardive non  è presente in tale  disciplina.
Né può seguirsi la ricorrente nell’assunto che non si tratterebbe qui di termine legale (o giudiziale) in quanto fissato dal liquidatore.
Come  già evidenziato da questa Corte con riferimento alla procedura  di  liquidazione  dell’eredità  beneficiata  (cfr .  Cass.  n. 20713/2018), si è in presenza di un termine di fonte legale la cui semplice  determinazione  è  demandata  all’organo  della  procedura, sicché la conseguenza circa la perentorietà del medesimo -intesa come perentorietà di tipo funzionale -resta inalterata.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto l’inammissibilità della domanda presentata dalla ricorrente successivamente alla scadenza del termine stabilito dal liquidatore.
Invero,  la  ricorrente  non  ha  neppure  invocato  una  qualsivoglia giustificazione del suo ritardo.
In questa sede va enunciato il seguente principio di diritto:
‘Gli artt. 14 -ter e seg. della l. n. 3 del 2012 contengono una disciplina compiuta della liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, nella quale il termine ex art. 14 sexies lett. b) – la cui concreta determinazione è rimessa all’organo della liquidazione – è termine di fonte legale avente specifica funzione acceleratoria della procedura; ne segue che, pur non essendo espressamente previsto dalla legge a pena di decadenza, il termine va considerato perentorio. Pertanto, è preclusa al creditore la semplice presentazione di domande di partecipazione alla liquidazione oltre il termine citato, salvo che il creditore tardivo non giustifichi il suo ritardo nell’ottica di un’istanza di rimessione in termini (art. 153 c.p.c.), dimostrando l’esistenza della causa non imputabile che abbia determinato la decadenza’.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 26.2.2025