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Termine di tolleranza: quando il ritardo non basta

Un acquirente ha citato in giudizio una concessionaria per la risoluzione di un contratto di vendita, a causa della consegna di un veicolo oltre il termine di tolleranza di 40 giorni. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, chiarendo che una clausola contrattuale che concedeva all’acquirente un successivo periodo di 15 giorni per esercitare il diritto di recesso o di risoluzione, impediva che il ritardo della concessionaria, comunicato entro tale finestra temporale, costituisse un inadempimento grave tale da giustificare la risoluzione automatica del contratto.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Termine di tolleranza: quando il ritardo nella consegna non scioglie il contratto

Nel mondo dei contratti di compravendita, specialmente per beni complessi come un’automobile, le clausole sui tempi di consegna sono cruciali. Ma cosa succede se il venditore supera la data pattuita? Non sempre il ritardo giustifica la risoluzione automatica del contratto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce l’importanza di interpretare correttamente il termine di tolleranza e le clausole successive, che definiscono le opzioni a disposizione dell’acquirente.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda l’acquisto di un’autovettura nuova. L’acquirente, una società, aveva stipulato un contratto con una concessionaria, versando una cospicua caparra. Il contratto prevedeva un termine di tolleranza di 40 giorni per la consegna del veicolo dalla data di perfezionamento dell’accordo.

Trascorsi i 40 giorni senza che l’auto fosse consegnata, la concessionaria comunicava la disponibilità del veicolo circa due settimane dopo la scadenza. Ritenendo che il ritardo costituisse un grave inadempimento, la società acquirente adiva il tribunale per ottenere la risoluzione del contratto e la restituzione del doppio della caparra.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda dell’acquirente, dichiarando risolto il contratto per colpa della concessionaria. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, ritenendo che la risoluzione fosse invece imputabile all’acquirente. La questione è quindi giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e il Ruolo del Termine di Tolleranza

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’acquirente, confermando la sentenza d’appello. Il punto cruciale della decisione risiede nell’interpretazione di una specifica clausola contrattuale (l’art. 3.2 delle condizioni generali).

Questa clausola stabiliva che, una volta scaduto il termine di tolleranza di 40 giorni, l’acquirente aveva a disposizione un ulteriore periodo di 15 giorni per esercitare la facoltà di recesso o per agire in giudizio per la risoluzione. Secondo la Suprema Corte, questo periodo di 15 giorni non rappresenta un’estensione del tempo a disposizione del venditore per la consegna, bensì una finestra temporale in cui l’acquirente deve attivarsi per far valere i propri diritti.

Poiché la concessionaria ha comunicato la disponibilità del veicolo prima che l’acquirente esercitasse formalmente il suo diritto di recesso o risoluzione, e all’interno di quella finestra di 15 giorni, il suo ritardo non poteva essere qualificato come “grave inadempimento” ai sensi dell’art. 1455 c.c. In altre parole, la comunicazione del venditore, seppur tardiva rispetto ai primi 40 giorni, è stata considerata tempestiva rispetto al meccanismo contrattuale pattuito tra le parti.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato il proprio ragionamento sul principio dell’interpretazione letterale e sistematica del contratto (art. 1362 c.c.). La clausola non sommava i due termini (40 + 15 giorni) per creare un unico termine di consegna di 55 giorni. Al contrario, essa delineava una sequenza:

1. Scadenza del termine di tolleranza (40 giorni): A questo punto, sorge l’inadempimento del venditore.
2. Periodo di opzione per l’acquirente (15 giorni): L’acquirente ha 15 giorni per decidere se sciogliere il contratto (con recesso o azione legale) o attendere ancora.

L’inerzia dell’acquirente in questo secondo periodo, unita alla comunicazione di disponibilità del bene da parte del venditore, ha sanato la situazione, impedendo che l’inadempimento raggiungesse la soglia di “gravità” necessaria per la risoluzione. La Corte ha sottolineato che l’acquirente non aveva fornito prova di aver inviato alcuna comunicazione di recesso prima di ricevere il telegramma dalla concessionaria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: le clausole contrattuali devono essere lette con attenzione e nel loro complesso. Un termine di tolleranza non è sempre l’ultima parola sui tempi di consegna. Se il contratto prevede ulteriori passaggi o facoltà per l’acquirente insoddisfatto, è fondamentale che quest’ultimo agisca in modo tempestivo e formale per esercitare i propri diritti. L’invio di una raccomandata o di una PEC per comunicare la volontà di recedere o risolvere il contratto, entro i termini stabiliti, diventa un passo indispensabile. In assenza di tale attivazione, il venditore che adempie, seppur in ritardo ma prima di un’azione formale del cliente, può legittimamente considerare il contratto ancora valido ed esigibile.

Il superamento del termine di tolleranza per la consegna di un bene causa automaticamente la risoluzione del contratto?
No. Secondo la Corte, non è automatico se il contratto prevede un ulteriore periodo concesso all’acquirente per esercitare il suo diritto di recesso o risoluzione. Se il venditore comunica la disponibilità del bene entro questo secondo periodo, e prima che l’acquirente abbia agito, il ritardo potrebbe non essere considerato un inadempimento sufficientemente grave da giustificare la risoluzione.

Cosa significa la clausola che concede al compratore un ulteriore termine per recedere dopo la scadenza del termine di tolleranza?
Significa che, dopo la scadenza del termine principale, la palla passa all’acquirente. Non è un’estensione del tempo per il venditore, ma una finestra temporale entro cui l’acquirente deve decidere se sciogliere il contratto o meno. La sua inerzia in questo periodo, in attesa di un adempimento tardivo del venditore, può precludergli la possibilità di chiedere la risoluzione.

Quando un ritardo nella consegna diventa un “grave inadempimento” che giustifica la risoluzione?
La gravità dell’inadempimento deve essere valutata nel contesto specifico del contratto. In questo caso, la presenza di una clausola che dava all’acquirente un’opzione di 15 giorni dopo la scadenza ha fatto sì che il ritardo del venditore (avvenuto entro tale finestra) non fosse ritenuto di per sé grave. La gravità sarebbe potuta sorgere se il venditore non avesse consegnato neanche dopo il periodo di 15 giorni o se l’acquirente avesse esercitato il suo diritto di risoluzione prima della comunicazione di disponibilità del bene.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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