Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 545 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 545 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
Ministero della Giustizia , in persona del Ministro, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso i suoi uffici in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti allegata al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO INDIRIZZO
Controricorrente
avverso il decreto n. 425/2021 della Corte di appello di Perugia, depositato il 15. 7. 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28. 11. 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa ragioni della decisione
Con ricorso ex art. 5 ter della legge 24 marzo 2001, n. 89, depositato innanzi alla Corte d’Appello di Perugia, COGNOME NOME chiedeva l’indennizzo per equa riparazione per l’irragionevole durata di un analogo procedimento di equa riparazione.
Il giudice designato accoglieva in parte il ricorso, liquidando a favore della ricorrente la somma di euro 400,00.
Proposta opposizione da parte del Ministero della Giustizia , la Corte d’Appello in composizione collegiale, con decreto n. 425 del 2021, la rigettava, affermando che la ricorrente non era incorsa in decadenza, ai sensi dell’art. 4 legge n. 89 del 2001, avendo proposto la domanda di equa riparazione entro il termine di sei mesi dalla sentenza del Consiglio di Stato emessa a seguito di giudizio di ottemp eranza della precedente condanna all’indennizzo emessa nel giudizio presupposto.
Per la cassazione di questo decreto, con atto notificato il 26. 1. 2022, ha proposto ricorso il Ministero della Giustizia, sulla base di un unico motivo.
COGNOME NOME ha notificato controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio.
La controricorrente ha depositato memoria.
L’unico motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 4, legge n. 89 del 2001, e 6, par. 1, Conv. EDU, censurando la decisione impugnata per avere disatteso l’eccezione di decadenza, per tardività, del ricorso introduttivo. Sostiene il Ministero che, avendo la parte privata instaurato il giudizio di ottemperanza dopo avere già ottenuto, in sede esecutiva, una ordinanza di assegnazione delle somme, il termine semestrale ex art. 4, legge n. 89 del 2001 avrebbe dovuto essere calcolato con riferimento data di emissione di quest’ultima e non con riferimento alla sentenza del successivo giudizio di ottemperanza, il quale si sarebbe tradotto in un’attività del tutto superflua ed ultronea. D opo una ricostruzione dell’orientamento progressivamente formatosi in questa Corte in ordine ai rapporti tra procedimento di cognizione e fase esecutiva ai fini dell’applicazione dell’art. 4 citato, il ricorso ribadisce la necessità di ancorare il concetto di definitività al primo provvedimento esecutivo di assegnazione, assumendo che, diversamente
opinando, verrebbe a concedersi alla parte la possibilità di procrastinare indefinitamente il decorso del termine di decadenza stabilito dalla disposizione di legge citata.
Il motivo di ricorso è infondato.
La questione sollevata dal ricorso risulta già risolta di recente dalla giurisprudenza di questa Corte ( Cass. n. 33764 del 2022; Cass. n. 2 del 2023; Cass. n. 15771 del 2023; Cass. n. 15775 del 2023; Cass. n. 25456 del 2023 ), che nella specie va ribadita.
Occorre a tal fine prendere a riferimento quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 19883 del 2019, che, rivedendo il proprio precedente orientamento, hanno affermato che, ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso ex art. 4 della legge n. 89 del 2001, nel testo modificato dall’art. 55 del decreto legge n. 83 del 2012, conv. dalla legge n. 134 del 2012, risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata entro sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva e ciò sebbene nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo non vada considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva (quest’ultimo, invece, potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo). Nella medesima occasione è stato altresì affermato che il giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001 deve considerarsi sul piano funzionale e strutturale pienamente equiparabile al procedimento esecutivo, e da valutare unitariamente rispetto al giudizio che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo. La questione sollevata dal motivo in esame investe quindi non già la possibilità di equiparare il giudizio di ottemperanza a quello di
esecuzione, questione, come visto già risolta dall’intervento delle Sezioni Unite, quanto la possibilità che il creditore insoddisfatto possa avvalersi in via concorrenziale, e ciò in contemporanea ovvero in successione cronologica, del rimedio del giudizio di esecuzione e del giudizio di ottemperanza, lasciando però immutata la conseguenza in termini di unitarietà tra giudizio di cognizione e successivi rimedi satisfattivi, onde trarre l’ulteriore conseguenza, fatta propria dalla decisione impugnata, secondo cui il termine di decadenza per l’introduzione della domanda di equo indennizzo decorra dalla definizione positiva dell’ultimo dei rimedi intentati al fine di conseguire l’adempimento della prestazione dovuta.
Ritiene la Corte che la soluzione cui è pervenuto il giudice di merito sia corretta e che la stessa si imponga proprio alla luce dell’esigenza di interpretare le norme in esame in maniera da assicurare il rispetto dei principi sovranazionali, quali riaffermati dalla sentenza della Corte EDU Bozza c. Italia del 14 settembre 2017 (che ha poi determinato il ripensamento delle Sezioni Unite sopra ricordato), a mente dei quali l’esecuzione costituisce parte integrante del “processo” ai sensi dell’art. 6 CEDU, af fermandosi testualmente che “(…) il diritto a un tribunale sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse inoperante a scapito di una delle parti. L’esecuzione di una sentenza, indipendentemente da quale giudice l’abbia pronunciata, deve essere dunque considerata come facente parte integrante del processo ai sensi dell’art. 6 (si veda anche Bourdov c. Russia (n. 2), ric. n. 33509/04, p. 65, CEDU 2009)”. In questa prospettiva, può reputarsi che, intrapresa inizialmente la procedura esecutiva dinanzi al giudice ordinario, l’emanazione di un’ordinanza di assegnazione possa avere carattere definitivo e possa dalla sua emanazione farsi decorrere il termine pe r l’introduzione della domanda di equo indennizzo solo nel caso in cui alla pronuncia segua l’effettivo e concreto soddisfacimento della pretesa creditoria. Laddove, invece, pur a fronte di un provvedimento di assegnazione delle somme non sia seguita l’eff ettiva riscossione del dovuto, deve reputarsi che al creditore sia dato il ricorso al giudizio di ottemperanza (ben potendosi ipotizzare anche una coeva e
concorrente proposizione dei due rimedi), senza che il previo esperimento della procedura esecutiva funga da condizione ostativa, dovendosi avere riguardo all’esigenza reputata fondamentale dalla Corte EDU che il creditore riceva concreto ed effettivo soddisfacimento. In tal caso, il termine di decadenza di cui all’art. 4 citato non potrà che decorrere dalla definizione del giudizio di ottemperanza. Trattasi di conclusione che appare altresì avallata dal tenore letterale delle norme specificamente dettate in materia di esecuzione per obbligazioni scaturenti dall’applicazione della legge n. 89 del 2001 (art. 5quinquies), che, oltre a confortare il fatto che in sede esecutiva al creditore è data solo la possibilità di ricorrere al pignoramento presso il debitore (e cioè uno dei Ministeri indicati dall’art. 3 co. 2 della stessa legge), non esclude, m a piuttosto sottende (commi 7, 8 ed 11 del citato art. 5-sexies), il concorso tra i rimedi dell’esecuzione e dell’ottemperanza , come dimostrato nel caso di specie, avendo il giudice amministrativo ritenuto ammissibile e fondato il ricorso e disposto la nomina di un commissario ad acta per l’esecuzione del provvedimento di condanna. Correttamente, quindi, la decisione gravata ha ritenuto che il termine di cui all’art. 4 decorresse solo dalla definitività della pronuncia emessa in sede di ottemperanza, e che nella specie la domanda fosse stata presentata entro detto termine.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro1.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre 2023.