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Termine di decadenza equa riparazione: da quando decorre?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 545/2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo. Il caso riguarda una cittadina che, dopo aver ottenuto un indennizzo ma non il pagamento, ha dovuto avviare sia un’esecuzione forzata che un successivo giudizio di ottemperanza. La Corte ha chiarito che il termine di decadenza di sei mesi per richiedere un nuovo indennizzo per la lentezza della fase esecutiva decorre dalla conclusione dell’ultimo rimedio esperito, e non dal primo, qualora quest’ultimo non abbia portato all’effettivo soddisfacimento del credito. Questa decisione rafforza la tutela del creditore contro l’inerzia della Pubblica Amministrazione.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Termine di Decadenza Equa Riparazione: Quando Scatta se lo Stato non Paga?

Ottenere una sentenza favorevole è solo metà della battaglia; l’altra metà è vederla eseguita. Questo principio è ancora più vero quando il debitore è lo Stato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: il termine di decadenza per l’equa riparazione nei casi in cui l’esecuzione di un precedente indennizzo si rivela lunga e tortuosa. La decisione chiarisce da quale momento inizia a decorrere il termine di sei mesi per chiedere un nuovo indennizzo a causa della lentezza della fase esecutiva, offrendo una tutela rafforzata al cittadino.

I Fatti del Caso

Una cittadina, dopo aver vinto una causa per l’irragionevole durata di un processo (ai sensi della Legge Pinto), si è vista negare il pagamento dell’indennizzo liquidato dal Ministero della Giustizia. Per recuperare quanto le spettava, ha avviato una procedura esecutiva ordinaria, ottenendo un’ordinanza di assegnazione delle somme. Tuttavia, neanche questo provvedimento ha portato al pagamento effettivo.

Di fronte a questa ulteriore inerzia, la creditrice ha intrapreso un’altra via: il giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo. Anche questo secondo procedimento si è protratto a lungo. Esasperata dai ritardi accumulati anche nella fase di recupero del credito, la cittadina ha deciso di avviare una nuova causa per equa riparazione, questa volta per l’eccessiva durata della fase esecutiva. Il Ministero si è opposto, sostenendo che la domanda fosse tardiva, in quanto presentata oltre sei mesi dopo l’emissione della prima ordinanza di assegnazione.

La Questione Giuridica e il Termine di Decadenza Equa Riparazione

Il nodo della questione era stabilire il dies a quo, ovvero il giorno da cui far partire il termine di decadenza di sei mesi per la proposizione della nuova domanda di indennizzo. Secondo il Ministero, tale termine doveva decorrere dalla data di emissione dell’ordinanza di assegnazione, considerata come l’atto conclusivo e definitivo della procedura esecutiva. L’avvio del successivo giudizio di ottemperanza era, a suo dire, un’azione superflua che non poteva spostare in avanti la scadenza.

Di parere opposto la cittadina e la Corte d’Appello, secondo cui il termine doveva decorrere solo dalla conclusione del giudizio di ottemperanza, ovvero l’ultimo rimedio concretamente esperito per ottenere l’adempimento della prestazione dovuta.

La Decisione della Corte sul Termine di Decadenza Equa Riparazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, confermando la correttezza della decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che, ai fini del calcolo del termine di decadenza per l’equa riparazione, ciò che conta non è la conclusione formale di un singolo atto esecutivo, ma il conseguimento dell’effettivo e concreto soddisfacimento della pretesa creditoria.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su principi di derivazione europea, in particolare sull’articolo 6 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è costante nell’affermare che l’esecuzione di una sentenza è parte integrante del “processo”. Un diritto riconosciuto da un tribunale sarebbe “illusorio” se l’ordinamento interno permettesse che una decisione giudiziaria definitiva restasse ineseguita.

Di conseguenza, se un primo rimedio esecutivo (come l’ordinanza di assegnazione) si rivela inefficace, il creditore ha il diritto di avvalersi di altri strumenti a sua disposizione, come il giudizio di ottemperanza. In questo scenario, la fase esecutiva può considerarsi conclusa solo con la definizione dell’ultimo dei rimedi intentati. Pertanto, il termine di decadenza per chiedere un indennizzo per la lentezza di questa fase decorre non dal primo provvedimento inefficace, ma dalla pronuncia che conclude l’ultimo percorso giudiziario intrapreso per ottenere il pagamento.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale a forte tutela del creditore. Il principio affermato è chiaro: il termine per agire per la lentezza della fase esecutiva non può iniziare a decorrere finché il creditore non ha esaurito i rimedi a sua disposizione per ottenere l’effettivo pagamento. L’emanazione di un provvedimento esecutivo che non viene onorato non costituisce un punto di arrivo, ma solo una tappa di un percorso che si conclude unicamente con la riscossione delle somme dovute. Questa interpretazione impedisce che il debitore pubblico possa trarre vantaggio dalla propria inerzia e garantisce che il diritto all’equa riparazione sia sostanziale e non meramente formale.

Da quando decorre il termine di sei mesi per chiedere l’equa riparazione per la lentezza della fase esecutiva?
Il termine decorre dalla definizione positiva dell’ultimo dei rimedi intentati dal creditore al fine di conseguire l’effettivo e concreto adempimento della prestazione dovuta, specialmente se i rimedi precedenti non hanno portato al pagamento.

Se un’ordinanza di assegnazione non viene pagata, si può iniziare un giudizio di ottemperanza?
Sì. La Corte chiarisce che se un provvedimento di assegnazione non è seguito dall’effettiva riscossione, al creditore è dato il ricorso al giudizio di ottemperanza, e i due rimedi possono essere utilizzati in successione o anche in via concorrenziale per ottenere il soddisfacimento del credito.

Il giudizio di ottemperanza è considerato parte del “processo” ai fini dell’equa riparazione?
Sì, la Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, afferma che l’esecuzione di una sentenza, inclusi rimedi come il giudizio di ottemperanza, deve essere considerata parte integrante del “processo” tutelato dall’art. 6 della CEDU.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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