Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24844 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24844 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12943-2022 proposto da:
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del Liquidatore pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI ENNA (già ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO DI ENNA), in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 459/2021 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 17/11/2021 R.G.N. 431/2015;
Oggetto
R.G.N.12943/2022
COGNOME
Rep.
Ud 21/05/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello di NOME COGNOME Ferdinando, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, confermando la decisione di primo grado, di rigetto dell’opposizione alle ordinanze ingiunzioni con cui la Direzione Territoriale del Lavoro di Enna aveva irrogato sanzioni amministrative per irregolarità nella instaurazione del rapporto di lavoro con NOME COGNOME.
Avverso la sentenza NOME COGNOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La Direzione Territoriale del Lavoro di Enna ha resistito con controricorso.
La Consigliera delegata, con atto del 10 dicembre 2024, ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. La parte ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso ed ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981 per mancato rispetto del termine di 90 giorni ai fini della contestazione e della notifica della violazione. Si assume che, nel corso dell’accertamento del 26.11.2008, gli ispettori verbalizzanti raccolsero le dichiarazioni della Pontorno, divenute poi prova fondamentale della violazione contestata, e che il verbale di accertamento e contestazione di illecito amministrativo fu notificato solo il
30.7.2009, senza nelle more fosse compiuto alcun atto decisivo; gli ispettori si limitarono a verificare le pagine gialle e le pagine bianche ed a raccogliere informazioni dai signori COGNOME e COGNOME, non aventi rilievo decisivo.
Il motivo di ricorso è infondato per alcuni aspetti e inammissibile per altri.
È infondato perché la statuizione della Corte territoriale è in linea con i precedenti affermati in sede di legittimità (Cass. n. 20977 del 2024; n. 8326 del 2018; n. 16642 del 2005) secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, il giudice dell’opposizione, dinanzi al quale sia stata eccepita la tardività della notificazione degli estremi della violazione, nell’individuare la data dell’esito del procedimento di accertamento di più violazioni connesse – data dalla quale decorre ex art. 14, comma 2, della l. n. 689 del 1981 il termine di novanta o trecentosessanta giorni per la relativa contestazione – deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall’Amministrazione procedente e la congruità del tempo a tal fine impiegato avuto riguardo alla loro complessità, anche in vista dell’emissione di un’unica ordinanza ingiunzione per dette violazioni senza, tuttavia, potersi sostituire all’Amministrazione nella valutazione dell’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e posti in essere senza apprezzabile intervallo temporale.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui contesta la rilevanza degli accertamenti svolti dall’Ispettorato nei mesi successivi all’accertamento del 26.11.2008 e l’utilità degli stessi ai fini della configurabilità degli illeciti. La parte ricorrente non contesta il dato fattuale, riportato in sentenza, della avvenuta audizione del sig. COGNOME COGNOME il 18.6.2009 (circa un mese prima della notifica del verbale di contestazione del 13.7.2009) ma si limita, inammissibilmente, a dubitare della opportunità della
scelta dell’Amministrazione di raccogliere altri dati, oltre a quelli desumibili dalle dichiarazioni della persona trovata intenta al lavoro nei locali della società.
Tenuto conto degli accertamenti svolti nell’intervallo tra l’accesso ispettivo e la contestazione delle violazioni, del rilievo degli stessi ai fini probatori, come valutato dai giudici di merito, e della durata dell’intervallo medesimo (circa otto mesi), deve escludersi che si sia verifica una irragionevole e ingiustificata dilatazione dei tempi in relazione al dies a quo per la contestazione dell’illecito.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. e dell’art. 116 c.p.c ., difetto di legittimazione passiva, motivazione omessa, apparente, contraddittoria, perplessa e incomprensibile sulla valutazione delle prove e violazione del diritto di difesa. La parte ricorrente argomenta l’insufficienza degli elementi probatori offer ti dall’Ispettorato a fondare la sussistenza dell’illecito contestato, sia per l’assenza di dati significativi sulla natura subordinata del rapporto di lavoro con la Pontorno e sia quanto al difetto di legittimazione passiva ( rectius , titolarità passiva) della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è infondato.
Costituisce orientamento costante di questa Corte quello secondo cui i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i
lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (v. Cass. n. 14965 del 2012; n. 9251 del 2010; n. 3525 del 2005; n. 11751 del 2004).
La Corte di merito si è attenuta ai principi enunciati da questa S.C. sulla valenza probatoria dei verbali ispettivi ed ha ritenuto comprovato lo svolgimento di lavoro di natura subordinata da parte della Pontorno sulla base, anzitutto, del dato, direttamente rilevato dagli ispettori e come tale facente piena prova, dell’essere la stessa, all’atto dell’ispezione nei locali della società, intenta al lavoro; inoltre, alla luce delle dichiarazioni dalla medesima rese nella immediatezza dei fatti, anche sulle c oncrete caratteristiche dell’attività svolta e sul compenso fisso percepito, e che hanno trovato riscontri, giudicati significativi, nelle parole del COGNOME.
La titolarità passiva del rapporto in capo alla società è stata affermata dalla Corte d’appello in base al dato della posteriorità, rispetto all’accertamento ispettivo, dei contratti di locazione e franchising in favore della RAGIONE_SOCIALE e della totale assenza nei locali ispezionati di documenti o altri elementi che potessero ricondurre l’attività commerciale a tale società.
Non vi è spazio per ritenere integrata la violazione dell’art. 2697 c.c.; la sentenza impugnata non ha invertito gli oneri di prova ma, in sintonia con i principi affermati da questa Corte, ha addossato all’Ispettorato l’onere di dimostrare lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato ed ha considerato tale onere assolto.
Parimenti infondata è la censura di violazione dell’art. 116 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del
2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), che il giudice valuti una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame ove è unicamente e inammissibilmente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento delle prove.
Non sono in alcun modo riscontrabili nella sentenza d’appello le anomalie motivazionali idonee, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, a fondare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., posto che la decisione impugnata contiene una lucida e razionale esplicazione delle ragioni che fondano il decisum , negli aspetti di fatto e di diritto.
Con il terzo motivo si addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione del D.M. 55/2014 per avere condannato gli appellanti alla rifusione delle spese calcolate secondo criteri medi anziché minimi.
Il motivo è inammissibile in quanto, sul tema del regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nelle a ltre ipotesi previste dall’art. 92 c.p.c., sia provvedere alla loro quantificazione, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi stabiliti dalle tabelle vigenti (cfr. Cass. n. 19613 del 2017; n. 8421 del 2017; Sez. 6 n. 24502 del 2017; n. 4782 del 2020).
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
La conclusione del giudizio in conformità alla proposta di definizione determina le conseguenze di cui al combinato disposto degli att. 380-bis, ultimo comma, e 96, terzo e quarto comma, c.p.c. La parte ricorrente va perciò condannata al pagamento, in favore della controparte, della ulteriore somma equitativamente determinata ed indicata nel dispositivo nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, dell’importo pure indicato nel dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Condanna la ricorrente al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 21 maggio 2025