Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12068 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12068 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
Oggetto:
Impiego sanzione
conservativa
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. IRENE TRICOMI
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso 8542 -2021 proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PALERMO, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni agli indirizzi pec dei Registri di Giustizia;
-ricorrente – pubblico -disciplinare
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 648/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 18/09/2020 R.G.N. 1436/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME dipendente della Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo in qualità di dirigente medico di primo livello, conveniva in giudizio l’azienda datrice di lavoro per sentire dichiarare la nullità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per n. 1 mese, irrogata nei suoi confronti per non aver verificato, nell’esercizio dei propri doveri istituzionali di controllo, la sussistenza di gravi irregolarità nelle prestazioni di chemioterapia erogate.
La dipendente eccepiva la tardività della contestazione e nel merito l’infondatezza dei rilievi disciplinari.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda e annullava la sanzione con conseguente restituzione delle somme eventualmente trattenute dall’azienda.
Avverso tale decisione proponeva appello l’ASP che veniva rigettato dalla Corte distrettuale per intempestività dell’esercizio dell’azione disciplinare, con assorbimento dei motivi riguardanti il merito e conferma integrale della sentenza impugnata.
La Corte territoriale condivideva la statuizione del primo giudice in ordine alla tardività della contestazione disciplinare che era stata formulata dall’UPD solo in data 18.1.2012 – dunque, oltre il termine di 40 giorni previsto dall’art. 55 bis , comma 4, del d.lgs. n. 165/2001.
Il Giudice d’appello rilevava che, già in data 15.11.2011, il responsabile della struttura aveva effettuato una prima contestazione disciplinare e sottolineava «la sostanziale identità della condotta addebitata» ai lavoratori nella successiva contestazione formulata dall’UPD in data 18.1.2012, afferente alla non corretta effettuazione delle operazioni di verifica sulle richieste di rimborso presentate dalla Clinica COGNOME in ordine alle prestazioni chemioterapiche; riteneva (ancora) che, ai fini della tempestività della contestazione, vale comunque il momento in cui i fatti addebitati appaiono ragionevolmente sussistenti nel loro contenuto essenziale, e non la valutazione effettuata dal responsabile della struttura, salvo che non intervengano modificazioni apprezzabili nella qualificazione dei fatti rilevanti; escludeva che il riferimento, contenuto nella nota del 18.1.2012, a fatti e accertamenti successivi alla data della prima contestazione fosse idoneo a configurare una diversità della condotta, anche sotto il profilo della gravità, ed a postergare al 18.1.2012 il dies a quo di cui all’art. 55 bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001.
Avverso tale sentenza l’ASP Palermo ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
L’ASP ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione dell ‘ art. 55 bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001 e smi.
Sostiene che la contestazione disciplinare da parte dell’UPD era stata effettuata lo stesso giorno in cui gli atti erano pervenuti al
medesimo ufficio e lamenta che la Corte territoriale abbia attribuito un’accezione erronea al termine ‘ufficio’ dell’art. 55 bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione dell ‘ art. 55 bis , commi 2 e 3, d.lgs. n. 165/2001 e smi; violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 12 Preleggi cod. civ.
Assume che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto che, una volta elevata la contestazione da parte del responsabile della struttura, questi aveva l’obbligo di chiudere il procedimento disciplinare, restando inibita la possibilità di rimettere gli atti all’UPD, il quale in data 18.1.2012, e quindi dopo la scadenza del termine perentorio, contestava nuovamente i medesimi fatti ai due lavoratori; in realtà, nulla impediva che, dopo l’iniziale contestazione disciplinare, il responsabile della struttura, meglio soppesata la gravità dei fatti, trasmettesse gli atti, ex art. 55 bis, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, all’UPD, ritenendone la competenza, senza che potesse per ciò solo venire in gioco il principio di consumazione del potere disciplinare.
Il ricorso è ammissibile, atteso che l’Azienda ricorrente non ha chiesto una rivisitazione del fatto o una diversa valutazione dei documenti acquisiti, ma ha sollevato una questione di diritto, relativa all’interpretazione dell’art. 55 bis , comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 sull’individuazione del dies a quo del termine per la contestazione disciplinare. Inoltre, gli atti richiamati nel ricorso ed i fatti nei medesimi rappresentati risultano dalla sentenza impugnata (relazione redatta dalla Commissione ispettiva e pervenuta in data 3.11.2011 al Dipartimento Aziendale; contestazioni disciplinari emesse dal Dipartimento Aziendale in data 15.11.2011; ricezione da parte dell’UPD degli atti trasmessi dal responsabile della struttura in data 18.1.2012 e contestazioni disciplinari emesse dall’UPD in data 18.1.2012).
Tanto chiarito , il ricorso è fondato valutando il Collegio di condividere i precedenti resi in vicende del tutto analoghe di cui a Cass. n. 33394/2023 e a Cass. n. 26936/2024.
È in particolare fondato il primo motivo.
5.1 Dalla sentenza impugnata si evince che, nei confronti di NOME COGNOME, l’ASP ha emesso due contestazioni disciplinari. La prima, in data 15.11.2011, da parte del Direttore del Dipartimento Programmazione e Controllo delle Attività Ospedaliere e, la seconda, in data 18.1.2012, da parte dell’UPD: entrambe avevano ad oggetto la sussistenza di gravi irregolarità nelle prestazioni chemioterapiche erogate dalla Clinica COGNOME.
Dalla medesima sentenza risulta, inoltre, che l’UPD ha formulato la contestazione nella medesima data in cui aveva ricevuto gli atti trasmessi dal responsabile della struttura, ritenutosi incompetente per la trattazione degli avviati procedimenti disciplinari.
5.2 La questione sollevata nella censura riguarda il dies a quo relativo al termine per la contestazione, e non il diverso termine per la conclusione del procedimento disciplinare, che qui è stato pacificamente rispettato.
Ciò premesso, questa Corte ha ripetutamente affermato che il termine per la contestazione, sia prima che dopo le modifiche apportate all’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 dal d.lgs. n. 75 del 2017 (riforma c.d. Madia), va calcolato dal momento in cui l’UPD riceve gli atti dal responsabile della struttura, e cioè riceve una ‘notizia di infrazione’ di contenuto tale da consentirgli di dare in modo corretto l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione, anche nell’ipotesi in cui il protrarsi nel tempo di singole mancanze, pur da sole disciplinarmente rilevanti, integri un’autonoma e più grave infrazione (Cass. n. 11635 del 2021; Cass. n. 20730 del 2022; Cass. n. 10284 del 2023 e Cass. n. 20235 del 2023).
Anche nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 75 del 2017, si è costantemente ritenuto che in tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, l’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, nell’indicare i tempi della contestazione, mentre impone al dirigente della struttura amministrativa di trasmettere «entro cinque giorni dalla notizia del fatto» gli atti all’ufficio disciplinare, prescrive a quest’ultimo (UPD), a pena di decadenza, di contestare l’addebito entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione degli atti, sicché va escluso che l’inosservanza del primo termine, che assolve ad una funzione meramente sollecitatoria, comporti, di per sé, l’illegittimità della sanzione inflitta, potendo assumere rilievo la sua violazione solo allorché la trasmissione degli atti venga differita in misura tale da ostacolare il diritto di difesa.
Si è chiarito altresì nella giurisprudenza di legittimità che l’art. 55 bis , comma 4, d.lgs. cit., in considerazione della maggiore complessità degli accertamenti, riserva alla competenza dell’UPD l’applicazione di una sanzione più grave di quella prevista nel primo periodo del comma 1 (rimprovero verbale e sospensione dal servizio con privazione della retribuzione inferiore a dieci giorni), prevedendo, in tal caso, il raddoppio dei termini per la contestazione e per la conclusione del procedimento (Cass. n. 22075/2018).
Orbene, la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, riaffermati dalle citate Cass. n. 33394/2023 e da Cass. n. 26936/2024, in vicende analoghe alla presente, avendo individuato quale dies a quo ai fini della contestazione disciplinare il giorno (15.11.2011) in cui il responsabile della struttura ha effettuato la prima contestazione disciplinare, e non quello (18.1.2012) in cui l’UPD ha ricevuto gli atti trasmessi dal responsabile della struttura, provvedendo nello stesso giorno ad emettere contestazione per una condotta identica a quella già in precedenza addebitata.
5.3 In definitiva la Corte territoriale ha attribuito carattere perentorio al termine di cinque giorni dalla notizia del fatto previsto per la trasmissione degli atti da parte del dirigente della struttura amministrativa all’ufficio disciplinare che invece, per costante giurisprudenza di questa Corte assolve ad una funzione sollecitatoria laddove, come nella specie, la trasmissione degli atti non sia stata ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell’illecito (indirizzo costante; fra le tante: Cass. 26 agosto 2015, n. 17153; Cass. 9 marzo 2022, n. 7642).
Quest’ultima osservazione porta alla fondatezza anche del secondo motivo.
6.1 L’art. 55 bis d.lgs. n. 165/2001, nel testo applicabile ratione temporis , anteriore alla novella del d.lgs. n. 75 del 2017, prevede, al comma 2, che « Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l’addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa . Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa ». Il successivo comma 3 stabilisce, tuttavia, che «Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto,
all’ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all’interessato ».
6.2 L’art. 55 bis , comma 2, d.lgs. n. 165/2001 qualifica, invero, come perentori -la cui violazione, quindi, determina l’illegittimità della sanzione -solamente i termini stabiliti per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento. Come si è detto, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte l’inosservanza del suddetto termine meramente sollecitatorio di cinque giorni (previsto dal comma 3, art. cit.) non assume rilevanza a meno che la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa (v., con riferimento al quadro normativo precedente alla riforma del 2017, Cass. n. 7642/2022 e Cass. n. 17153/2015, citate).
Stante (dunque) la non perentorietà di detto termine, l’UPD, ricevuta la trasmissione della notizia il 18.1.2012, poteva senz’altro contestare l’addebito lo stesso giorno 18 gennaio 2012 e, dunque, nel rispetto del termine di 40 gg. dalla data di trasmissione da parte del responsabile della struttura della notizia ai sensi del comma 4 dell’art. 55, cit., e quindi concludere l’ iter del procedimento disciplinare – com’è in concreto avvenuto in data 21.2.2012 -, con irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio co n privazione della retribuzione per mesi uno, il tutto in osservanza del termine di 120 gg. dal dì della contestazione dell’addebito.
6.3 Tale soluzione non contrasta con il principio di immutabilità della contestazione, essendo stata accertata dai giudici di secondo grado, con apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità, «la sostanziale identità della condotta addebitata» nella prima e nella seconda contestazione, con l’ulteriore precisazione che l’immutabilità attiene ai soli fatti materiali e non all’apprezzamento ed alla valutazione della condotta che può variare, in quanto, in tal caso, non venendo in rilievo nuove circostanze di fatto, il diritto di difesa non risulterebbe in
alcun modo compromesso (vedi, per tutte, in materia di lavoro pubblico: Cass. 9 giugno 2016, n. 11868, ma si tratta di un principio di carattere generale). Anche nell’ambito del rapporto di pubblico impiego il principio dell’immutabilità dei fatti posti a fondamento della sanzione disciplinare irrogata al dipendente è volto a garantire il diritto di difesa dello stesso, diritto che verrebbe vulnerato qualora si consentisse al datore di lavoro di intimare la sanzione a causa di condotte disciplinari rispetto alle quali non è stato consentito al dipendente di discolparsi.
6.4 Non è corretto, poi, affermare che si sarebbe verificata dopo la prima contestazione una violazione del canone del ne bis in idem per consunzione del potere disciplinare, non venendo qui in considerazione un siffatto principio che vieta solo che un’identica condotta sia sanzionata più volte a seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica (Cass. 23 dicembre 2019, n. 34368; Cass. 30 ottobre 2018 n. 27657; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26815; Cass. 19 ottobre 2017, n. 24752; Cass. 12 settembre 2016, n. 17912).
Così inteso, il principio di consumazione richiede che il potere disciplinare sia stato esercitato mediante applicazione di una sanzione in relazione a determinati fatti, e, in tale evenienza, il datore di lavoro pubblico non può esercitarlo una seconda volta, in relazione agli stessi fatti, nemmeno ove provveda a una diversa valutazione o configurazione giuridica della fattispecie, avendo ormai esaurito il potere disciplinare (da ultimo Cass. 14 aprile 2022, n. 12321, sia pure in tema di procedimento disciplinare privatistico).
6.5 Né, tanto meno, vale prospettare, come pure si legge nella sentenza impugnata, un’ipotesi di decadenza dal potere disciplinare non prevista dalla legge. La previsione dell’art. 55 bis , comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 (« Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito ») va, infatti, letta logicamente
in sequenza con quella del successivo comma 3, stesso articolo (« Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto »). Sicché, deve ritenersi che il responsabile della struttura, ove si avveda, dopo la contestazione dell’addebito e una volta avviata l’istruttoria disciplinare, che la sanzione da applicare può eccedere i limiti della sua competenza, può (ed anzi deve) trasmettere gli atti all’Ufficio disciplinare, in guisa che l’esito del procedimento si compendia non solo nell’alternativa secca tra archiviazione e irrogazione della sanzione, di cui al comma 2 dell’art. 55 bis cit., ma anche nello sbocco prospettato come eventuale nel successivo comma 3 (i.e., trasmissione degli atti all’UPD).
Una diversa interpretazione contrasterebbe con il principio di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) che informa l’attività del datore di lavoro pubblico e con le prioritarie esigenze di graduazione della sanzione all’effettiva gravità delle infrazioni contestate, atteso che il principio della proporzionalità delle sanzioni rispetto ai fatti commessi costituisce regola valida per tutto il diritto punitivo e risulta trasfusa, per l’illecito disciplinare, nell’art. 2106 cod. civ., richiamato dall’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, anche nel testo risultante dalla novella del 2009 (v. Cass. 26 settembre 2016, n. 18858; Cass. 7 marzo 2017, n. 5706; Cass. 22 maggio 2019 , n. 13865; Cass. 23 maggio 2019, n. 14063; Cass. 31 ottobre 2019, n. 28111).
4.6 In definitiva, per le ragioni indicate, il ricorso va accolto.
La sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Palermo che procederà, in diversa composizione, a un nuovo esame nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati e dell’ulteriore principio qui riportato: ‘la previsione dell’art. 55 bis, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, a tenore della quale il responsabile della struttura contesta l’addebito e procede
all’espletamento dell’attività istruttoria concludendo il procedimento con l’archiviazione o l’irrogazione della sanzione, non preclude comunque il diverso esito previsto dal comma 3, stesso articolo, che consente al responsabile della struttura, re melius perpensa , di orientarsi diversamente sulla propria competenza, trasmettendo -senza ritardi tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell’illecito -gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, il quale, reiterata la contestazione in osservanza del termine indicato nel comma 4, concluderà il procedimento entro centoventi giorni, decorrenti dalla data di prima acquisizione della notizia di infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro