Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21649 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21649 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21718-2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 242/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 12/04/2018 R.G.N. 395/2017;
Oggetto
Decorrenza termine breve impugnazione, eredi parte defunta
R.G.N. 21718/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 12.4.2018, la Corte d’appello dell’Aquila ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda dell’ex dipendent e NOME COGNOME volta a conseguire l’indennità prevista dalla convenzione assicurativa stipulata dalla datrice di lavoro con RAGIONE_SOCIALE per il caso di invalidità permanente che avesse determinato la cessazione del rapporto di lavoro;
che avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tredici motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che gli eredi di NOME COGNOME, nominativamente indicati in epigrafe, hanno resistito con controricorso, anch’esso poi illustrato con memoria;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 23.4.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con i tredici motivi di censura, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente ha criticato la sentenza impugnata sia in ordine alla sussistenza dei presupposti per la declaratoria d’inammissibilità dell’appello che per ragioni concernenti il merito della lite; che, non avendo la Corte territoriale statuito alcunché in ordine al merito, in conseguenza dell’adottata declaratoria di inammissibilità del gravame, rilevano in questa sede soltanto il terzo e il quarto motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza per aver dichiarato inammissibile l’ap pello, non potendo trovare ingresso le ulteriori questioni sulle quali il
giudice d’appello non si è pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento dell’eccezione pregiudiziale (così, tra le più recenti, Cass. nn. 23558 del 2014 e 19442 del 2022);
che, con il terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 170, 292, 325, 326, 327 e 479 c.p.c., per avere la Corte ritenuto che l’appello fosse stato proposto oltre il decorso del termine breve d’impugnazione, che sarebbe decorso dalla notificazione della sentenza in forma esecutiva effettuata per conto del dante causa degli odierni controricorrenti presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, rimasta contumace in primo grado;
che, con il quarto motivo, la ricorrente si duole di violazione degli artt. 299, 325, 326, 327 e 328 c.p.c., per non avere la Corte territoriale considerato che, anche a voler ritenere che la notifica effettuata presso la sede della RAGIONE_SOCIALE fosse idonea a far decorrere il termine breve, quest’ultimo si sarebbe interrotto a causa del decesso del dante causa degli odierni controricorrenti, i quali avrebbero dovuto all’uopo provvedere ad una nuova notificazione della sentenza;
che il terzo motivo è infondato, dovendo darsi continuità al principio di diritto secondo cui, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre impugnazione, è idonea la notificazione della sentenza eseguita personalmente nei confronti della parte soccombente che sia rimasta contumace nel giudizio sfociato nella sentenza impugnata, indipendentemente dalla circostanza che la notificazione abbia ad oggetto la sentenza spedita in forma esecutiva ex art. 479 c.p.c., in quanto, agli effetti di cui all’art . 326 c.p.c., non assume rilievo il fine per il quale la notificazione sia effettuata, ma il fatto obiettivo della notifica, quale evento ritenuto dalla legge idoneo ad assicurare la conoscenza legale della decisione e quindi a consentire al destinatario l ‘esercizio
del potere d’impugnazione (così da ult. Cass. n. 25889 del 2023, sulla scorta di Cass. nn. 1647 del 2017, 5682 del 2006, 4975 del 2000);
che non rileva in contrario il diverso avviso, pure espresso da questa Corte in una risalente pronuncia, secondo cui, a seguito della modifica dell’art. 479 c.p.c. (e in specie della soppressione dell’inciso contenuto nel comma 2°, che prevedeva che la notifica del titolo esecutivo, ove costituito da una sentenza, potesse essere fatta, entro l’anno dalla pubblicazione, a norma dell’art. 170 c.p.c., ossia mediante consegna al procuratore costituito, dando modo così al notificante di perseguire il duplice obiettivo di dare impulso al processo esecutivo e di far decorrere il termine breve per l’impugnazione), il decorso del termine breve anche nei confronti della parte rimasta contumace dovrebbe ricollegarsi ad una notificazione espressamente accompagnata da una qualche indicazione atta a far ritenere che la parte notificante persegua l’obiettivo, ulteriore all’impulso della procedura esecutiva, di portare la sentenza a conoscenza della controparte ai fini dell’impugnazione (così Cass. n. 25217 del 2011), risultando persuasive le argomentazioni spese in senso contrario da Cass. n. 25889 del 2023, cit., circa la non applicabilità dell’art. 170 c.p.c. allorché la parte sia rimasta contumace e la conseguente impossibilità di equivocare circa il fine per cui la notificazione della sentenza (da effettuarsi necessariamente alla parte personalmente: art. 292 c.p.c.) è stata compiuta;
che, sotto questo profilo, mette anzi conto ricordare che, in termini generali, gli atti processuali non appartengono al genus degli atti negoziali, ma, pur essendo volontari nel loro compimento, spiegano i loro effetti secondo modalità che a ciascun tipo la legge riconnette, rimanendo di norma irrilevante l’eventuale divergenza della manifestazione
rispetto all’intenzione dell’agente (così già Cass. nn. 1606 del 1972 e 938 del 1980, nonché, più di recente, Cass. n. 17939 del 2009);
che il quarto motivo è parimenti infondato, dovendo darsi continuità al principio di diritto secondo cui la previsione dell’art. 328 c.p.c., che prevede l’interruzione del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. se durante la sua decorrenza sopravviene qu alcuno degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c., è dettata dall’esigenza esclusiva di tutelare la parte che versa in condizioni di minorata difesa processuale, di talché l’interruzione non si riflette sul termine per impugnare dato all’altra parte, ma so ltanto nei confronti della parte colpita dall’evento interruttivo, sia essa notificante o destinataria della notificazione (così espressamente Cass. n. 10226 del 2015, in motivazione);
che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.200,00, di cui € 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 23.4.2024.