Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7347 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7347 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3616/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliato elettivamente in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliato elettivamente presso la prima in INDIRIZZO, INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Roma, n. 3450/2017, pubblicata il 25 luglio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Roma AVV_NOTAIO ha esposto che:
aveva stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE un contratto di collaborazione per svolgere le funzioni di medico competente ex d.lgs. n. 626 del 1984 della durata triennale e rinnovabile tacitamente in difetto di disdetta da trasmettere tre mesi prima della scadenza;
l’ultimo rinnovo era avvenuto l’11 dicembre 2010;
l’RAGIONE_SOCIALE, succeduto all’RAGIONE_SOCIALE nel maggio 2010, aveva comunicato la disdetta anticipata del contratto l’11 dicembre 2011 in considerazione della presenza in Istituto di un suo medico dipendente in grado di espletare i suoi stessi compiti.
Egli ha chiesto dichiararsi l’illegittimità della disdetta, con condanna di controparte a pagare, anche a titolo risarcitorio, le competenze economiche dovute.
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 18 dicembre 2013, ha accolto il ricorso.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto due distinti appelli .
L a Corte d’appello di Roma, dopo averli riuniti e nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3450/2017, ha dichiarato improcedibile il primo e inammissibile il secondo appello.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso e ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con un unico motivo l’RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 325, 326, 327 e 358 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il secondo appello da essa presentato, essendo stato depositato oltre trenta giorni dopo il primo, mai notificato e, quindi, dichiarato improcedibile, sarebbe stato tardivo.
Parte ricorrente evidenzia che la giurisprudenza di legittimità sulla quale la Corte d’appello di Roma avrebbe fondato la sua decisione non sarebbe stata pertinente, atteso che il primo appello non sarebbe stato notificato, con la conseguenza che tale atto di gravame non avrebbe assunto una dimensione impugnatoria.
La doglianza è infondata.
Infatti, come già deciso dalla giurisprudenza di questa sezione , nell’ ipotesi in cui la stessa parte abbia proposto, avverso la medesima sentenza, due successivi appelli, il primo dei quali inammissibile, senza tuttavia che, alla data di proposizione del secondo, l ‘ inammissibilità sia stata dichiarata (realizzandosi, altrimenti, l ‘ effetto di consumazione dell’impugnazione), il termine per la proposizione della seconda impugnazione è quello breve decorrente dalla notificazione della prima impugnazione, atteso che essa, al fine della conoscenza legale, deve ritenersi equipollente alla notificazione della sentenza, laddove per le cause cui si applica il rito del lavoro il termine decorre dalla data di deposito del ricorso, determinandosi, con tale atto, la pendenza del giudizio di appello (Cass., Sez. 6-L, n. 2478 del l’ 8 febbraio 2016).
Diversamente da quanto sostiene l’RAGIONE_SOCIALE, non rileva che il primo appello proposto dalla P.A. non sia stato notificato, poiché a fare decorrere il termine c.d. breve per impugnare una sentenza non è la notificazione dell’atto di gravame isolatamente considerata, ma il fatto che detto appello sia stato, comunque, formalmente proposto (come chiarito, ad esempio, pur se non in tema di diritto del lavoro, da Cass., Sez. 6 – 3, n. 14214 del 4 giugno 2018).
Pertanto, considerato che, ai fini della conoscenza legale del provvedimento impugnato, ciò che assume valore è la proposizione dell’impugnazione, nelle controversie trattate con il rito lavoro, nelle quali siffatta impugnazione avviene con il deposito del ricorso, non potrà che essere il giorno di tale deposito quella dal quale andrà computato il menzionato termine breve.
Nella specie, come riferito dall’RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE aveva presentato, contro la sentenza di primo grado, pubblicata il 13 febbraio 2014, due distinti atti di appello, il primo dei quali, depositato il 28 aprile 2014, non era mai stato notificato e, quindi, era inammissibile (e tale era stato dichiarato dalla corte territoriale).
Il secondo appello della P.A., invece, era stato depositato l’11 luglio 2014.
Ne deriva che il termine c.d. a quo , rilevante per stabilire la tempestività del secondo appello, era, venendo in esame un contenzioso di diritto del lavoro, il 28 aprile 2014, anche perché sarebbe illogico sostenere che la parte, la quale abbia proposto formalmente un gravame contro una certa sentenza, non manifesti, in questo modo, la propria conoscenza legale del provvedimento gravato.
Detto termine era ormai, quindi, quello c.d. breve di trenta giorni ex art. 325 c.p.c. e, poiché il secondo appello era stato presentato l’11 luglio 2014, quest’ultimo era tardivo.
2) Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna l’RAGIONE_SOCIALE a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 6.000,00 per compenso, oltre ad € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, a carico di parte ricorrente, dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21