Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12527 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12527 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
La Corte di Appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva respinto la loro domanda, volta ad accertare che il tempo impiegato per indossare la divisa, nel tempo immediatamente precedente alla prestazione lavorativa, e per dismetterla, nella fase immediatamente successiva, era da considerare come orario di lavoro da retribuire.
La Corte territoriale, in base al criterio della ragione più liquida, ha esaminato le ragioni di merito; ha ritenuto inammissibile il petitum sostanziale e tutta l’argomentazione dei lavoratori, avendo i medesimi chiesto, in via astratta e generica, di stabilire se il tempo di vestizione e di svestizione dovesse essere retribuito, in quanto tempo di lavoro.
Il giudice di appello ha in particolare rilevato che i lavoratori non avevano specificato il diritto richiesto ed ha pertanto ritenuto che l’accertamento del fatto sarebbe stato generico ed astratto rispetto ad un diritto ugualmente astratto e generico, senza alcun ancoraggio ad un dato concreto e puntuale, tanto più che i lavoratori non avevano precisato se la vestizione e la svestizione erano avvenute prima o dopo avere passato il badge.
Ha evidenziato che nemmeno i capitoli di prova articolati nel ricorso di primo grado avevano precisato il momento in cui le suddette operazioni venivano espletate e che in assenza di prova della circostanza che le operazioni di vestizione e di svestizione erano rispettivamente avvenute dopo il passaggio del badge e prima dell’uscita (il cui onere incombeva sui lavoratori) , la domanda avrebbe dovuto essere rigettata anche nel merito, in quanto tali operazioni erano avvenute all’interno dell’orario di lavoro regolarmente retribuito.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
La ASL Caserta ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 118, disp. att. cod. proc. civ., dell’art. 111, comma 6, Cost, per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere fornito una motivazione inidonea ad esplicitare il ragionamento logico giuridico posto a fondamento della decisione, senza alcun riferimento alle censure proposte e senza indicare i passaggi da cui sia desumibile l’astrattezza e la genericità dei motivi.
Deduce che a fronte di sei specifici motivi di appello, la Corte territoriale ha limitato la decisione a due pagine di motivazione, in cui si è limitata ad osservare quanto affermato dal giudice di prime cure.
Lamenta l’apparenza della motivazione, evidenziando che nell’atto di appello le conclusioni erano state formulate in modo chiaro e preciso e che nei gradi di merito era stata specificata la collocazione temporale delle operazioni di vestizione, effettuate prima della timbratura, e di svestizione, effettuate dopo la timbratura.
Si duole del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, avendo la sentenza impugnata escluso il diritto dei ricorrenti alla retribuzione in quanto le operazioni di vestizione e di svestizione erano avvenute all’interno dell’orario di lavoro regolarmente retribuito.
Evidenzia che era pacifico l’obbligo degli infermieri di indossare la divisa, vestizione e di svestizione.
Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie il decisum .
La sentenza impugnata non è motivata per relationem e non rimanda alle conclusioni cui era addivenuto il primo giudice, ma sulla base della ragione più liquida ha rigettato il ricorso per indeterminatezza della domanda proposta nel giudizio di primo grado; peraltro i ricorrenti hanno evidenziato che il primo
giudice ha ritenuto prescritto il diritto ed ha ritenuto indimostrato che le operazioni di vestizione e di svestizione fossero avvenute in un tempo eccedentario rispetto a quello retribuito, a fronte della mancata produzione dei cartellini marcatempo da parte dei ricorrenti.
L’applicabilità del principio della ‘ragione più liquida’ postula che essa, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizi o; tale principio non opera nell’ipotesi in cui le diverse ragioni si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori reciprocamente non sovrapponibili, con la conseguenza che l’illegittimo assorbimento in tal modo disposto comporta il vizio di omessa pronuncia (Cass. n. 693/2024).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha deciso in ragione dell’evidenza di una soluzione che ha assorbito ogni altra valutazione ed ha indotto il giudice a decidere il merito ‘per saltum’ rispetto all’ordine delle questioni di cui all’art. 276, comma secondo, cod. proc. civ. (v. Cass. n. 41019/2021).
In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che i lavoratori nel ricorso di primo grado non avessero allegato che le operazioni di vestizione e di svestizione fossero avvenute al di fuori dell’orario di lavoro retribuito ed ha rilevato che i capitoli di prova testimoniale articolati nel ricorso di primo grado non contenevano tale specificazione; per tali ragioni ha ritenuto generico ed astratto l’accertamento richiesto.
La censura non si confronta con tali statuizioni, ma si limita ad indicare alcuni stralci dell’atto di appello (da cui si desume che la vestizione avveniva prima della timbratura e la svestizione dopo la timbratura) senza contestare la ratio decidendi della sentenza impugnata e senza riprodurre né sintetizzare il ricorso di primo grado, di cui riporta solo le conclusioni.
Anche nella parte in cui lamenta la contraddittorietà della motivazione, la censura non coglie il decisum : la sentenza impugnata non ha affermato che i ricorrenti hanno effettuato la vestizione dopo la timbratura in entrata e la svestizione prima della timbratura in uscita, ma ha ritenuto generica la prova testimoniale, in quanto i capitoli della prova per testi articolati nel ricorso di
primo grado non avevano precisato se le operazioni di vestizione e di svestizione venivano effettuate prima o dopo la timbratura, e al fine di illustrare la rilevanza di tale specificazione, la sentenza impugnata si è limitata a formulare un periodo ipotetico, evidenziando che in caso di vestizione dopo la timbratura in entrata e di svestizione prima della timbratura in uscita, il tempo di vestizione e di svestizione non va retribuito.
Inoltre la censura sollecita un giudizio di merito facendo leva sul principio di non contestazione.
Deve in proposito rammentarsi che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 d.lgs. n. 66/2003 e degli artt. 2094 e 2099 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che il tempo per indossare e dismettere la divisa da utilizzare per lo svolgimento dell’attività lavorativa costituisca orario di lavoro, atteso che in tale lasso di tempo il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro.
Richiama la giurisprudenza UE e la giurisprudenza interna, evidenziando la peculiarità degli indumenti indossati per lo svolgimento dell’attività lavorativa e la circostanza che durante le operazioni di vestizione e di svestizione il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro.
Aggiunge che l’attività di vestizione rientra nell’alveo dell’eterodirezione e che al datore di lavoro spetta l’obbligo retributivo spetta nell’ambito della prestazione sinallagmatica, quale obbligazione corrispettiva alla prestazione di lavoro.
La censura è inammissibile, in quanto non si confronta con il decisum .
La sentenza impugnata non ha escluso che il tempo per indossare e dismettere la divisa da utilizzare per lo svolgimento dell’attività lavorativa costituisca orario di lavoro per difetto di eterodirezione, ma ha ritenuto dirimente l’allegazione e la prova della circostanza che le operazioni di vestizione e di svestizione fossero avvenute al di fuori dell’orario di lavoro retribuito ed ha
rilevato che i capitoli di prova testimoniale articolati nel ricorso di primo grado non contenevano tale specificazione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrent i al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2025.
La Presidente
NOME COGNOME