LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tempo vestizione: quando è orario di lavoro? Cassazione

Due operatori sanitari hanno richiesto il pagamento del tempo impiegato per indossare e togliere la divisa. La loro domanda è stata respinta in primo e secondo grado perché ritenuta generica e non provata. I giudici hanno sottolineato che i lavoratori non avevano specificato né dimostrato che queste operazioni avvenissero al di fuori dell’orario di lavoro retribuito (cioè prima di timbrare l’ingresso e dopo aver timbrato l’uscita). La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12527/2025, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che la mancata allegazione e prova di tale circostanza è decisiva. Per ottenere il pagamento del tempo vestizione, il lavoratore ha l’onere di dimostrare che esso si colloca fuori dall’orario già retribuito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Tempo Vestizione: Quando Rientra nell’Orario di Lavoro Retribuito?

Il tempo vestizione, ovvero il tempo che un lavoratore impiega per indossare e dismettere la divisa aziendale, è una questione da tempo dibattuta nel diritto del lavoro. La domanda centrale è sempre la stessa: questo tempo deve essere considerato orario di lavoro e, di conseguenza, retribuito? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12527/2025) torna sul tema, sottolineando un aspetto cruciale: l’onere della prova a carico del lavoratore. Vediamo insieme i dettagli del caso e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Due operatori sanitari avevano citato in giudizio la propria azienda sanitaria, chiedendo che il tempo impiegato per indossare la divisa prima dell’inizio del turno e per dismetterla alla fine fosse riconosciuto come orario di lavoro da retribuire.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte di Appello avevano respinto la loro domanda. Il motivo principale del rigetto, secondo i giudici di merito, era la genericità e l’astrattezza della richiesta. I lavoratori, infatti, avevano chiesto in via generale se il tempo vestizione dovesse essere retribuito, senza però specificare un dettaglio fondamentale: se tali operazioni avvenissero prima di timbrare il cartellino in entrata e dopo averlo timbrato in uscita. In assenza di questa specificazione e di prove concrete sul punto, la domanda è stata considerata inammissibile.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Tempo Vestizione

I lavoratori hanno proposto ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile. La Corte non ha negato in linea di principio che il tempo vestizione possa costituire orario di lavoro, ma ha evidenziato come il ricorso dei lavoratori non abbia colto nel segno, non contestando la vera ratio decidendi della sentenza d’appello.

Il punto focale della decisione d’appello non era se il tempo per indossare la divisa fosse o meno sotto l’eterodirezione del datore di lavoro, ma la constatazione che i lavoratori non avevano allegato né provato che quelle operazioni si svolgessero al di fuori dell’orario di lavoro già regolarmente retribuito. Se la vestizione e la svestizione avvengono dopo la timbratura d’ingresso e prima di quella d’uscita, il tempo relativo è già compreso nella retribuzione ordinaria. Il problema sorge quando queste attività avvengono fuori da tale arco temporale.

Le Motivazioni: L’Importanza della Specificità della Domanda e della Prova

La motivazione della Cassazione è chiara e di grande importanza pratica. Per ottenere il riconoscimento della retribuzione per il tempo vestizione, non è sufficiente affermare che esista un obbligo di indossare una divisa. Il lavoratore che agisce in giudizio ha l’onere di:

1. Allegare specificamente: Dichiarare in modo preciso nel proprio ricorso che le operazioni di vestizione e svestizione avvengono prima della timbratura in entrata e dopo la timbratura in uscita.
2. Provare tale circostanza: Fornire prove, ad esempio tramite testimoni o altri mezzi, che dimostrino l’effettivo svolgimento di queste attività al di fuori dell’orario di lavoro registrato dal marcatempo.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che né il ricorso iniziale né i capitoli di prova testimoniale presentati dai lavoratori contenevano questa specificazione. La richiesta è rimasta astratta, impedendo al giudice di accertare un diritto concreto. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che, in mancanza di tale prova, si doveva presumere che le operazioni fossero avvenute all’interno dell’orario di lavoro già pagato.

Le Conclusioni: Onere della Prova sul Lavoratore

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel processo del lavoro, chi fa valere un diritto ha l’onere di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. La questione del tempo vestizione non fa eccezione. Il lavoratore non può limitarsi a una richiesta generica, ma deve costruire una domanda solida, dettagliata e supportata da prove specifiche. In assenza di una chiara dimostrazione che il tempo per cambiarsi è aggiuntivo rispetto all’orario timbrato e retribuito, la domanda rischia di essere respinta per indeterminatezza e carenza di prova.

Il tempo per indossare la divisa è sempre considerato orario di lavoro retribuito?
No, non automaticamente. È considerato orario di lavoro retribuito se è eterodiretto dal datore di lavoro e, soprattutto, se viene svolto al di fuori dell’orario di lavoro già retribuito (ad esempio, prima di timbrare l’ingresso e dopo aver timbrato l’uscita).

Cosa deve dimostrare un lavoratore per ottenere la retribuzione per il tempo vestizione?
Il lavoratore deve allegare in modo specifico e poi provare che le operazioni di vestizione e svestizione avvengono effettivamente prima della timbratura d’ingresso e dopo quella d’uscita, e quindi in un tempo eccedente quello già coperto dalla normale retribuzione.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso?
Perché i lavoratori non hanno contestato efficacemente la motivazione della sentenza d’appello. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda per la sua genericità e per la mancata prova che la vestizione avvenisse fuori dall’orario di lavoro retribuito, e il ricorso in Cassazione non ha affrontato specificamente questa carenza probatoria e di allegazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati