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Tempo vestizione: quando è orario di lavoro?

La Corte di Cassazione conferma che il tempo vestizione, necessario per indossare la divisa aziendale prima del turno, costituisce orario di lavoro retribuito. L’ordinanza analizza il caso di alcuni infermieri, stabilendo che quando la vestizione è obbligatoria, funzionale alla prestazione e soggetta al potere direttivo del datore di lavoro, deve essere computata e pagata come tale. La Corte ha respinto il ricorso di un’azienda sanitaria, che contestava la decisione per vizi procedurali, confermando il diritto dei lavoratori alla retribuzione aggiuntiva.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Tempo vestizione: la Cassazione conferma che va retribuito

Il tempo necessario per indossare la divisa prima di iniziare il turno di lavoro è una questione dibattuta nel diritto del lavoro. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13802/2024, è tornata sul tema del cosiddetto tempo vestizione, confermando un principio ormai consolidato: se la vestizione è obbligatoria e funzionale alla prestazione, rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e deve essere retribuita. Questa decisione chiarisce ulteriormente i confini del potere direttivo del datore di lavoro e i diritti dei dipendenti.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un gruppo di infermieri in servizio presso un ospedale pubblico. I lavoratori chiedevano il riconoscimento, ai fini retributivi, del tempo impiegato per indossare la divisa prima dell’inizio di ogni turno e per toglierla al termine dello stesso. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai dipendenti, condannando l’Azienda Sanitaria al pagamento delle differenze retributive maturate, stimate in circa venti minuti per turno.

L’Azienda Sanitaria ha quindi proposto ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali:
1. Vizio di motivazione: L’azienda sosteneva che la Corte d’Appello si fosse limitata a una motivazione ‘per relationem’, ovvero richiamando la sentenza di primo grado senza analizzare specificamente i motivi di appello.
2. Violazione di legge: Si contestava la mancanza di prova sull’effettivo tempo impiegato e sulla sua sottoposizione al potere direttivo del datore di lavoro.
3. Vizio di ultrapetizione: L’azienda lamentava che i giudici avessero riconosciuto il diritto a decorrere da una data specifica (gennaio 2009) senza una richiesta esplicita in tal senso da parte dei lavoratori.

L’analisi della Corte sul tempo vestizione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’Azienda Sanitaria. Gli Ermellini hanno chiarito che il tempo vestizione deve essere considerato orario di lavoro quando la divisa è imposta dal datore e l’operazione di cambio deve avvenire in locali aziendali. Nel caso degli infermieri, la vestizione non è una scelta, ma un’operazione preparatoria indispensabile e funzionale alla prestazione lavorativa, soggetta al potere di eterodirezione del datore di lavoro. Non è consentito, infatti, che il personale sanitario arrivi in ospedale già con la divisa indossata per ragioni igienico-sanitarie.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso.
Sul primo motivo, ha affermato che la motivazione per relationem è legittima quando il giudice d’appello dimostra di aver condiviso il percorso logico-giuridico della sentenza di primo grado, fornendo una risposta, anche sintetica, ai motivi di gravame.

Sul secondo motivo, i giudici hanno dichiarato la censura inammissibile, poiché mirava a una rivalutazione dei fatti e delle prove testimoniali, operazione preclusa in sede di legittimità. I giudici di merito avevano già accertato, in base alle testimonianze, che la vestizione era un’attività obbligatoria e controllata dall’azienda.

Infine, riguardo all’ultrapetizione, la Cassazione ha stabilito che la domanda dei lavoratori era stata correttamente interpretata dai giudici di merito. Nel rito del lavoro, per comprendere l’esatta portata della richiesta, è necessario esaminare tutti gli atti processuali, incluse le schede allegate al ricorso, dalle quali emergeva chiaramente il periodo per cui si chiedeva la tutela.

Conclusioni e implicazioni pratiche

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e ne esegue le direttive, anche se per attività preparatorie come indossare una divisa obbligatoria, è orario di lavoro. Questa decisione ha importanti implicazioni per tutti i settori in cui è previsto l’uso di uniformi o abbigliamento specifico (sanità, ristorazione, industria). I datori di lavoro devono tenere conto di questo tempo nel calcolo dell’orario e della relativa retribuzione, per evitare contenziosi e il riconoscimento di differenze retributive.

Quando il tempo per indossare la divisa va pagato?
Secondo la Corte, il tempo vestizione va retribuito quando costituisce un’operazione preparatoria indispensabile e funzionale alla prestazione lavorativa, da compiersi in locali predisposti dal datore di lavoro e sotto il suo potere di eterodirezione, come nel caso in cui non sia permesso al lavoratore di arrivare sul luogo di lavoro già vestito con la divisa.

È valida una sentenza d’appello che si limita a richiamare quella di primo grado?
Sì, la motivazione ‘per relationem’ è considerata valida a condizione che il giudice d’appello dimostri di aver effettivamente valutato e condiviso il ragionamento della sentenza impugnata, fornendo una risposta, anche sintetica, alle specifiche censure sollevate nell’atto di appello.

Cosa succede se la richiesta di un lavoratore non è del tutto precisa?
Nel rito del lavoro, il giudice ha il dovere di interpretare la domanda del lavoratore esaminando non solo l’atto introduttivo ma anche tutti i documenti allegati. Non è sufficiente una mancata indicazione formale per rendere la domanda nulla, se l’oggetto della richiesta può essere individuato attraverso l’analisi complessiva degli atti processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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