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Tempo vestizione: onere della prova e retribuzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’infermiera che chiedeva la retribuzione per il cosiddetto ‘tempo vestizione’. La decisione conferma che l’onere della prova spetta al lavoratore, il quale deve dimostrare che il tempo per indossare la divisa sia impiegato al di fuori dell’orario di lavoro per disposizioni aziendali. In questo caso, le prove documentali, come i cartellini marcatempo, non supportavano la tesi della lavoratrice, mostrando anzi una notevole flessibilità oraria.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Tempo Vestizione: Quando è Orario di Lavoro? L’Onere della Prova è del Lavoratore

Il tempo vestizione, ovvero il tempo che un dipendente impiega per indossare e togliere la divisa aziendale, è da sempre un tema dibattuto nel diritto del lavoro. È da considerarsi orario di lavoro retribuito? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale della questione: l’onere della prova. La Suprema Corte ha stabilito che spetta al lavoratore dimostrare che tale attività avviene al di fuori dell’orario contrattuale per precise direttive aziendali.

I Fatti del Caso: La Richiesta dell’Infermiera

Una lavoratrice, impiegata come infermiera professionale presso un’azienda sanitaria locale, ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro. La sua richiesta era di ottenere il pagamento di differenze retributive, quantificate in circa 10.000 euro, per il tempo impiegato quotidianamente per indossare e dismettere la divisa di servizio. Secondo la sua tesi, questa operazione richiedeva mediamente trenta minuti al giorno, tempo che eccedeva l’orario di lavoro contrattualmente previsto e che, pertanto, doveva essere retribuito.

La Decisione dei Giudici di Merito: Domanda Respinta per Difetto di Prova

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto la domanda della lavoratrice. La motivazione di fondo è stata la medesima: la mancanza di prove adeguate. I giudici territoriali hanno sottolineato che, sebbene in linea di principio il tempo per la vestizione possa essere considerato orario di lavoro, è necessario che il dipendente provi che tale attività avvenga al di fuori dell’orario di lavoro per necessità imposte dal datore.
L’analisi dei cartellini marcatempo presentati dalla stessa lavoratrice ha rivelato un andamento degli orari di ingresso e uscita estremamente irregolare, con scostamenti minimi e una notevole flessibilità, che non permetteva di desumere un obbligo sistematico di anticipare l’ingresso o posticipare l’uscita per la vestizione.

L’Onere della Prova nel Tempo Vestizione Secondo la Cassazione

La lavoratrice ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge, in particolare dell’art. 2697 del Codice Civile sull’onere della prova. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La lavoratrice, sotto l’apparenza di una violazione di legge, stava in realtà chiedendo ai giudici di legittimità una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio (i cartellini), attività preclusa in quella sede.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ribadito che la giurisprudenza riconosce la retribuibilità del tempo vestizione quando questo è eterodiretto dal datore di lavoro, ovvero quando il dipendente è obbligato a svolgerlo sul luogo di lavoro prima dell’inizio e dopo la fine del turno. Tuttavia, l’onere di dimostrare tale circostanza ricade interamente sul lavoratore che avanza la pretesa.
Nel caso specifico, le risultanze processuali non solo non provavano tale obbligo, ma suggerivano il contrario: la lavoratrice godeva di una flessibilità oraria che le consentiva di gestire la prestazione giornaliera, invalidando la tesi di un tempo aggiuntivo sistematicamente imposto per la vestizione e non retribuito.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica. Per ottenere il riconoscimento del tempo vestizione come orario di lavoro retribuito, non è sufficiente affermare di impiegare del tempo extra. È indispensabile fornire prove concrete, chiare e univoche che dimostrino due elementi fondamentali:
1. Che la vestizione e svestizione avvengono effettivamente al di fuori dell’orario di lavoro contrattuale.
2. Che ciò accade non per scelta del dipendente, ma per precise disposizioni aziendali o per necessità intrinseche alla prestazione lavorativa che impongono di indossare la divisa solo all’interno dei locali aziendali.
In assenza di una prova rigorosa su questi punti, la domanda di retribuzione è destinata a essere respinta.

Il tempo per indossare la divisa è sempre orario di lavoro retribuito?
No. Secondo la Corte, il tempo vestizione rientra nell’orario di lavoro e deve essere retribuito solo se avviene al di fuori dell’orario contrattuale per disposizioni del datore di lavoro o per la natura stessa della prestazione. L’onere di provare queste circostanze spetta al lavoratore.

Perché la domanda della lavoratrice è stata respinta?
La domanda è stata respinta per difetto di prova. La lavoratrice non è riuscita a dimostrare che le operazioni di vestizione e svestizione avvenissero sistematicamente al di fuori del suo orario di lavoro. Le prove documentali (cartellini marcatempo) mostravano orari di entrata e uscita molto variabili e non supportavano la sua tesi.

Cosa significa che il ricorso per cassazione è ‘inammissibile’?
Significa che la Suprema Corte non può esaminare il caso nel merito. In questa vicenda, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, mascherato da violazione di legge, chiedeva in realtà una nuova valutazione delle prove e dei fatti (come l’analisi dei cartellini), compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado e non alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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