Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6265 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6265 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18556-2024 proposto da:
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 235/2024 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/02/2024 R.G.N. 1431/2021;
R.G.N.18556/2024
COGNOME
Rep.
Ud.20/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte di Appello di Bari respingeva l’appello proposto contro la sentenza del Tribunale di Bari, in funzione di giudice del lavoro, che aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME COGNOME, dipendente della ASL Ba, sin dal 29.3.1993, in servizio presso il Presidio Ospedaliero di Molfetta ‘Don Tonino COGNOME, in qualità di infermiera professionale, volta ad ottenere la condanna della parte datoriale al pagamento in suo favore delle differenze retributive, quantificate in € 10.000, maturate per il tempo mediamente pari a trenta minuti al giorno, eccedente rispetto all’orario del turno di lavoro contrattualmente previsto, impiegato per indossare e dismettere la divisa (cd. tempo tuta o divisa).
La Corte territoriale, dopo aver ricordato gli orientamenti del giudice di legittimità (in particolare è richiamata Cass. n. 17635/2019) in materia e, nel dettaglio, il principio secondo cui l’attività di vestizione e svestizione degli infermieri rientr a senza dubbio nell’orario di lavoro ed è da retribuire autonomamente qualora sia effettuata prima dell’inizio del turno o dopo l’inizio del turno, rigetta la domanda per non aver offerto la lavoratrice prova che l’effettuazione delle operazioni suddette, di vestizione/svestizione, avvenissero al di fuori dell’orario di lavoro.
In altri termini, la sentenza di appello rigetta la domanda per difetto di prova, così motivando: ‘ (…) analizzando le risultanze dei cartellini presenza esibiti a campione dall’istante (…) risulta un andamento assai irregolare, nel senso che: a) spesso, in
effetti, viene registrato un orario di entrata anticipato o di uscita posticipato di alcuni minuti, ma nelle timbrature di poco successive viene altresì annotata la fruizione di riposi compensativi; b) altre volte, peraltro, viene attestata addirittura un’entrata oltre l’orario previsto per l’inizio del turno, così come un’uscita prima dell’orario di fine turno con annotazione nell’apposita colonna del correlativo debito orario (talora anche di molti minuti, se non addirittura di ore). Ne deriva (…) che la estrema variabilità degli orari di ingresso e di uscita, con scostamenti di pochissimi minuti rispetto all’inizio e alla fine del turno, impedisce di ritenere che la lavoratrice fosse tenuta per disposizioni aziendali ad anticipare o posticipare sistematic amente l’inizio e la fine della prestazione lavorativa per potersi vestire/svestire, risultando al contrario che ella disponeva di un certo grado di flessibilità degli orari di ingresso e uscita, purché venisse garantita la prestazione giornaliera di sei o re. Orbene, a fronte di detto andamento irregolare (…) sarebbe stato onere dell’appellante prendere specifica posizione al riguardo, fornendo i chiarimenti idonei a decodificare le risultanze dei cartellini marcatempo in senso favorevole alla sua tesi dife nsiva, onde inferirne la prova che, effettivamente, l’arco temporale dedotto nei conteggi fosse stato impiegato tempo di lavoro per la vestizione/svestizione degli indumenti di lavoro non remunerato dall’ASL e non compensato né attraverso successivi ingressi posticipati o uscite anticipate e nemmeno mediante la fruizione di corrispondenti riposi compensativi.’.
In estrema sintesi il rigetto della domanda affonda le sue radici nella mancanza di prova che la vestizione/svestizione siano avvenuti al di fuori dell’orario di lavoro.
Avverso detta pronunzia, la lavoratrice indicata in epigrafe propone ricorso per cassazione, articolato in un motivo.
Resiste con controricorso l’Asl Ba, in persona del direttore generale p.t.
Considerato che
L’unico motivo di ricorso per cassazione denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonché dell’art. 1, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 66 del 2003 e dell’art. 27, comma 11, del comparto sanità 2016-2018.
1.2. Parte ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto assolto da parte della lavoratrice l’onere della prova con riferimento alla richiesta di condanna al pagamento delle differenze retributive in ragione del tempo dedicato alla vestizione ed alla svestizione degli abiti da lavoro. 1.3. Insiste che in virtù delle emergenze probatorie, documentali e testimoniali, sarebbe emersa la prova che la lavoratrice necessitasse di un tempo aggiuntivo, in entrata o in uscita, rispetto al turno per le attività di vestizione e di svestizione.
La doglianza è inammissibile.
3.1. Sotto lo schermo della dedotta violazione di legge, proposta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., il motivo tende semplicemente ad una inammissibile richiesta di rivalutazione del materiale probatorio tutto (prove testimoniali e documentali) esaminato dal giudice di merito.
3.2. La giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis, tra le più recenti, Cass. S.U. n. 34476/2024, Cass. n. 8758/2017) ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, solo apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio o di omessa pronunzia, mirando in realtà, invece, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudice di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, negata, tuttavia, la richiesta di liquidazione da parte dell’Asl di Bari degli oneri riflessi, perché detti oneri contributivi sono posti a carico dei dipendenti cui vengono distribuiti gli importi riconosciuti a titolo di rimborso spese, sicché trattandosi di somme che attengono al rapporto retributivo del difensore con il proprio ente, è evidentemente infondata la pretesa di ottenerne la restituzione a carico della parte soccombente (in tal senso cfr. la recentissima Cass. n. 4399/2025, nonché Cass. n. 3242/2024 e ancora Cass. n. 7499/2023).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione