LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tempo tuta: quando va retribuito? La Cassazione decide

L’ordinanza della Corte di Cassazione analizza il caso di alcuni medici che chiedevano la retribuzione per il cosiddetto “tempo tuta”, ovvero il tempo impiegato per indossare e togliere la divisa, e per il lavaggio della stessa. La Corte ha cassato la sentenza d’appello favorevole ai medici, ritenendola priva di una motivazione adeguata. In particolare, è stata sottolineata la mancanza di prove concrete riguardo allo svolgimento di tali attività al di fuori dell’orario di lavoro e al tempo effettivamente impiegato, ribadendo che l’onere della prova grava sui lavoratori.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Tempo Tuta e Retribuzione: La Cassazione Sottolinea l’Importanza della Prova

Il tempo impiegato per indossare e togliere la divisa da lavoro, comunemente noto come tempo tuta, rappresenta da anni un tema dibattuto nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione è tornata sulla questione, offrendo chiarimenti cruciali, in particolare sull’onere della prova che grava sul lavoratore. La decisione ribadisce un principio fondamentale: per ottenere una retribuzione aggiuntiva, non basta affermare un diritto, ma è necessario dimostrarlo con fatti concreti.

I Fatti di Causa: La Controversia sul Tempo Tuta e Lavaggio Divise

Un gruppo di medici convenzionati con un’Azienda Sanitaria si è rivolto al Tribunale per ottenere il pagamento del tempo supplementare impiegato, a loro dire, per la vestizione e svestizione degli indumenti di lavoro, considerati dispositivi di protezione individuale (DPI). Sostenevano di impiegare circa trenta minuti in più per ogni turno, oltre all’orario ordinario di 38 ore settimanali. Inoltre, chiedevano un compenso per il lavaggio e la stiratura delle divise, attività che svolgevano personalmente nonostante fosse un obbligo a carico dell’azienda.

Inizialmente, il Tribunale di primo grado aveva respinto le loro richieste. Successivamente, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo le domande dei medici. L’Azienda Sanitaria, non soddisfatta della sentenza, ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova sul Tempo Tuta

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Azienda Sanitaria, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa a un nuovo giudizio. Il punto centrale della decisione non riguarda la natura degli indumenti come DPI, ormai pacificamente riconosciuta, ma la dimostrazione effettiva delle attività svolte e del tempo impiegato.

La Cassazione ha rilevato una grave carenza nella motivazione della sentenza d’appello, che si era limitata a riconoscere il diritto dei medici basandosi su presunti ‘fatti gravi, precisi e concordanti’ senza però indicarli né spiegarli. In pratica, la Corte d’Appello aveva dato per provato il diritto senza un’adeguata base probatoria.

Le Motivazioni: La Carenza di Prova e l’Errata Applicazione dei Principi

Le motivazioni della Cassazione sono nette e si fondano su diversi pilastri. In primo luogo, la Corte ha censurato la totale assenza, nella sentenza impugnata, di un percorso logico-giuridico che spiegasse come si fosse giunti a considerare provata l’attività di vestizione e svestizione al di fuori dell’orario di lavoro. L’uso di presunzioni non può sostituire la prova concreta, specialmente quando i fatti sono contestati dalla controparte.

In secondo luogo, è stata evidenziata una contraddizione nell’applicare al caso dei medici convenzionati – legati da un rapporto di parasubordinazione – principi giurisprudenziali elaborati per i lavoratori subordinati, come gli infermieri. I regimi contrattuali e orari sono differenti e non possono essere assimilati senza una specifica motivazione.

Infine, anche per quanto riguarda la richiesta di rimborso per il lavaggio delle divise, la Corte d’Appello aveva errato, aderendo alla ricostruzione dei medici senza che questi avessero fornito elementi di prova sufficienti a dimostrare di aver effettivamente sostenuto tali spese e di aver portato le tute fuori dal luogo di lavoro per il lavaggio.

Conclusioni: L’Importanza della Prova Concreta

Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento: chi fa valere un diritto in giudizio ha l’onere di provare i fatti che ne stanno a fondamento (art. 2697 c.c.). Per ottenere la retribuzione del tempo tuta o il rimborso delle spese di lavaggio, il lavoratore deve fornire prove concrete e specifiche. Non è sufficiente una semplice affermazione. È necessario dimostrare che la vestizione è eterodiretta dal datore di lavoro, che avviene necessariamente prima e dopo l’orario di lavoro e quantificare il tempo effettivamente impiegato. La decisione della Cassazione serve da monito: le presunzioni possono aiutare il giudice, ma non possono mai sostituire una carenza probatoria totale.

Il tempo per indossare e togliere la divisa di lavoro (“tempo tuta”) deve essere sempre retribuito?
No, non sempre. Secondo l’ordinanza, il lavoratore deve fornire la prova concreta che questa attività sia imposta dal datore di lavoro e che avvenga necessariamente al di fuori del normale orario di lavoro. L’onere di dimostrare queste circostanze e il tempo impiegato ricade interamente sul lavoratore.

Cosa ha sbagliato la Corte d’Appello secondo la Cassazione in questo caso?
La Corte d’Appello ha emesso una sentenza con una motivazione carente, affermando che il diritto fosse provato sulla base di “fatti gravi, precisi e concordanti” senza però specificare quali fossero tali fatti. Questo ha reso la sua decisione non verificabile e illogica, portando alla cassazione della sentenza.

È sufficiente affermare di aver lavato la divisa a casa per ottenere un risarcimento?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che anche per il rimborso delle spese di lavaggio è necessario fornire elementi di prova. Non basta la semplice affermazione del lavoratore, ma occorre dimostrare concretamente lo svolgimento di tale attività e, idealmente, le spese sostenute, soprattutto se la controparte contesta tale richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati