Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12209 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12209 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9227/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE Messina, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Messina n. 77/2024 pubblicata l’8 febbraio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME Valentino, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME COGNOME tutti medici convenzionati con l’ASP Messina in servizio presso l’emergenza sanitaria territoriale, ossia il servizio 118, premesso di essere tenuti a osservare un orario di 38 ore settimanali, hanno adito il Tribunale di Messina e dedotto di essere tenuti a indossare indumenti specifici, dei quali sostenevano la natura di dispositivi di protezione individuali, di impiegare per ogni turno circa trenta minuti supplementari ol tre l’orario ordinario, destinati alla vestizione e svestizione, che non erano retribuiti, e di occuparsi personalmente della pulitura e stiratura delle tute, nonostante si trattasse di un obbligo gravante sulla medesima ASP Messina.
I ricorrenti hanno chiesto la condanna della controparte a pagare la retribuzione maturata per la vestizione-svestizione e per il lavaggio e la stiratura.
Il Tribunale di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 821/2022, ha rigettato il ricorso.
I ricorrenti originari hanno proposto appello che la Corte d’appello di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 77/2024, ha accolto.
L’ASP Messina ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
Gli intimati si sono difesi con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, la motivazione incongrua, illogica, apparente e assolutamente incoerente in quanto il giudice di primo grado, diversamente da quanto sostenuto dalla corte territoriale, avrebbe affermato che, se l’uso dei dispositivi di protezione fosse stato obbligatorio, avrebbe dovuto essere considerato rientrante nell’orario di lavoro.
Con il secondo motivo l’ASP Messina contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in quanto la circostanza che la vestizione e la svestizione al di fuori dell’orario di lavoro fossero supportate da ‘fatti, gravi, precisi e concordanti che consentono di presumerla’ non avrebbe trovato riscontro né nella motivazione della sentenza di primo grado né negli atti di causa, tanto che la corte territoriale non li avrebbe neppure richiamati.
Aggiunge che i documenti prodotti in secondo grado dalle controparti non avrebbero potuto riguardare i medici convenzionati, dei quali si trattava, ma solo i DPI dei lavoratori dipendenti e che la sentenza di appello si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che imponeva l’accertamento in concreto della vestizione-svestizione al di fuori dell’orario di lavoro.
Con il terzo motivo l’ASP Messina rappresenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., in combinato disposto con gli artt. 421 e 437 c.p.c., in quanto la corte territoriale avrebbe ammesso della documentazione tardivamente presentata da controparte.
Con il quarto motivo l’ASP Messina contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe deciso in assenza di alcuna prova in ordine allo svolgimento dell’attività di vestizione – svest izione al di fuori dell’orario di lavoro e al tempo occorrente per essa.
Con il quinto motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c., avendo errato la corte territoriale a determinare il tempo di vestizione – svestizione in via equitativa.
Detto motivo è stato proposto in via subordinata.
Con il sesto motivo parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe accolto la domanda delle controparti in ordine al lavaggio, all’asciugatura e alla s tiratura della tuta in assenza di prova di queste circostanze fornita dai lavoratori, i quali nulla avevano allegato neanche per dimostrare di averla portata fuori dal luogo di lavoro.
Con il settimo motivo l’ASP Messina prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c., contestando che la corte territoriale si sia
avvalsa della valutazione equitativa per la determinazione del risarcimento delle spese per lavaggio, asciugatura e stiratura in assenza di prova sull’ an .
Le censure, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono fondate nei termini che seguono.
La sentenza di appello si presenta, in effetti, priva di una motivazione completa e intelleggibile per quel che concerne la dimostrazione dell’attività di vestizione -svestizione e lavaggio, asciugatura e stiratura degli indumenti di lavoro oggetto di causa.
Non è qui messa in discussione la natura di DPI di detti indumenti, peraltro neppure più specificamente criticata, in questa sede, dalla parte datrice.
Al riguardo, il giudizio di appello è conforme al principio affermato, in termini generali, da Cass., Sez. L, n. 16749 del 21 giugno 2019, e così massimato: ‘In tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.; ne consegue la configurabilità a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I. (Fattispecie riguardante gli addetti alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani)’.
La decisione si presenta carente, però, in ordine all’esplicazione del processo logico seguito per giungere a considerare provata l’attività di vestizione e svestizione e di lavaggio, asciugatura e stiratura degli indumenti in esame nei termini descritti d ai lavoratori, alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale in materia.
In primo luogo, la corte territoriale ha ritenuto che il fatto della vestizione e svestizione al di fuori dell’orario di lavoro fosse supportato da ‘fatti gravi, precisi e concordanti che consentono di presumerla’, senza indicare, però, tali fatti, che non sono menzionati nella sentenza impugnata.
Inoltre, si evidenzia la contraddittorietà assoluta di detta motivazione, atteso che la Corte d’appello di Messina ha applicato alla presente vicenda, concernente dei medici convenzionati, soggetti, quindi, legati alla P.A. da un rapporto di parasubordinazione, principi elaborati dalla giurisprudenza con riferimento all’attività degli infermieri, i quali sono lavoratori subordinati.
In aggiunta a ciò, la corte territoriale ha posto a base del suo giudizio l’assunto che i dirigenti medici sarebbero vincolati a un orario e ha dato rilievo al superamento del debito orario contrattuale per giustificare il riconoscimento di un compenso a titolo di straordinario. In questo modo, però, si è posta in contrasto con i chiari principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
Al riguardo, possono menzionarsi Cass., Sez. L, n. 20796 del 25 luglio 2024, per la quale il dirigente medico che ha svolto una prestazione di lavoro eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva, anche se a causa di un erroneo criterio di calcolo del debito orario minimo assolto adottato dall’A.S.L., non ha diritto a un compenso supplementare, in quanto la sua retribuzione dovuta non è stabilita su base oraria, bensì mensile, ed è comprensiva di tutte le prestazioni rese, cosicché l’azione di esatto adempimento per il pagamento di differenze retributive consente di conseguire soltanto detta retribuzione, ferma restando la possibilità di far eventualmente valere la responsabilità datoriale a titolo risarcitorio, allegando specificamente e provando, anche attraverso presunzioni semplici, un concreto pregiudizio alla salute, alla personalità morale o al riposo, nonché Cass., Sez. L, n. 31795 del 10 dicembre 2024, per la quale la flessibilità oraria prevista per la prestazione di lavoro dei medici dal CCNL del 3.11.2005 ha lo scopo primario di favorire il raggiungimento degli obiettivi da parte della struttura sanitaria, tant’è che l’orario di trentotto ore settimanali è da intende re come orario minimo e può essere superato senza che sia dovuto il pagamento dello straordinario.
A conclusioni non dissimili deve giungersi con riferimento alla questione del lavaggio, della stiratura e dell’asciugatura dell’abbigliamento de quo , soprattutto perché la Corte d’appello di Messina ha, in effetti, ritenuto provato l’assunto dei ricorrenti aderendo alla loro ricostruzione dei fatti di causa nonostante una
contestazione dell’ASP Messina in ordine all’ an del loro diritto e senza indicare gli elementi di prova posti a fondamento di questa parte della decisione.
Quanto sopra induce ad accogliere i motivi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo.
Deve ritenersi, invece, infondata la contestazione inerente alla dedotta tardività della presentazione della documentazione prodotta da controparte (terzo motivo di ricorso).
Indubbiamente, nel rito del lavoro, l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice non può mai essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire a una carenza probatoria totale, in funzio ne sostitutiva degli oneri di parte, in quanto l’art. 421 c.p.c., in chiave di contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, quale caratteristica precipua del rito speciale, consente l’esercizio dei poteri ufficiosi allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si controverte; ne consegue che tale potere non può tradursi in una pura e semplice rimessione in termini del convenuto tardivamente costituito, in totale assenza di fatti quantomeno indiziari, che consentano al giudicante un’attività di integrazione degli elementi delibatori già ritualmente acquisiti (Cass., Sez. L, n. 23605 del 27 ottobre 2020).
Nella specie, la corte territoriale ha valorizzato la genericità della contestazione della P.A. e, sul punto, la censura non è sufficientemente specifica e dettagliata, non descrivendo, soprattutto, adeguatamente, lo stato delle risultanze di causa al momento della produzione criticata.
Il ricorso è accolto nei termini di cui in motivazione.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;
-cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile della