Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12176 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12176 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
Il Tribunale di Viterbo, accertato l’obbligo dei lavoratori indicati in epigrafe di indossare la divisa sul luogo di lavoro, ha dichiarato la computabilità nell’orario di lavoro del tempo necessario per le operazioni di vestizione e svestizione.
La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma di tale sentenza, ha condannato l’Azienda Sanitaria Locale di Viterbo al pagamento , in favore dei medesimi lavoratori, della retribuzione dovuta per il tempo necessario alle operazioni di vestizione e dismissione della divisa, determinato in complessivi 15 minuti a turno, con decorrenza dalla data di notifica del ricorso (9.3.2017), da considerarsi come lavoro straordinario.
La Corte territoriale ha rilevato che si era formato il giudicato interno sulla statuizione del Tribunale riguardante la computabilità nell’orario di lavoro del tempo necessario per le operazioni di vestizione e svestizione ed ha ritenuto contraddittoria r ispetto a tale statuizione l’esclusione, da parte del primo giudice, della remunerabilità di tale tempo ulteriore quale lavoro straordinario.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte e la propria giurisprudenza sulla remunerazione del temo di vestizione e di svestizione, ha osservato che il tempo di percorrenza dallo spogliatoio al reparto (e viceversa) deve essere considerato alla stregua del tempo di vestizione, trattandosi di attività che accede necessariamente alle suddette operazioni.
Ha ritenuto ragionevole per lo svolgimento di tali attività la misura di 15 minuti a turno individuata dai lavoratori e non contestata dalla parte datoriale, a decorrere dalla data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (9.3.2017), in quanto non erano state avanzate richieste per il periodo precedente.
Avverso tale sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’Azienda Sanitaria Locale di Viterbo ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2943, 2945 e 2948 cod. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere limitato la decorrenza dell’atto interruttivo della prescrizione alla data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e di non averne esteso gli effetti al quinquennio precedente.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione di legge processuale; errata interpretazione della domanda giudiziale.
Deduce che, qualora la Corte territoriale avesse inteso la domanda giudiziale come tesa ad ottenere solo l’accertamento del diritto da far valere con decorrenza dalla domanda giudiziale, avrebbe negato il diritto dei lavoratori alle differenze retributive maturate nel quinquennio precedente, così violando il combinato disposto degli artt. 2943, 2945 e 2948 cod. civ., in forza del quale il termine quinquennale di prescrizione dei crediti retributivi è interrotto dal ricorso giudiziale con effetto fino al passaggio in giudicato della sentenza mentre, qualora il giudice di appello avesse inteso dichiarare il diritto dei lavoratori alle differenze retributive limitando la condanna al pagamento delle sole differenze maturate dopo l’instaurazione del giudizio, avrebbe erroneamente interpretato la domanda, che non aveva accennato ad alcuna limitazione temporale, così violando la legge processuale.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione di norma di legge processuale; violazione del principio di divieto di reformatio in peius .
Deduce che il primo giudice aveva riconosciuto il diritto dei lavoratori alla valorizzazione del tempo di vestizione come orario di lavoro senza alcuna limitazione all’epoca successiva della domanda giudiziale ed aveva ritenuto che tale eccedenza lavorativa dovesse essere compensata con la concessione di equivalenti periodi di riposo; evidenzia che le statuizioni della sentenza di primo grado relative all’accertamento e alla dichiarazione del diritto con effetti pregressi non sono state impugnate, avend o l’appello riguardato solo il mancato riconoscimento del compenso per lavoro straordinario.
Lamenta che la sentenza di appello ha prodotto un ingiusto ed illegittimo effetto di reformatio in peius .
Le censure, che possono essere trattate congiuntamente per la loro connessione logica, sono inammissibili, in quanto non colgono il decisum e non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte territoriale non ha applicato l’istituto della prescrizione, ma ha rilevato la mancanza di domande per il periodo precedente alla proposizione del ricorso, e da tale data ha fatto correttamente decorrere gli effetti del disposto accoglimento.
Dalla sentenza impugnata non risulta l’epoca a partire dalla quale il giudice di primo grado ha accertato il diritto dei lavoratori ricorrenti alla retribuzione del tempo di vestizione e svestizione, né la Corte territoriale inteso riformare la senten za di primo grado sulla decorrenza dell’accertamento (non ha infatti affermato che la decorrenza accertata dal primo giudice è errata); sotto questo profilo non è dunque configurabile alcuna reformatio in pejus .
Le censure sono dunque avulse dalla sentenza impugnata riguardo alla contestata statuizione sulla decorrenza.
Peraltro il ricorso, nel prospettare che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado non contiene limitazioni temporali, non assolve agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., in quanto non lo riproduce né lo sintetizza e non precisa se nel ricorso di primo grado è stata indicata la data di inizio di ciascun rapporto di lavoro, né l’epoca a partire dalla quale i ricorrenti hanno rivendicato le loro pretese.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrent i al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della