Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25034 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25034 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4169-2021 proposto da:
COGNOME COGNOME DI NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME – ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO – VASTO CHIETI, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 421/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/07/2020 R.G.N. 422/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
L a Corte d’Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Chieti rigettando le domande di pagamento dei
Oggetto
IMPIEGO PUBBLICOPERSONALE SANITARIOTEMPO TUTA
R.G.N. 4169/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/04/2025
CC
tempi di vestizione (c.d. tempo tuta) proposte dagli odierni ricorrenti, con qualifica di operatore tecnico specializzato esperto-autista ambulanze 118.
La Corte territoriale ha ritenuto che, in linea di principio generale, dovendo gli operatori sanitari indossare la divisa presso la sede di lavoro per ragioni di igiene, i tempi necessari a tal fine fossero tempi di lavoro; quindi, prendendo atto che la contrattazione aveva regolato il tema solo con il CCNL 20162018, riteneva tuttavia che una prima disciplina fosse desumibile dai regolamenti aziendali del 2011 e del 2012 che riconoscevano ai turnisti 15 minuti ‘in uscita’ per la presa in carico e la continuità assistenziale.
L a Corte d’Appello riteneva quindi che quei 15 minuti fossero da intendere come riguardanti anche la vestizione e svestizione e ciò argomentava anche sulla base di quanto analogamente poi disposto dal CCNL sopravvenuto; la Corte territoriale, tuttavia, riteneva che quei regolamenti comportassero il riconoscimento di quei 15 minuti solo ai turnisti della continuità assistenziale ed agli addetti alla sala operatoria, ma non ai ricorrenti i quali, non essendo vincolati a sovrapposizioni orarie, potevano vestirsi o svestirsi nell’ambito del proprio turno di lavoro.
Al riguardo, la Corte distrettuale precisava che anche il comma 11 dell’art. 28 CCNL , peraltro non applicabile in tale sede in quanto norma sopravvenuta, riconosce ai soli ‘operatori del ruolo sanitario e quelli appartenenti al ruolo tecnico addetti all’assistenza complessivi 10 minuti destinati alle operazioni di svestizione e vestizione qualora ‘debbano indossare apposite divise per lo svolgimento della prestazione’ e ‘purch é risultanti dalle timbrature effettuate’.
La domanda dei ricorrenti veniva dunque rigettata perché impiegati al di fuori di quegli ambiti.
I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso della ASL; sono in atti memorie di ambo le parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I l primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1 15 c.p.c., per avere la sentenza impugnata affermato che i lavoratori non erano obbligati all’uso di indumenti di lavoro compatibili con una struttura ospedaliera svolgendo mansioni differenti da quelle di infermiere.
Viceversa, gli odierni ricorrenti hanno dedotto nel corso del giudizio di aver svolto mansioni di assistenza come soccorritori che la resistente non ha contestato.
Il secondo motivo adduce , ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. non avendo la Corte territoriale adottato alcuna pronuncia sulla domanda avente ad oggetto il diritto dei ricorrenti ad essere retribuiti per il tempo occorrente per il cambio camice prima dell’inizio e dopo ogni turno, ritenendo detta voce retributiva ricompresa nella c.d. continuità assistenziale.
Il terzo motivo denuncia, infine, la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., della direttiva CEE 23/11/1993 n. 93/104 e del D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66 di attuazione della predetta direttiva, nonché violazione dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c. in relazione al CCNL Comparto sanità 10/4/1999, art. 26 e successive modificazioni.
La Corte distrettuale si sarebbe discostata dai principi affermati da questa Corte in materia secondo cui il tempo di vestizione e svestizione dà diritto alla retribuzione al di là del rapporto sinallagmatico, trattandosi di obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia la gestione del servizio pubblico e sia la incolumità del personale addetto.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Come affermato nella sentenza impugnata, sia i tempi di vestizione/svestizione, sia i tempi di passaggio consegne integrano a tutti gli effetti orario di lavoro da remunerare.
La giurisprudenza di questa S.C. quanto ai tempi c.d. tuta in ambito infermieristico ha ritenuto che essi danno diritto alla retribuzione, trattandosi -per quanto attiene alla vestizione/svestizione -di obblighi imposti dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto (per tutte, v. Cass. 24 maggio 2018, n. 12935).
Si è altresì ritenuto che il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale (Cass. 22 novembre 2017, n. 27799).
N on è dunque legittimo un sistema di rilevazione dell’orario che in ipotesi lasci al di fuori dei tempi di lavoro e di quanto vada remunerato, il tempo tuta o il tempo di passaggio consegne ed è chiaro che i due tempi di lavoro, almeno nella loro definizione astratta individuano due autonomi momento della prestazione; come sottolineato già da Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352, «la soluzione è coerente con la previsione contenuta nel d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2 lett. a), (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), secondo la quale per
orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1)» ed in senso conforme -sottolinea ancora Cass. 1352/2016 -si è espressa la Corte di Giustizia la quale ha precisato che è tempo di lavoro quello in cui il lavoratore è «presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro» per «tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno (v., in tal senso, sentenza Dellas e a., C-14/04, punto 48, nonché ordinanze Vorel, C-437105, punto 28, e Grigore., C258/10, punto 63»; v. anche Corte di giustizia 10 settembre 2015 nella causa C266/14, Federación de Servicios Privados sindicato Comisiones obreras, in relazione ai tempi di spostamento come tempi di lavoro);
4. Ciò posto, questa Corte ha di recente in fattispecie analoga affermato che, sebbene per certe figure (infermieri ed altro personale della continuità assistenziale e della sala operatoria operanti in turni), si sia ritenuto di individuare una disciplina dei tempi di vestizione/svestizione e di cambio consegne nei regolamenti 2011 e 2012 che avrebbero -sempre secondo la Corte -anticipato la successiva disciplina di cui al CCNL 20162018, nulla ha a che vedere con il fatto che, anche in relazione al restante personale -cui appartiene quello coinvolto nella presente causa appartenente alla qualifica di Operatore Tecnico Specializzato Esperto- Autista Ambulanze 118- si ponga una questione di remunerazione dei c.d. tempi tuta (vedi Cass. 20791/2024).
Fare pertanto riferimento allo svolgimento al di fuori dell’ospedale dei turni dei tecnici autisti di ambulanza non
esaurisce il tema; così come non ha rilievo la possibilità teorica di vestirsi e svestirsi entro l’orario di lavoro, per l’assenza di un regime di sovrapposizioni prestazionali.
Ad avviso di questa Corte in continuità con l’indirizzo inaugurato con la pronuncia richiamata ‘ciò che conta non è infatti l’assetto astratto degli obblighi, ma quanto in concreto sia accaduto, ovverosia se nell’orario di lavoro di tale personale siano stati ricompresi i tempi di vestizione e svestizione, perché se ciò non è accaduto, evidentemente anch’essi, previa stima di quanto a ciò necessario, vanno remunerati, a prescindere dal fatto che il lavoro si svolga per turni o meno, a contatto con pazienti o meno, al di fuori dell’ospedale o meno ‘ ; certamente è pregiudiziale -specie per gli autisti di ambulanza per quali la Corte di merito dice che le divise non sarebbero soggette alle medesime regole di igiene e di sicurezza -l’accertamento in ordine al trattarsi, sempre in concreto, di attività assoggettate al potere di conformazione del datore di lavoro e dunque eterodirette, sia per esplicita disciplina d’impresa sia per natura degli indumenti, sia per la specifica funzione che questi ultimi devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento (v. Cass. 28 marzo 2018, n. 7738; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352). Una volta acquisiti tali dati però, se risulti che il c.d. tempo tuta rientra nella prestazione subordinata secondo i parametri giurisprudenziali sopra citati, è ineludibile la verifica in merito al fatto che in concreto quei tempi siano stati o meno considerati nei tempi di lavoro, al fine di determinarne, in mancanza, la remunerazione secondo quanto sopra detto e sulla base dei criteri di computo più adeguati al caso di specie.
4.1 Conseguentemente le considerazioni appena svolte superano ogni ulteriore profilo di doglianza.
In definitiva la pronuncia va cassata e la causa va rimessa alla medesima Corte d’Appello, quale giudice del rinvio, affinché svolga gli accertamenti sopra indicati, definendo, in ragione di essi, quanto oggetto del contendere.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione