Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4253 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 4253  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15301/2023 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-controricorrente- avverso  la  SENTENZA  della  Corte  d’appello  di  Catanzaro,  n.  1524/2022, pubblicata il 30 dicembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12 febbraio 2020 NOME COGNOME, infermiera, ha riassunto, davanti al Tribunale di Castrovillari, il giudizio che aveva introdotto davanti a quello di RAGIONE_SOCIALE, dichiaratosi incompetente, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE (da ora, RAGIONE_SOCIALE), deducendo che era stata costretta a un surplus lavorativo di almeno 15/20 minuti al giorno rispetto al suo orario ordinario di lavoro di 36 ore settimanali, che corrispondeva al tempo necessario per la vestizione/svestizione della divisa che doveva indossare prima di prendere servizio per poi dismetterla alla fine del turno.
Ella  ha  lamentato  che  tale  surplus  non  le  era  mai  stato  retribuito  e  ne  ha chiesto  il  pagamento  per  il  periodo  dal  2009  al  2019,  con  condanna  di controparte a corrispondere € 9.528,52.
Il  Tribunale  di  Castrovillari,  nel  contraddittorio  delle  parti,  con  sentenza  n. 1356/2021, ha accolto il ricorso, nei limiti della prescrizione quinquennale.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che la Corte d’appello di Catanzaro, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1524/2022, ha accolto.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che:
il tribunale non aveva accordato alla ricorrente la ‘ indennità di divisa ‘ che in ricorso pareva essere stata rivendicata quale autonoma voce retributiva e della quale, però, il contratto collettivo di comparto non faceva menzione neppure nella sua formulazione più recente;
-l’art. 27, commi 11 e 12, del CCNL del 21 maggio 2018, non contemplava, a carico del datore di lavoro, alcuna obbligazione di dare avente ad oggetto una specifica voce economica (della quale, infatti, non indicava la misura), ma gli imponeva di riconoscere agli operatori sanitari, al massimo, ‘ 15 minuti complessivi ‘ per le operazioni di ‘ vestizione, svestizione e passaggio di consegne purché risultanti dalle timbrature effettuate ‘ , ossia di fare in modo che, nell’orario di lavoro retribuito , fosse ricompreso anche il tempo necessario per quelle operazioni, chiarendo, a tal fine, che detto tempo doveva risultare dalle ‘ timbrature ‘ dei cartellini del personale ;
la circostanza che la ricorrente avesse eseguito le quotidiane operazioni di vestizione  e  svestizione  della  divisa  fuori  dall’orario  di  lavoro  risultante  dalle timbrature  non  era  stata  allegata  e,  come  tale,  non  poteva  considerarsi incontestata e, dunque, pacifica, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale.
detta circostanza, inoltre, non aveva formato oggetto della richiesta di prova testimoniale,  articolata  in  ricorso,  perché  ai  testimoni  non  si  era  chiesto  di confermare che la ricorrente fosse stata costretta a indossare la divisa prima di timbrare in entrata e a svestirla solo dopo avere timbrato in uscita.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con  il  primo  motivo  NOME  COGNOME  lamenta  la  violazione  ed  errata applicazione dell’art. 27, commi 12 e 13 , CCNL Sanità 2016-2018.
Ella  sostiene  che  la  corte  territoriale  avrebbe  erroneamente  ritenuto  che sussistesse  a  suo  carico  un  obbligo  di  timbratura  per  il  tempo  di  lavoro preordinato al  cambio  divisa  qualora  aggiuntivo  rispetto  all’ordinario  turno  di servizio che, sempre in modo errato, aveva considerato straordinario.
Inoltre, contesta la mancata ammissione della prova testimoniale articolata al fine di dimostrare l’effettivo cambio divisa al di fuori del turno di servizio.
La doglianza è infondata.
Innanzitutto, si osserva che la corte territoriale non ha affermato la natura di lavoro straordinario del tempo necessario per indossare e dismettere la divisa di lavoro della controricorrente, ma  ha  preso  atto  che  questa  è  stata  la ricostruzione operata sul punto dal Tribunale di Castrovillari.
Al  riguardo,  questo  Collegio  ribadisce  che  le  operazioni  di  vestizione  e svestizione  del  personale  sanitario  rientrano  nell’orario  di  lavoro  se  il  tipo  di indumenti da indossare è imposto da superiori esigenze di sicurezza e igiene
attinenti alla gestione del servizio prestato e all’incolumità del personale addetto, sicché – anche nel silenzio della contrattazione collettiva – il tempo impiegato per tali  operazioni  dà  diritto  a  retribuzione  (Cass.,  Sez.  L,  n.  18612  dell’8  luglio 2024).
Si sottolinea, poi, che il giudice di appello non ha neppure ritenuto che sussistesse a carico della dipendente un obbligo di timbratura per il tempo di lavoro preordinato al cambio divisa qualora aggiuntivo rispetto a quello di lavoro, ma ha semplicemente rilevato che la disposizione contrattuale collettiva imponeva al datore l’obbligo di fare in modo che nell’orario di lavoro retribuito fosse ricompreso anche il tempo necessario per quelle operazioni, limitandosi ad affermare che questo tempo doveva risul tare dalle ‘ timbrature ‘ dei cartellini del personale.
Tale considerazione è corretta, ove si esamini il contenuto testuale dell’art. 27 del CCNL 2016-2018 nella parte che qui rileva: « 12. Nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore, ove sia necessario un passaggio di consegne, agli operatori sanitari sono riconosciuti fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere. 13. Sono definibili dalle Aziende ed Enti le regolamentazioni di dettaglio attuative delle disposizioni contenute nel presente articolo ».
Il tempo di vestizione, dunque, deve risultare, di regola, dalla timbratura, essendo definibili dalle Aziende e dagli Enti solo le regolamentazioni di dettaglio.
In  aggiunta  a  ciò,  si  evidenzia  che  la  corte  territoriale  ha  fondato  la  sua decisione sull’accertamento, non contestato in questa sede e, quindi, da reputare ormai definitivo, che ‘la circostanza che la ricorrente abbia eseguito le quotidiane operazioni  di  vestizione  e  svestizione  della  divisa  fuori dall’orario  di  lavoro risultante  dalle  timbrature  non  era  stata  allegata  e,  come  tale,  non  può considerarsi incontestata e dunque pacifica’.
Si  tratta  di  una  verifica  che  preclude  l’accoglimento  della  domanda  della dipendente,  in  quanto,  per  costante  giurisprudenza,  in  caso  di  richiesta  di pagamento della c.d. indennità di divisa, occorre stabilire se esistesse l ‘ obbligo
– nascente da disposizione del datore di lavoro – di indossare gli indumenti di lavoro fin  dall ‘ orario  di  inizio  del  turno,  oppure,  fosse  consentito  ai  singoli  di indossarli in un momento successivo all ‘ inizio della prestazione (Cass., SU, n. 11828 del 2013, pagina 7 della motivazione, non massimata).
Si è ritenuto, infatti, che l ‘ attività consistente nell ‘ indossare e dismettere la divisa RAGIONE_SOCIALEle rientra nella categoria del tempo di lavoro retribuibile nel caso in cui si svolga in locali RAGIONE_SOCIALEli prefissati, ed in tempi delimitati non solo – ad esempio – dal passaggio in successivi tornelli azionabili con il badge (posti all ‘ ingresso dello stabilimento e all ‘ ingresso del reparto), ma anche dal limite stabilito dalla parte RAGIONE_SOCIALEle prima dell ‘ inizio del turno, secondo obblighi e divieti sanzionati disciplinarmente, stabiliti dal datore di lavoro e riferibili all ‘ interesse RAGIONE_SOCIALEle, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti (in motivazione, ex plurimis , Cass., Sez. L, n. 7397 del 13 aprile 2015; Cass., Sez. L, n. 7396 del 13 aprile 2015).
In particolare, si è evidenziato che il lavoratore avrebbe diritto alla retribuzione per il cambio d ‘ abito soltanto qualora dimostri che la vestizione e la svestizione avvenivano  prima  e  dopo  l ‘ orario  di  lavoro  ordinario,  di  tal  che  al  tempo necessario possa essere riconosciuta un ‘ autonoma retribuzione (Cass., Sez. L, n. 11049 del 10 giugno 2020).
Nella specie, la corte territoriale ha pure precisato che la P.A. controricorrente aveva espressamente disconosciuto che la ricorrente avesse svolto l’attività in questione al di fuori dell’orario lavorativo ordinario e che, comunque, la prova testimoniale richiesta non aveva ad oggetto la dimostrazione ‘che la ricorrente sia stata costretta a indossare la divisa prima di timbrare in entrata e a svestirla solo dopo aver timbrato in uscita’, con la conseguenza che non era provato che ‘siffatte operazioni pro pedeutiche e strumentali alla prestazione lavorativa siano state eseguite fuori dall’orario di lavoro che è retribuito in quanto registrato dalle apposite timbrature’.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per  il  giudizio,  atteso  che  la  corte  territoriale  non  avrebbe  considerato l’inesistenza di un obbligo di timbratura ai fini retributivi del tempo aggiuntivo
rispetto al turno di servizio per il cambio divisa e l’inconfigurabilità del tempo divisa aggiuntivo rispetto al turno di servizio come lavoro di tipo straordinario.
La doglianza è inammissibile, atteso che non coglie la ratio  decidendi della sentenza impugnata, come individuata esaminando il primo motivo.
Peraltro, le circostanze indicate dalla ricorrente non rappresentano dei fatti, ma questioni di diritto, non prospettabili in cassazione ex art. 360, n. 5, c.p.c.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. perché la corte territoriale avrebbe errato nel non ammettere le prove articolate e la sentenza sarebbe nulla per motivazione assente e palesemente contraddittoria.
La censura è inammissibile.
Infatti, il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussi stenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione (Cass., Sez. 3, n. 30810 del 6 novembre 2023).
In particolare, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass., Sez. L, n. 18072 del 1° luglio 2024).
Nella specie, la prova per testi indicata dalla ricorrente è priva di decisività atteso che non concerne il momento della timbratura in entrata e in uscita che, invece, è posto a fondamento della decisione impugnata.
4) Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’infermiere , che deduca di avere reso una prestazione lavorativa eccedente l’orario ordinario di lavoro , come risultante dalle apposite timbrature in entrata e in uscita, sostenendo che, in assenza di istruzioni sul punto del datore, avrebbe indossato e dismesso la divisa rispettivamente prima e dopo dette timbrature, e che chieda, per questa ragione, il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto alla retribuzione altrimenti spettante, è tenuto ad allegare e a dimostrare di avere effettuato le operazioni di vestizione e svestizione in questione anteriormente e successivamente a tali timbrature’.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
 rigetta il  ricorso  e  condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 1.500,00 per compenso professionale ed € 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile della