Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8984 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8984 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18355-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei Commissari Liquidatori e legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2729/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/06/2023 R.G.N. 1309/2021;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DIRIGENTE
R.G.N. 18355/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 25/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di Veneto Banca s.p.a. per la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato in data 23.5.2017.
La Corte territoriale -respinta l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare in considerazione dell’accertata carenza dei sistemi di controllo del rischio del credito posti in essere dalla Banca, la quale ha avuto piena cognizione dei fatti addebitati al dirigente solamente a seguito dell’investigazione interna iniziata all’esito delle procedure di verifica ispettiva condotte da vari soggetti (Banca centrale europea, Banca d’Italia, Consob, Autorità giudiziaria) ha escluso la violazione del principio di consunzione del procedimento disciplinare, sottolineando che la Banca aveva appreso solamente attraverso accertamenti esterni straordinari (incarico conferito ad una società di revisione esterna) le gravi irregolarità poste in essere dal di rigente, in considerazione dell’accertato malfunzionamento dei sistemi di controllo e di gestione della Banca stessa (rapporto n. 138/2016 sui rimborsi spese, in cui è accertato che non erano previsti processi di verifica presso gli Uffici Centrali di Dire zione e che all’appellante erano addebitabili delle somme rimborsate per le quali non era stata presentata la documentazione obbligatoria; rapporto n. 394/2016 in merito all’erogazione del credito da cui emergeva il deterioramento delle posizioni di alcuni clienti e la violazione della regola prevista dalla legge di non accettare proprie azioni in garanzia; rapporto n. 780/2016 sulla vicenda della
dichiarazione non autorizzata a un cliente, da cui era risultato l’invio della comunicazione nonostante il ricevimento di una mail da parte dell’Amministratore delegato che espressamente negava l’autorizzazione, che l’appellante dichiara di non avere letto se non successivamente all’invio della co municazione medesima; rapporto n. 1173/2016 sulle operazioni relative ai clienti RAGIONE_SOCIALE); in ordine alla giustificatezza del licenziamento, i giudici di merito hanno ritenuto che non poteva ritenersi mar ginale (ma anzi, determinante) l’attività posta in essere dal dirigente con riguardo alle operazioni compiute in violazione dell’art. 2358 c.c., anche considerata la posizione apicale rivestita, che imponeva allo stesso di controllare la legittimità degli atti valutati dal proprio ufficio e trasmessi, poi, ai superiori, e che era, inoltre, stata provata l’attività irregolare sulla concessione di crediti e di fidi come anche il pagamento, a suo favore, di rimborsi non dovuti (rimborsi indebitamente richiesti ed ottenuti durante giornate di riposo, festivi e ferie; mancato rispetto delle modalità previste dalla circolare 42/2010 per i rimborsi spese, nonché della deontologia professionale; mancata presentazione alla contabilità generale dei rimborsi spese ottenuti per ‘omaggistica’, rendendo tali spese prive di tracciabilità, anche perché spesso non erano inseriti i dati o i nominativi dei destinatari), e la comunicazione -non autorizzata dall’Amministratore delegato – al cliente, tutte le condotte, complessivamente valutate, erano di tale gravità da configurare una giusta causa di licenziamento.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7, l. n. 300/1970, avendo, la Corte territoriale, errato in ordine al principio di tempestività della contestazione disciplinare a fronte della consolidata giurisprudenza di legittimità che commisura la tempestività della contestazione disciplinare alla concreta conoscenza o conoscibilità dei fatti contestati, tenuto presente che la natura relativa della tempestività non deve essere interpretata come illimitata possibilità, per il datore di lavoro, di procrastinare nel tempo la valutazione delle attività dei propri dipendenti.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7, l. n. 300/1970, avendo, la Corte territoriale, erroneamente applicato il principio di consunzione del procedimento disciplinare, dovendosi ritenere che la Banca era già venuta a conoscenza delle attività del dirigente ed aveva già implicitamente espresso una valutazione di irrilevanza delle condotte, con conseguente illegittimità del provvedimento espulsivo adottato in violazione del principio del ne bis in idem . Invero, la Banca grazie all’operare dei diversi organi e del sistema interno di organizzazione e controllo, avendo tempo per tempo conoscenza delle attività poste in essere dal Dott. COGNOME (peraltro, almeno in parte, già oggetti di Audit ), aveva ritenuto legittimo l’agire del dirigente, senza irrogare alcuna sanzione disciplinare, ma al contrario encomiandone l’operato: ciò impediva una seconda valutazione di tali stessi fatti, nel senso del loro rilievo
disciplinare (peraltro, con riferimento alla massima delle sanzioni).
Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riguardo alla conoscenza e conoscibilità delle singole condotte contestate, anche in relazione al sistema di controlli tempo per tempo vigente; in particolare, ha omesso di esaminare il momento in cui le singole condotte contestate al ricorrente sono risultate conosciute o concretamente conoscibili da parte della Banca, sulla base del sistema di controlli e gestione tempo per tempo vigente, in coerenza con le risultanze (documentali e testimoniali) dell’istruzione probatoria.
I primi due motivi di ricorso non sono fondati.
4.1. La Corte di appello, con accertamento di merito (approfondito e conforme al giudice di primo grado e) insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 14115 del 2006, Cass. n. 20719 del 2013, Cass. n. 14324 del 2015, Cass. n. 16841 del 2018), ha rilevato che la Banca era dotata di un sistema ‘fallimentare’ di controllo e di gestione e che solamente l’intimazione della Banca centrale europea del 2016 e gli accertamenti di una società di revisione esterna (conclusi tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017) hanno consentito di apprendere e di avere contezza di tutte le irregolarità commesse dal dirigente, sulla cui legittimità d’azione la Banca stessa confidava in considerazione della posizione apicale rivestita; i giudici di merito hanno, inoltre, accertato che nessuna sanzione disciplinare era stata mai adottata dal datore di lavoro con riguardo a dette condotte.
4.2. L’indagine di fatto espletata dalla Corte territoriale consente, pertanto, di ritenere corretta e conforme ai principi affermati da questa Corte la sentenza impugnata (cfr. in Cass. n. 13167 del 2009, Cass. nn. 281 e 1248 del 2016, Cass. n. 16841 del 2018 secondo cui l’immediatezza della contestazione deve essere declinata in modo da adattarsi alle circostanze specifiche del caso concreto), non essendo stati accertati i presupposti per configurare una inerzia del datore di lavoro e per ritenere che il ritardo nella contestazione disciplinare integrasse una rinuncia del datore di lavoro all’esercizio del potere o un atteggiamento di tolleranza delle plurime condotte contrarie agli obblighi scaturenti dalla legge e dal contratto di lavoro.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. Il motivo è inammissibile in quanto trascura di considerare che il n. 5 dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., che viene invocato a sostegno della doglianza, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134 (di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83), non può essere invocato, rispetto ad un appello promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83 del 2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014; la medesima previsione è inserita, dall’art. 3,
comma 27, lett. a), n. 2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nell’art. 360, quarto comma, cod.proc.civ.).
5.2. In questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod.proc.civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nella censura. 6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio