Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7630 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7630 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23990/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore, COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della Corte d’Appello di MILANO n. 2676/2023, depositata il 18/09/2023 e notificata il 19/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, prima, con la sentenza n. 1833/2022, e, successivamente, la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 2676/2023, depositata il 18/09/2023 e notificata il 19/09/2023, hanno rigettato le domande di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE: domande volte a ottenere la condanna della convenuta (con cui aveva stipulato, rispettivamente, il 25/09/2012 e il 6/11/2012, due contratti di leasing aventi ad oggetto impianti fotovoltaici) alla restituzione di quanto pagato in eccesso in ragione: a) dell’errata inclusione nei piani di ammortamento del prezzo di riscatto; b) della previsione di interessi sul corrispettivo per il riscatto, in violazione dell’art. 1282 cod.civ.; c) dell’applicazione di tassi più alti di quelli contrattualmente dichiarati; d) della nullità delle scritture private con cui erano stati rimodulate le clausole di indicizzazione, rispettivamente, del 5/03/2013 e del 23/04/2013, per difetto di causa concreta.
Segnatamente, la corte d’appello ha rigettato:
il motivo con cui veniva denunciata la errata inclusione del prezzo di riscatto nel piano di ammortamento, per violazione dell’art. 1282 cod.civ., ritenendo che il quantum delle singole rate dei canoni di leasing <> (p. 21), all’esito di un articolato percorso logico-giuridico che ha tenuto conto della natura della causa del contratto di leasing , della diversità tra il tasso di leasing e il comune tasso di interesse, dei provvedimenti che regolano la materia succedutisi nel tempo (Istruzioni di vigilanza della Banca
d’Italia circ. 229/1999 -; Delibera C.I.C.R. del 4/03/2003; provvedimento della Banca d’Italia del 29/07/2009);
b) il motivo di appello con cui era stata denunciata la violazione dell’art. 117, comma 6, TUB, per essere il tasso d’interesse utilizzato nei piani di ammortamento (tasso interno di attualizzazione) diverso da quello esposto e pubblicizzato (tasso annuo nominale), perché: b1) dalla C.T.U. era emerso inequivocabilmente che la differenza denunciata era dovuta al fatto che il tasso nominale era stato espresso su base annua indipendentemente dalla periodicità dei pagamenti contrattualmente prevista; b2) stando alle Istruzioni della Banca d’Italia dell’agosto 2003, era sufficiente che il contratto di leasing indicasse il tasso interno di attualizzazione, il quale risponde ad una funzione di trasparenza e di pubblicità, la cui eventuale erronea indicazione non comporta alcuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto e non può essere sanzionata ai sensi dell’art. 117, commi 6 e 7 TUB; b3) facendo applicazione di Cass. n. 12889/2021, l’eventuale indicazione in luogo del tasso di leasing del tasso nominale annuo non può giustificare il ricalcolo del piano di finanziamento secondo il tasso sostitutivo di cui all’art. 117, 7 comma, TUB, a meno che il tasso di leasing , non solo non sia indicato, ma risulti indeterminabile;
c) il motivo di appello con cui era stato lamentato che le scritture modificative del 2003 avevano previsto un’indicizzazione del corrispettivo al parametro Euribor tre mesi al solo scopo di consentire alla società utilizzatrice di beneficare del calo dell’Euribor, ma detta finalità sarebbe stata preclusa dalla previsione di un limite minimo di oscillazione in discesa del tasso d’interesse in favore della società di leasing , con possibilità solo per quest’ultima di beneficiare delle fluttuazioni verso l’alto dell’Euribor, e, di riflesso, con difetto della causa concreta, non potendo l’indicizzazione prevista generare alcun flusso di cassa per
l’utilizzatrice, perché la clausola floor garantiva alla società di leasing un corrispettivo minimo della prestazione erogata; detta clausola, però, secondo il giudice a quo era stata espressamente approvata per iscritto, era stata redatta in modo chiaro, e l’appellante non aveva censurato la sentenza del tribunale nella parte in cui aveva rilevato la mancata indicazione e il difetto di prova degli importi pagati per effetto della clausola di indicizzazione, limitandosi a sostenere che, data la presenza della clausola floor , non avrebbe mai potuto beneficiare del calo dell’Euribor;
d) i motivi di appello con cui era stato sostenuto che le scritture private del 2003 documentassero la stipulazione di contratti derivati over the counter , con conseguente nullità, per violazione dell’art. 23 TUF e, quindi, per indeterminatezza e per indeterminabilità dell’oggetto, e per violazione dell’art. 21 TUF, in quanto immeritevoli di tutela e prive di causa tipica, perché: i) secondo Cass. n. 4659/2021, la clausola di indicizzazione di ciascuna rata del contratto di leasing è legata alle variazioni di un parametro finanziario di riferimento scelto dalle parti e inserito in una specifica clausola contrattuale, sicché essa non ha effetto né sulla natura né sulla causa del leasing , posto che con essa le parti hanno previsto un meccanismo per ancorare ad un parametro oggettivamente certo il corrispettivo dovuto; ii) Cass., Sez. un., n. 5657/2023 ha escluso che la clausola inserita in un contratto di leasing che preveda che la misura del canone vari in funzione sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera e che l’importo mensile resti nominalmente invariato e i rapporti dare avere tra le parti derivanti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte non è immeritevole di tutela, ex art. 1322 cod.civ., né costituisce un derivato implicito, con conseguente non assoggettabilità al TUF;
il motivo di appello con cui si deduceva che, non essendosi la società utilizzatrice mai avvalsa della facoltà di modifica dell’indicizzazione Euribor 3 mesi con l’Euroswap, la società di leasing, applicandole l’opzione Euroswap l’avrebbe costretta a pagare un tasso di interesse maggiore, pari all’1,95%, in luogo del tasso floor che era pari allo 0,3%, perché l’appellante in nessuna fattura aveva indicato quali canoni sarebbero stati calcolati con l’opzione Euroswap, sicché il C.T.U. aveva proceduto ad una verifica a campione, accertando che il tasso di indicizzazione applicato era proprio quello contrattualmente previsto, cioè il tasso Euribor tre mesi.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione della suindicata sentenza della corte di merito, formulando nove motivi di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia <>.
Viene riproposta la tesi secondo cui il costo dell’opzione non avrebbe dovuto essere ricompreso nel piano di ammortamento né su di esso avrebbero dovuto essere calcolati gli interessi, pena la violazione dell’art. 1, comma 136, della l. n. 124/2017, secondo cui la determinazione dei canoni deve tenere conto: del costo di acquisto, del prezzo predeterminato di acquisto e della durata del contratto, e del comma 138 che dispone che, in caso di vendita conseguente a risoluzione, il concedente ha diritto a trattenere i canoni scaduti, quelli a scadere solo in linea capitale e il prezzo di riscatto. Il fatto che il legislatore abbia espressamente previsto che i canoni a scadere devono essere depurati della quota di interessi,
ma nulla abbia stabilito con riferimento al prezzo di riscatto, confermerebbe proprio che il prezzo di acquisto non è un debito, che su di esso non possono decorrere interessi e che non può essere incluso nel nozionale di calcolo del piano di ammortamento, al fine di produrre interessi per l’intera durata del contratto.
La censura della ricorrente pone la seguente questione: se il tasso di leasing debba essere determinato anche tenendo conto del prezzo di opzione sebbene esso non sia un debito.
La corte d’appello ha ricordato che il canone di leasing ha <> (p. 19) e che esso non è finalizzato a quantificare la remunerazione del finanziamento di un capitale, tant’è vero che il tasso applicabile è un tasso specifico, variamente definito, ma comunque finalizzato a garantire <> (p. 20), concludendo che <> (p. 20) e che il tasso di leasing non essendo un tasso di interesse non può non essere calcolato tenendo conto anche del prezzo di riscatto.
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta <>.
Attinta da censura è la seguente statuizione: <>.
Alla corte territoriale si imputa di avere reso una <>, essendosi limitata a ritenere ‘giusto’ che sul riscatto siano applicati gli interessi corrispettivi, peraltro, dopo avere accertato la natura non debitoria del riscatto, là dove ha riconosciuto che avvalersene oppure no sarebbe dipeso dall’esercizio del diritto potestativo spettante all’utilizzatore.
2) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della <>.
Ribadito e dimostrato, attraverso il richiamo delle clausole contrattuali, che il riscatto non era obbligatorio, ma facoltativo, la ricorrente ribadisce la sua tesi circa la natura non debitoria del prezzo del riscatto, adducendo che in caso di mancato esercizio del diritto di opzione la società di leasing è compensata dalla restituzione del bene che può rivendere <>.
Insiste sul fatto che l’art. 1, comma 138, della l. n. 124/2017 esclude la presenza di interessi sul prezzo di opzione in quanto ultimo rata del piano per tutta la durata del contratto, che, non essendo un debito, manca l’esigibilità, con conseguente violazione dell’art. 1282 cod.civ., che affermare la debenza di interessi in ragione della definizione di tasso leasing costituisce una violazione e/o una falsa applicazione e/o un’errata interpretazione delle
Istruzioni della Banca d’Italia, giacché dire che il riscatto entra nel computo del TiR non è lo stesso che sostenere che l’importo pattuito a tale titolo debba formare <>.
4) I motivi, che attengono alla stessa questione e, quindi, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Alla base delle censure di parte ricorrente vi è la riproposizione di una tesi, già disattesa in entrambi i giudizi di merito, senza un vero confronto con la ratio decidendi posta a fondamento delle decisioni reiettive.
Nessun argomento nuovo, infatti, è addotto a giustificazione delle censure mosse alla sentenza impugnata: parte ricorrente insiste circa la natura eventuale dell’esercizio del diritto di riscatto e sul fatto che il prezzo di riscatto, almeno finché non è esercitato il riscatto, non è un debito assunto dall’utilizzatore.
La questione tuttavia non è questa e la corte d’appello l’ha bene evidenziata: del prezzo di riscatto non si è tenuto conto al fine di determinare il canone di leasing , ma al fine di determinare il tasso di leasing che come ampiamente chiarito dal giudice a quo è volto a realizzare l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene e valore dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto, in quanto capace di esprimere il corretto rapporto proporzionale del monte interessi convenuto sul capitale finanziario rispetto al capitale finanziario.
L’errore di parte ricorrente consiste nel non avere colto che il tasso di leasing esprime il concetto economico di prezzo, costituisce cioè una tecnica di quantificazione della prestazione, e non già la redditività del capitale (frutto civile).
Detto errato assunto da cui muove parte ricorrente induce a escludere che la corte d’appello sia incorsa in alcun vizio motivazionale per avere ritenuto corretta la determinazione del tasso di leasing contenuta nei due contratti per cui è causa, pur avendo riconosciuto che il prezzo di riscatto non era dovuto, non
era, dunque, un debito, se non nell’eventualità in cui l’utilizzatore avesse esercitato il diritto di opzione.
5) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo <>.
La corte d’appello, sulla scorta di Cass. 14760/2008, ha sostenuto l’impossibilità, nell’ipotesi di indicazione in contratto del Tan in luogo del tasso leasing , di applicare la sanzione di cui all’art. 117, comma 7, TUB, perché la determinazione dei canoni è ragguagliata al valore di utilizzazione del bene per la durata della vita economica dello stesso, dipendendo da dette variabili gli interessi finanziari pattuiti per assolvere alla funzione remuneratoria. In ragione di ciò gli interessi previsti nei canoni non sono passibili di configurazione autonoma, essendo inapplicabile il disposto dell’art. 1284 cod.civ.
Detta conclusione, secondo quanto prospetta la società ricorrente, si risolve nella violazione e/o falsa applicazione della normativa dettata: a) dall’art. 102, comma 7, del dpr. n. 917/1986, in tema di deducibilità dei costi relativi ai contratti di leasing, in base al quale l’impresa conduttrice deve: i) inserire il bene tra le immobilizzazioni, rilevando un debito per la quota capitale dei canoni; ii) appostare, nel conto economico e tra i componenti negativi di reddito, la quota interessi dei canoni ai fini della deducibilità Irap; b) dall’art. 1, comma 138, della l. n. 124/2017 che prevede, in caso di risoluzione, la restituzione della sola quota capitale dei canoni. Dunque, la quota interessi rappresenta un elemento dotato di propria autonomia economica e giuridica, potendo (e dovendo), a mente della normativa citata, essere tenuta distinta dalla quota capitale dei canoni. Inoltre, essendo il leasing uno dei contratti previsti dai decreti Mef indicanti la soglia usura, tale contratto è sottoposto alla disciplina antiusura.
L’asserita impossibilità di configurazione autonoma degli interessi, e la conseguente impossibilità di applicazione dell’art. 1284 cod.civ., avrebbero quale corollario la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 644 cod.pen. Infatti, la norma è applicabile previa determinazione del tasso leasing che presuppone l’autonomia giuridica (ed economica) degli interessi, poiché il calcolo del tasso, effettuato in base alla definizione di Tia, consiste nella ricerca del rapporto percentuale fra interessi e capitale.
Con il quinto motivo la ricorrente si duole della <>.
Attinta da censura è la statuizione che ha escluso che l’eventuale erronea indicazione del tasso di leasing , integrando la violazione di obblighi informativi, di pubblicità e di trasparenza, comporti l’applicazione della sanzione sostitutiva, essendo configurabile la sola tutela risarcitoria e che ha ravvisato la mancata prova dell’applicazione di tassi superiori rispetto a quelli pubblicizzati. Per la ricorrente, l’applicazione della sanzione sostitutiva consegue all’accertamento della violazione dell’art. 117, comma 6, TUB che prevede la nullità delle clausole che riportano tassi più sfavorevoli rispetto a quelli pubblicizzati, ma se è vero che la ratio dell’art. 117 TUB è quella di rendere trasparenti i contratti, lo scopo potrà dirsi raggiunto solamente nel caso in cui le ‘informazioni’ contrattuali aventi ad oggetto i tassi, i prezzi e le condizioni applicate siano confermate e rispecchiate in concreto, altrimenti <>, legittimando gli intermediari finanziari a redigere piani di ammortamento ad un tasso più alto di quello contrattuale, essendo gli stessi chiamati a restituire -nell’ipotesi in cui l’utente di ciò avveda -esclusivamente quanto in eccesso lucrato.
7) Con il sesto motivo la ricorrente denunzia <>
La corte d’appello, al pari del tribunale, ha rilevato la divergenza fra i tassi dichiarati e quelli applicati, ma ha rigettato la domanda, stante la determinabilità del tasso. La motivazione è censurata per essere perplessa ed obiettivamente incomprensibile e per il fatto di contenere un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, giustificata sulla scorta di una lettura parziale di Cass. 12889/2021 che, a differenza di quanto in sentenza sostenuto, non ha escluso, in siffatta ipotesi, l’applicazione dell’art. 117 , comma 6, TUB, avendo affermato nei passaggi omessi che <>.
8) Con il settimo motivo la ricorrente prospetta <> per non essersi il giudice a quo espresso sulla denunziata violazione dell’art. 117 TUB quanto alle conseguenze dell’indicazione di un tasso (diverso e) più basso rispetto a quello effettivamente applicato, nonostante la C.T.U. avesse accertato la difformità fra i tassi leasing indicati nei contratti originari e nelle successive scritture private modificative e i tassi effettivamente applicati, con conseguente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
9) Il quinto, il sesto e il settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, perché sottopongono all’attenzione di questa Corte la medesima questione, benché da prospettive diverse.
La pretesa di applicare la sanzione sostitutiva di cui all’art. 117 TUB è infondata.
I presupposti circostanziali che giustificano l’integrazione cogente del contenuto del contatto, cioè l’inserzione delle misure direttamente conformative del contratto, di cui all’art. 117 TUB, comma 7, sono alternativamente due: l’inosservanza del comma 4, a mente del quale <>; la ricorrenza di nullità indicate nel comma 6, ai sensi del quale <>.
Questa Corte ha affermato che <> (Cass. n. 12889/2021).
Ora, nel caso di specie, la corte territoriale ha negato che fosse stata provata la divergenza tra tassi applicati e tassi pubblicizzati (p. 29 della sentenza), ma non anche che la volontà contrattuale non si fosse formata su un tasso diverso da quello effettivamente applicato, come lamenta la società ricorrente, perché -e si tratta di elemento circostanziale dirimente -la misura del tasso non corrispondeva esattamente a quello applicato in ragione del fatto che il tasso periodale era stato indicato su base annua e non in
relazione all’effettiva periodicità dei pagamenti siccome contrattualmente previsto.
In altri termini, nella specie, non mancava l’indicazione del tasso, né quello applicato era diverso da quello pubblicizzato: quindi a stretto rigore di termini non ricorrevano le circostanze giustificative della conformazione dei contratti.
E’ vero, nondimeno, che il contenuto del contratti era affetto da una opacità suscettibile di risultare fuorviante e che in astratto avrebbe potuto essere sanzionata ex art. 117, comma 7, TUB, perché <> (Cass. n. 12889/2021).
Nondimeno, è stato accertato dalla corte appello che l’opacità riscontrata era superabile, in quanto nel contratto erano esplicitati il costo di acquisto del bene nonché ammontare, numero e frequenza dei singoli canoni oltre al quantum del prezzo di opzione (p. 29). Detta statuizione non è stata censurata dalla ricorrente se non erroneamente: sostenendo, cioè, che la corte d’appello avrebbe evocato correttamente, ma non avrebbe altrettanto esattamente applicato la pronuncia n. 12899/2021; detta pronuncia infatti aveva imputato alla corte d’appello che aveva emesso l’allora impugnata sentenza di avere applicato l’art. 177, comma 7, TUB senza accertare se il tasso di leasing fosse determinabile. E in aggiunta è in linea con la giurisprudenza di questa Corte che ammette la determinabilità del tasso di leasing (cfr., da ultimo, Cass. 13/06/2024, n. 16456).
10) La reiezione delle censure formulate con il quinto, il sesto ed il settimo motivo porta all’inammissibilità del quarto motivo, perché il giudice di merito aveva formulato, dopo una prima ratio decidendi , una seconda, al fine di supportare la decisione pure nel caso in cui la prima fosse risultare erronea; il che ha dato luogo ad una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, che, pertanto può essere utilmente impugnata solo mediante la censura di entrambe. La censura, infatti, è intesa all’annullamento della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il gravame risulti inidoneo al
raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata agli appunti mossigli, perché la decisione sarebbe tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato (Cass. 26/2/2024, n. 5102).
Il che rende superfluo, per difetto di interesse lo scrutinio della questione posta con il quarto motivo di ricorso, perché il suo eventuale accoglimento comunque non porterebbe alla cassazione della statuizione che ha negato la ricorrenza dei presupposti per applicare la sanzione sostitutiva di cui all’art. 117, comma 7, TUB.
11) Con l’ottavo motivo la ricorrente si lamenta della <>, per essere stato rigettato il motivo di appello con cui era stata dedotta la nullità delle scritture integrative per difetto di causa concreta, argomentando sulla validità giuridica del floor contrattuale che non era stata oggetto di contestazione.
Il motivo è infondato.
La corte d’appello, sia pure passando attraverso il vaglio della liceità della clausola floor , ha negato che la rimodulazione della clausola di indicizzazione fosse priva di causa concreta, come ipotizzato dalla ricorrente: con essa non era stato eliminato il vantaggio economico per l’utilizzatrice dipendente dalla fluttuazione della clausola di cambio, ma esso era stato pattiziamente contenuto, impedendo che il tasso scendesse al di sotto dello 0,3%, perché altrimenti l’operazione sarebbe risultata antieconomica per la concedente (p. 31 della sentenza).
Il che esclude che la corte d’appello sia incorsa nella violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., anche in considerazione: i) di quanto affermato a p. 32 della pronuncia e cioè che non aveva valore inficiante l’argomento dell’allora appellante secondo cui <> (segno che il giudice a quo
era ben consapevole del tenore e della sostanza della domanda volta a far rilevare la nullità delle rimodulazioni delle clausole di indicizzazione); ii) del fatto che le clausole di indicizzazione non hanno effetto né sulla natura né sulla causa del leasing , come confermato dalle Sezioni Unite, con la pronuncia n. 5657 del 23/2/2023.
12) Con il nono e ultimo motivo la ricorrente denunzia <>, per avere il giudice a quo ritenuto non soddisfatto l’onere probatorio di avere pagato, per effetto della clausola di indicizzazione e della clausola opzione Euroswap, una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe pagato se fosse stata utilizzata la clausola di indicizzazione Euribor a tre mesi, perché invece ero stato dato conto di quelli che erano gli interessi pagati alla data del 04.04.2019, quando era stata depositata la seconda memoria (euro 55.057,90, per il primo contratto, euro 86.957,75, per il secondo) e con le fatture successive al deposito della seconda memoria ex art. 183, 6 comma, cod.proc.civ. erano stati provati i successivi importi pagati a titolo di differenziali, quantificati in euro 20.809,19, per il primo contratto, ed euro 31.568,32, per il secondo.
Né la corte d’appello avrebbe tenuto conto del fatto che la mancata quantificazione degli importi era la conseguenza dell’impossibilità di definire compiutamente gli stessi, essendo i leasing ancora in essere e variando le somme relative all’indicizzazione in ragione delle fatture emesse tempo per tempo.
Il motivo è inammissibile.
Il giudice a quo , a p. 32 e poi a p. 37, ha ritenuto non censurata la statuizione del giudice di prime cure secondo cui la società RAGIONE_SOCIALE non aveva indicato né provato gli importi pagati per effetto della clausola di opzione Euroswap ed aveva prodotto fatture prive di individuazione e di indicazione degli importi riferiti
alle indicizzazioni, essendosi limitata a produrre una serie indistinta di fatture, senza indicazione e individuazione degli importi riferiti alle indicizzazioni, né alcun riferimento poteva trarsi dalla relazione di parte concentrata unicamente sulla questione del TIR.
La censura è dunque eccentrica rispetto alla ratio decidendi : la corte d’appello non ha ritenuto non soddisfatto l’onere probatorio di cui si discute, ma ha reputato non censurata e quindi passata in giudicato la riferita statuizione del tribunale. Il che condanna il motivo all’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., perché per criticare qualcosa occorre esattamente individuare l’oggetto della critica.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 24 gennaio 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME