Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9748 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9748 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20053/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME EMAIL;
-ricorrente-
contro
sul controricorso, contenente ricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente Ing. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME;
-controricorrente, ricorrente
incidentale- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di IVREA n. 101/2021 depositata il 25/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La questione trae origine dalla richiesta di NOME COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE di rimborso di Euro 1.673,60, oltre al risarcimento dei danni subiti, per il pagamento della tariffa di depurazione delle acque, tra il 2004 e il 2008, che il COGNOME deduceva di aver pagato ingiustamente, poiché non era allacciato alla rete fognaria pubblica, provvedendo, invece, in autonomia alla depurazione delle sue acque reflue, tramite impianto individuale autorizzato. Pertanto, sosteneva che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe addebitato un costo non dovuto.
A sostegno della sua richiesta, COGNOME richiamava il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 30 settembre 2009, emesso dopo la Sentenza n. 335/2008 della Corte costituzionale, che stabilisce che chi non è allacciato alla rete fognaria pubblica e provvede autonomamente alla depurazione dei propri scarichi non è tenuto a pagare la tariffa di depurazione. Tuttavia, la società RAGIONE_SOCIALE applicava comunque la detta tariffa, basandosi su un provvedimento dell’Autorità d’Ambito Territoriale ATO 3, che prevedeva per gli utenti non allacciati alla fognatura una soluzione, a detta del ricorrente, ambigua: lo smaltimento dei fanghi era gratuito, ma il pagamento della tariffa veniva comunque imposto
sull’intero consumo idrico dell’utente, come se l’acqua fosse trattata con il sistema pubblico di depurazione.
Il Giudice di Pace di Chivasso respingeva la domanda del COGNOME e il Tribunale di Ivrea confermava la sentenza di primo grado, ritenendo non esercitabile il potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo su cui si basava la tariffazione di SMAT.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 13580/2019, accoglieva il ricorso di COGNOME affermando che il Giudice d’appello aveva il potere e il dovere di valutare l’eventuale illegittimità del provvedimento e, in tal caso, disapplicarlo d’ufficio, come previsto dall’art. 5 della L. n. 2248/1865 (All. E).
Tale potere di disapplicazione non era soggetto a limiti temporali e poteva, quindi, essere esercitato anche nel giudizio d’appello. La Suprema Corte cassava, pertanto, la sentenza d’appello per non aver esercitato il Tribunale di Ivrea questo potere, stabilendo che il Giudice d’appello avrebbe dovuto valutare la legittimità della tariffazione imposta dalla SMAT e, se necessario, disapplicare il provvedimento su cui si basava.
Con la sentenza n. 101 del 25/01/2021, il Tribunale di Ivrea, quale Giudice del rinvio, ha respinto l’appello di COGNOME asserendo che costui non avesse contestato adeguatamente la tesi della RAGIONE_SOCIALE, secondo cui i fanghi prelevati dalle fosse biologiche, come quella di COGNOME, necessitano dello stesso trattamento di depurazione di un normale scarico fognario, dal momento che il depuratore lavora sugli inquinanti, indipendentemente dal fatto che essi arrivino già separati (come nei fanghi), o diluiti nell’acqua di scarico. Per questo motivo, la tariffa doveva essere calcolata sul volume totale dell’acqua fornita all’utente, come stabilito dall’art. 155, comma 4, D.lgs. n. 152/2006.
Pertanto, il Tribunale ha stabilito che il COGNOME non avendo dimostrato l’inesistenza dell’obbligo di pagamento della tariffa, non avrebbe contestato in modo specifico questa tesi.
Quindi, il Giudice di rinvio ha rigettato tutte le domande, sia di ripetizione dell’indebito, sia di risarcimento del danno, sia quella diretta a ottenere la condanna della RAGIONE_SOCIALE S.p.A. ad astenersi, per il futuro, dall’inserire in bolletta la stessa quota di corrispettivo, nonché le domande nuove introdotte ex art. 389 c.p.c., con le quali il sig. COGNOME da un lato, ha chiesto dichiararsi «non dovute le quote relative alla ‘tariffa di depurazione’ applicate nelle bollette emesse in pendenza di giudizio», e, dall’altro lato, ha chiesto condannarsi la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di quanto da lui versato «in pendenza della provvisoria esecutorietà delle sentenza di primo grado e di gravami, compresa la restituzione dei costi di registrazione delle sentenze oggetto dei relativi gradi di giudizio».
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di otto motivi, NOME COGNOME
3.1. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, articolando, a sua volta, nove motivi, illustrati da memoria.
3.2. La Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Il Tribunale, nel decidere la controversia, avrebbe disatteso l’Ordinanza n. 13580/2019 con cui la Suprema Corte, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, aveva statuito che il
giudice del rinvio avrebbe dovuto verificare la legittimità del provvedimento dell’ATO 3, costituendo il presupposto dell’accertamento della debenza o meno del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dello stesso sig. COGNOME; verifica che – secondo il ricorrente – sarebbe stata del tutto omessa, per non avere tale giudice accertato che l’ATO non aveva stabilito un’apposita tariffa per i casi come quello di specie.
4.2. Con il secondo motivo, il sig. COGNOME denuncia la nullità della decisione impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.).
Deduce di aver chiesto, sin dal primo grado di giudizio, di essere esentato dall’obbligo di pagamento della tariffa prevista per la depurazione delle acque reflue, ma di non aver mai dubitato dello svolgimento, da parte di SMAT, della prestazione di trattamento/smaltimento dei fanghi. In tale contesto, sostiene che, se il giudice avesse preso atto che non vi era corrispondenza tra il servizio reso dalla SMAT e quello di depurazione, del quale era stata però a lui applicata la tariffa, avrebbe accolto la sua domanda.
4.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 4 e 5, All. E, L. n. 2248/1865, nonché violazione e/o falsa applicazione artt. 27, comma 4, e 36, D.Lgs. n. 152/99, artt. 100, commi 1 e 3, lett. c), 110, comma 3, lett. b), e comma 6, artt. 154, comma 1, 155, commi 1 e 4 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta, in proposito, un travisamento totale delle suddette norme di diritto da parte del Giudice del rinvio, avendo costui ritenuto di dover verificare se il servizio di depurazione fosse totalmente mancato, ma, solo in caso di raggiungimento della prova del completo processo di depurazione da parte delle ‘fosse Imhoff’ del sig. COGNOME sarebbe stato possibile affermare se la prestazione di
depurazione della SMAT era o meno mancata. Nel caso di specie, invece, il ricorrente sarebbe «dotato di un ‘sistema individuale’ regolarmente autorizzato e conforme alla legge (art. 124 D.Lgs. n. 152/2006), destinato al trattamento delle proprie ‘acque reflue domestiche, così come previsto dal comma 3 dell’art. 100 D.Lgs. 152/2006» (cfr. pp. 67, ricorso). Ribadisce che l’ATO 3 non ha determinato un’apposita tariffa, stabilendo «lo stesso ed identico trattamento economico previsto per la ‘depurazione delle acque reflue’, sulla base dell’intero consumo idrico» (cfr. p. 7, ricorso).
4.4. Con il quarto motivo, il sig. COGNOME prospetta la falsa applicazione degli artt. 100, comma 3, 110, commi 3 e 6, D.Lgs. n. 152/2006, nonché del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 01/08/1996 e del Decreto Ministero dell’Ambiente del 30/09/2009 (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.).
Ritiene che la motivazione del Giudice del rinvio sarebbe, invero, erronea per aver statuito che dalla disposizione del citato art. 110, comma 6, D.Lgs. n. 152/2006 non discenderebbe un obbligo per l’ente di governo d’ambito di stabilire tariffe differenziate a seconda della diversa misura di fruizione del servizio di depurazione. In tal modo, il Tribunale avrebbe fatto confusione tra detto servizio e quello di smaltimento dei rifiuti.
4.5. Con il quinto motivo, il sig. COGNOME denuncia la falsa applicazione degli artt. 100, comma 3, 110, commi 3 e 6, 124 D.Lgs. n. 152/2006, nonché del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 01/08/2006.
In particolare, con riferimento al Regolamento dell’ATO 3, la statuizione secondo cui la digestione anaerobica deve rappresentare la parte principale del processo di depurazione sarebbe erronea, perché non troverebbe riscontro nelle norme che regolano l’autorizzazione allo scarico.
Al riguardo, ribadisce che «coloro che, come il ricorrente, non sono allacciati ad una pubblica fognatura, per poter essere autorizzati
allo scarico ai sensi dell’art. 124 D.Lgs. 152/2006, hanno l’obbligo di munirsi di un sistema di depurazione in grado di realizzare tutte le operazioni in almeno uno dei procedimenti previsti per la ‘linea acque’, e ad uno o più dei procedimenti previsti per la ‘linea fanghi’, come, ad esempio, la ‘digestione anaerobica’, tipica, per definizione, delle vasche Imhoff, in modo che le acque scaricate, non solo separate dalla ‘solida’, ma anche depurate, rispondano ai limiti di legge» (cfr. p. 10, ricorso).
4.6. Con il sesto motivo, parte ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché la contraddittorietà intrinseca della motivazione, che sarebbe meramente apparente, in punto di mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante su colui che agisce per la ripetizione di un indebito (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Questo perché il sig. COGNOME non avrebbe avuto alcun onere di provare che «le fosse Imhoff, le quali, incontestatamente (per stessa ammissione del giudice e della controparte), fanno parte del sistema di trattamento delle acque reflue domestiche di cui è titolare, realizzano un procedimento di digestione anaerobica, dal momento che tale procedimento è intrinseco nella definizione stessa di fossa Imhoff» (cfr. p.11, ricorso).
Pertanto, la decisione gravata sarebbe irrimediabilmente viziata, atteso che, in base a quanto affermato al punto 3.3, sarebbe «pacifico che, nel sistema di depurazione delle acque reflue domestiche di cui il sig. COGNOME è titolare, si realizza un procedimento di digestione anaerobica dei fanghi, allora, per coerenza, il giudice avrebbe dovuto pervenire alla logica conclusione che ‘la scelta amministrativa di non differenziare la posizione dei titolari di fosse RAGIONE_SOCIALE sarebbe palesemente irragionevole e quindi illegittima (proprio perché viziata da eccesso di potere (cit.)’» (cfr. p. 11, ricorso).
4.7. Con il settimo motivo, il sig. COGNOME denuncia, ancora, la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione (art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.).
Segnatamente, rileva che la statuizione secondo cui non sussistono i profili di illegittimità del Regolamento ATO 3, perché la prestazione di SMAT «non è totalmente mancata» (cfr. p. 23, punto 3.5., sentenza n. 101/2021), sarebbe «intrinsecamente contraddittoria e non consente di seguirne il percorso logico adottato per disattendere la domanda dell’appellante, rappresentata dal non essere assoggettato alla tariffa prevista per il servizio di depurazione, oltretutto prestato nella sua interezza» (cfr. p. 11, ricorso).
4.8 . Con l’ottavo motivo, parte ricorrente prospetta, in relazione al n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonché, con riferimento al n. 4, l’omessa valutazione delle prove e del comportamento delle stesse parti in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Il giudice del rinvio non avrebbe preso in considerazione il fatto che altri ATO d’ambito hanno stabilito un’apposita tariffa per lo smaltimento dei fanghi. Circostanza rispetto alla quale la SMAT S.p.A. non avrebbe preso posizione nel corso del giudizio, per cui, in base all’art. 115 c.p.c., avrebbe dovuto considerarsi provata. Aggiunge che sarebbe stato onere del giudice del rinvio valutare la legittimità di un provvedimento, come quello dell’ATO 3, che non prevede invece una siffatta tariffa.
5.1. Il primo motivo del ricorso principale non può essere accolto.
Innanzitutto, va detto che, secondo il costante orientamento di questa Corte, una sentenza è nulla quando è affetta da error in procedendo, il che accade quando la motivazione, sebbene graficamente esistente, «non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a
far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (v. principio affermato da Cass. civ., SS.UU., 3 novembre 2016, n. 22232; nelle successive pronunce, di recente, Cass. civ., Sez. V, 14 febbraio 2025, n. 3771; Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 dicembre 2024, n. 32637; Cass. civ., Sez. V, 4 novembre 2024, n. 28321; Cass. civ., Sez. I, Ord., 23 ottobre 2024, n. 27458).
Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico ovvero si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, attenendo all’esistenza della motivazione in sé, «purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (v. principio affermato da Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. civ., Sez. V, Ord., 13 febbraio 2025, n. 3738; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 febbraio 2025, n. 3588; Cass. civ., Sez. II, Ord., 11 febbraio 2025, n. 3532; Cass. civ., Sez. I, Ord., 10 febbraio 2025, n. 3348; Cass. civ., Sez. III, Ord., 5 febbraio 2025, n. 2856).
Nel caso in esame, l’impianto motivazionale non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel ricordato consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, in quanto fornisce una chiara, logica, esaustiva e non contraddittoria analisi della vicenda sub iudice e del quadro probatorio acquisito, dovendosi così ritenere che il Giudice del rinvio abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del c.d. minimo costituzionale (cfr. Cass., SS.UU., n. 8053/2014 cit.).
Non può dirsi, infatti, che il Tribunale eporediese non si sia attenuto alle indicazioni date dall’Ordinanza n. 13580/2019 della Cassazione di verificare l’effettiva conformità a legge del provvedimento. Al contrario, lo ha fatto, anche evidenziando che – sebbene, in linea
astratta, avrebbe potuto sostenersi che il sig. COGNOME aveva conferito nell’impianto di depurazione fanghi ‘trattati’ e che, quindi, avrebbe potuto essere applicata una diversa e ridotta tariffa – le domande del COGNOME non potevano essere accolte, poiché non avrebbe mai allegato e provato di aver utilizzato sistemi di collettamento e depurazione autorizzati da ATO 3, né che i suoi sistemi svolgessero il corretto processo di trattamento previsto dal Regolamento.
Su tali basi, le doglianze articolate nel primo motivo sono infondate, non sussistendo, in questo caso, alcuna violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c.
5.2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, non essendo ravvisabile, nella decisione impugnata, il vizio di cui all’art. 112 c.p.c.
Invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato da detta norma – che, come noto, sancisce un divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda – risulta violato «ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum , rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo ( causa petendi ) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una
ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante» (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 28 gennaio 2025, n. 2007; Cass. civ., Sez. III, Ord., 19 dicembre 2024, n. 33327; Cass. civ., Sez. II, 17 ottobre 2024, n. 26951; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 30 luglio 2024, n. 21258; Cass. civ., Sez. III, Ord., 10 maggio 2024, n. 12912; Cass. civ., Sez. III, Ord., 5 aprile 2024, n. 9175).
Dunque, il suddetto vizio attiene all’ambito oggettivo della pronunzia e non anche alle ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., 25 settembre 2024, n. 25626; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 30 luglio 2024, n. 21258; Cass. civ. Sez. V, Ord., 17 giugno 2024, n. 16741; Cass. civ., Sez. III, Ord., 18 aprile 2024, n. 10588; v. il principio in Cass. civ. Sez. II, Ord., 26 gennaio 2021, n. 1616).
Ebbene, nella specie, non ricorre alcuna violazione di tale disposizione, non potendosi considerare tale l’assunto del ricorrente secondo cui il Giudice del rinvio, chiamato a decidere, sulla base dell’Ordinanza della Cassazione n. 13580/2019, se, in linea di fatto, «il servizio di depurazione sia totalmente mancato», avrebbe mal interpretato il concetto di ‘depurazione’.
Trattasi, ancora una volta, di un’argomentazione del tutto ‘sganciata’ dalla ratio decidendi , essendosi il Tribunale di Ivrea pronunciato sul thema decidendum senza travalicare i limiti della domanda.
D’altra parte, una tale censura ha chiara consistenza fattuale e mira a contestare la valutazione, operata dal Giudice del rinvio, del materiale istruttorio che, oltre ad essere inammissibile in questa sede, comunque sarebbe infondata, non avendo il sig. COGNOME dimostrato di utilizzare sistemi di collettamento e depurazione autorizzati da ATO 3, ovvero sistemi che svolgevano il corretto processo di trattamento previsto dal detto Regolamento.
5.3. Con riferimento al terzo, al quarto e al quinto motivo di ricorso, ossia violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per falsa applicazione di diverse norme di legge, parte ricorrente ripropone le medesime contestazioni già rigettate dal Tribunale.
Rispetto a tali motivi, infatti, il ricorrente – oltre a limitarsi a elencare una serie di norme asseritamente falsamente applicate dal giudice di merito, senza però premurarsi, nel rispetto del principio di specificità ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata (cfr. ex permultis , da ultimo, Cass. civ., Sez. V, 7 febbraio 2025, n. 3093; Cass. civ., Sez. I, Ord., 8 gennaio 2025, n. 393; Cass. civ., Sez. I, Ord., 30 dicembre 2024, n. 35006; Cass. civ., Sez. I, Ord., 16 ottobre 2024, n. 26871; Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 giugno 2024, n. 16266) ancora una volta sollecita da parte di questa Corte una rivalutazione dei fatti, diversa da quella operata dal Giudice del rinvio, tentando di realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, e non consentito, terzo grado di merito (cfr. fra tutte, di recente, Cass. civ., Sez. V, Ord., 11 gennaio 2025, n. 730; Cass. civ., Sez. V, Ord., 18 dicembre 2024, n. 33190; Cass. civ., Sez. III, Ord., 9 ottobre 2024, n. 26363).
Nel caso in esame, infatti, le doglianze del ricorrente non si confrontano in alcun modo con il decisum , censurando, invece, l’accertamento di merito svolto dal Tribunale, partendo sempre dall’erroneo presupposto – quindi volutamente letto a suo favore di non considerare che lo stesso ha ben evidenziato e argomentato come non v’era in atti prova che il sig. COGNOME fosse autorizzato al trattamento delle acque reflue e a tutte le operazioni di digestione di dette acque.
5.4. Il sesto e il settimo motivo, che possono essere trattati congiuntamente per la loro evidente intrinseca connessione logicogiuridica, sono inammissibili.
Dalla loro lettura, infatti, si desume che il ricorrente, attraverso la prospettata nullità della sentenza per errores in procedendo , nonché per contraddittorietà intrinseca della motivazione, intende sottoporre a questo Collegio un riesame dei fatti e delle prove, che conduca a un diverso, e a sé più favorevole, risultato.
Quanto alle prospettate censure di nullità per violazione degli art. 115 e 116 c.p.c., si rileva come l’evocazione di tali disposizioni asseritamente inosservate appare impropria e non pertinente rispetto al contenuto del motivo, nel quale l’illustrazione delle doglianze si risolve, di fatto, ancora una volta, nella sollecitazione ad una rivalutazione e ricostruzione della quaestio facti .
Del resto, costituisce jus receptum di questa Corte quello per cui la violazione dell’art. 115 c.p.c. ricorre allorquando «il giudice, in espressa o implicita contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti o mai acquisite in giudizio oppure non introdotte dalle parti ma disposte di propria iniziativa fuori dai poteri istruttori officiosi riconosciutigli». Mentre, v’è violazione dell’art. 116 c.p.c., se «il giudice di merito abbia disatteso il principio del libero apprezzamento delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista ovvero, all’opposto, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o una risultanza probatoria soggetta a diverso regime» (cfr. tra le tante, di recente, Cass. civ., Sez. III, Ord., 30 gennaio 2025, n. 2149; Cass. civ., Sez. III, Ord., 15 gennaio 2025, n. 964; Cass. civ., Sez. III, Ord., 23 dicembre 2024, n. 34033; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 dicembre 2024, n. 33624).
Nel caso in esame, parte ricorrente ha semplicemente dato un valore diverso alle risultanze di causa, ricavando da esse conseguenze differenti da quelle esaminate, valutate e considerate dal Tribunale eporediese, suggerendo al Giudice di legittimità una riponderazione del materiale acquisito al processo e dando rilievo,
nel senso prospettato dalla parte, a elementi diversi e ulteriori rispetto a quelli ritenuti utili alla decisione dal Giudice del rinvio, per giungere a conclusioni diverse, sulla base di un diverso giudizio in fatto, non consentito però in sede di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., 15 dicembre 2024, n. 32640; Cass. civ., Sez. V, 13 dicembre 2024, n. 32432; Cass. civ., Sez. I, Ord., 8 agosto 2024, n. 22528).
Aggiungasi, ancora, che il motivo in esame è inammissibile anche in relazione alle specifiche censure sul mancato onere a carico dell’odierno ricorrente di dimostrare che le ‘fosse RAGIONE_SOCIALE‘ da lui utilizzate rientravano nel sistema di trattamento delle acque reflue di cui era titolare, questa volta ai sensi dell’art. 360 -bis, comma 1, n. 1, c.p.c.
Secondo i principi generali, in tema di ripetizione d’indebito ex art. 2033 c.c., infatti, deve ritenersi operante il normale principio dell’onere della prova gravante sull’attore, «il quale, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi» (cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., 3 dicembre 2024, n. 30872; Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 marzo 2024, n. 6983; Cass. civ., Sez. I, Ord., 5 luglio 2023, n. 19019), avendo la medesima giurisprudenza opportunamente precisato che «l’attore ha l’onere di provare l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall’attore la dimostrazione dell’inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens» (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 19 dicembre 2024, n. 33325; Cass. civ., Sez. I, Ord., 17 luglio 2024, n. 19792; Cass. civ., Sez. II, Ord., 26 aprile 2024, n. 11190; Cass. civ., Sez. VI-3, Ord., 26 maggio 2021, n. 14428).
Nel caso in esame (in cui non si discute dell’effettivo pagamento dal COGNOME alla SMAT, ma dell’inesistenza di una causa alla base di
esso), lo stesso sig. COGNOME avrebbe dovuto provare, anche in ragione del principio di vicinanza alla prova (come correttamente evidenziato dal Tribunale), che le fosse Imhoff da lui utilizzate realizzavano un processo di depurazione completo. Solo una volta raggiunta tale prova – sempre sulla base della logica, coerente e congrua motivazione del Giudice del rinvio – sarebbe stato possibile affermare l’indebito di SMAT per la richiesta di pagamento della prestazione di depurazione, laddove totalmente mancante.
L’inammissibilità del motivo deriva, poi, anche dal fatto che la presente denuncia del vizio di cui al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. è stata formulata in termini non più consentiti, di contraddittoria motivazione.
Infatti, questa Corte, riunita nel suo massimo consesso, con la Sentenza n. 8053/2014 (a cui hanno fatto seguito ulteriori pronunce conformi), ha affermato che non può denunciarsi, in sede di legittimità, un vizio di omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, se non quando esso dia luogo a una vera e propria violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., che si ha quando manca graficamente la motivazione, oppure si tratta di ‘motivazione del tutto apparente’, ovvero di ‘motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile’, o ancora di ‘manifesta e irriducibile sua contraddittorietà’. Ciò, sempre che detti vizi emergano dal provvedimento impugnato, non prevedendosi una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione per mezzo di un confronto con le risultanze probatorie (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 aprile 2024, n. 9776; Cass. civ., Sez. II, Ord., 31 marzo 2022, n. 10525; Cass. civ., Sez. II, Ord., 30 luglio 2021, n. 21937; Cass. civ., Sez. VI, 11 agosto 2021, n. 22698).
Per l’effetto, la violazione del citato art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. deve comunque emergere obiettivamente dalla lettura della sentenza in sé, senza possibilità alcuna di ricavarla da altri
elementi, tantomeno dal confronto con atti o documenti acquisiti nel corso dei gradi di merito.
Nella fattispecie, invece, l’impianto motivazionale, come già evidenziato, rispetta ampiamente il c.d. ‘minimo costituzionale’, mentre, invero, i motivi di ricorso, anche questa volta, mirano a fornire una diversa ricostruzione della fattispecie de qua, contrapponendo in modo inammissibile una propria valutazione dei fatti di causa rispetto a quella fatta propria dal giudice di secondo grado e, come tale, incensurabile in questa sede (cfr. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 febbraio 2025, n. 3588; Cass. civ., Sez. V, 24 gennaio 2025, n. 1770; Cass. civ., Sez. V, Ord., 4 gennaio 2025, n. 111; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 21 dicembre 2024, n. 33734; Cass. civ., Sez. III, Ord., 6 settembre 2024, n. 24063).
5.5. Infine, l’ottavo motivo di ricorso è inammissibile.
Come noto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis, deve escludersi la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del n. 5 del citato art. 360, nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata rechi conferma della decisione di primo grado, trattandosi di una c.d. ‘doppia conforme’.
Ipotesi questa, in cui il ricorrente, per evitare la declaratoria di inammissibilità deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 febbraio 2025, n. 3498; Cass. civ., Sez. III, Ord., 29 gennaio 2025, n. 2124).
Nella specie, esistendo sul punto una c.d. doppia conforme, il sig. COGNOME non ha assolto tale ultimo onere, non avendo minimamente indicato quali sarebbero le ragioni diverse tra le due decisioni, che gli avrebbero invece consentito, almeno, di prospettare il motivo in esame.
In ogni caso, va detto che il ricorso per cassazione, rispetto all’ipotesi di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, deve riguardare proprio un’omissione, mentre, al di fuori di essa, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.
Requisito, anche questo, che risulta esser stato rispettato nella decisione impugnata.
Il mancato accoglimento del ricorso principale assorbe la disamina dei motivi del ricorso incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE, espressamente formulati in via condizionata, subordinatamente all’accoglimento dell’avverso ricorso.
Ciò ad eccezione del nono motivo del ricorso incidentale, sul riparto delle spese di lite, rispetto al quale il rigetto del ricorso principale non esime dal relativo scrutinio. Tale motivo risulta, peraltro, fondato, sebbene sulla base di ragioni in parte diverse da quelle prospettate dalla SMAT.
In particolare, con il nono motivo la RAGIONE_SOCIALE lamenta – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente interpretato il principio di causalità, ritenendo di compensare le spese del giudizio, pur avendo riconosciuto che, in base al criterio della soccombenza, le spese avrebbero dovuto gravare per intero sul sig. COGNOME
In proposito, infatti, osserva il Collegio che l’art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, prevedeva che, in ipotesi di soccombenza reciproca o in presenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice potesse compensare, parzialmente o per intero, le spese di lite tra le parti. Tale norma è stata poi modificata con il d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni,
dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, che ha previsto di compensare le spese di lite solo nel caso di soccombenza reciproca ovvero di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Tuttavia, la nuova formulazione di tale norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la Sentenza n. 77 del 19 aprile 2018, nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non solo nelle suddette espresse due ipotesi, ma anche in presenza di ‘altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni’, stabilendo, quindi, che il giudice può decidere di compensarle, anche quando – per l’appunto – vi siano analoghe gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere motivate secondo la generale prescrizione dell’art. 111, comma 6, Cost.
Sul solco delineato dalla Consulta, la giurisprudenza di legittimità ha ormai chiarito che, seppur si tratti di nozione elastica, le gravi ed eccezionali ragioni non possono risultare illogiche e/o erronee, altrimenti configurandosi un vizio di violazione di legge denunciabile in sede di legittimità (tra le altre, ex multis , Cass., Sez. lav., Ord., 21 maggio 2024, n. 14036).
Dette ragioni, quindi, non possono che riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi esprimere semplicemente tramite il ricorso a una formula generica, come, ad esempio: ‘la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale’, inidonea a consentire il necessario controllo; il mero riferimento alla ‘peculiarità della materia del contendere’; ‘nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni’ (cioè, quelle trattate in giudizio), ‘di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ.’ (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 7 dicembre 2024, n. 31441; Cass. civ., Sez. V, Ord., 6 dicembre 2024, n. 31407; Cass.
civ., Sez. II, Ord., 18 settembre 2024, n. 25057; Cass. civ., Sez. III, 8 marzo 2024, n. 6424; Cass. civ., Sez. VI-Lav., Ord., 7 marzo 2023, n. 6697).
Nella fattispecie, il Tribunale ha giustificato la compensazione integrale delle spese alla luce della «elevata complessità delle questioni giuridiche trattate e dalla conseguente oggettiva incertezza circa l’esito finale della lite», attraverso una formulazione generica che impedisce di compiere il necessario controllo sulle ragioni effettive della compensazione delle spese di lite, in palese in violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. (v. p. 29 sentenza impugnata n. 101/2021).
Pertanto, in accoglimento del nono motivo del ricorso incidentale, la Corte cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida così le spese in favore della ricorrente incidentale, Società Metropolitana Acque Torino RAGIONE_SOCIALE.p.A.: per il giudizio di primo grado, Euro 750,00; per il giudizio d’appello, Euro 1.278,00; per il giudizio di Cassazione, Euro 1.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali; per il giudizio di rinvio, Euro 1.278,00; infine, per questo giudizio, Euro 1.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale, con assorbimento dal primo all’ottavo motivo di quello incidentale. In accoglimento del nono motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese in favore della ricorrente incidentale, RAGIONE_SOCIALE: per il giudizio di primo grado, Euro 750,00; per il giudizio d’appello, Euro 1.278,00; per il giudizio di Cassazione, Euro 1.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali; per il giudizio di rinvio, Euro 1.278,00; infine, per questo giudizio, Euro
1.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza