Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29930 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 29930 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
SENTENZA
sul ricorso 11143-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
Oggetto
INDEBITO ARRICCHIMENTO
Credito risarcitorio nascente da sentenza penale di condanna Pagamento da parte del responsabile civile – Riforma in appello della statuizione di condanna a carico di quello degli imputati per il quale il responsabile civile abbia pagato Possibilità per il ‘ solvens ‘ di surrogarsi nel credito risarcitorio nei confronti degli imputati riconosciuti responsabili dell’illecito
– ricorrente –
e
sul ricorso 11366-2022 proposto da:
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME, domiciliat o ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e dife so dall’AVV_NOTAIO ; R.G.N. 11366/2022 Cron.
Rep.
– ricorrente –
contro
Ud. 05/06/2025
Udienza pubblica
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA E LO SVILUPPO SOSTENIBILE; PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI; COMMISSARIO STRAORDINARIO PER IL CONTENZIOSO E TRASFERIMENTO DELLE OPERE DI CUI AL TITOLO VIII DELLA L. N. 219 DEL 1981, in persona de rispettivi legali rappresentanti ‘ pro tempore ‘ , domiciliati ‘ ex lege ‘ in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’ Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato, che li rappresenta e difende per legge;
– controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, ‘ ad negotia ‘, AVV_NOTAIO NOME COGNOME , domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrente –
e contro
COGNOME NOME; CURATELA DELL’EREDITÀ GIACENTE DI NOME COGNOME VIALE; RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE IN CONCORDATO PREVENTIVO; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME; NOME COGNOME
– intimati –
Avverso la sentenza n. 709/2022, de lla Corte d’appello di Napoli, depositata in data 21/02/2022;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica in data 05/06/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
udito l’AVV_NOTAIO;
udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 709/22, del 21 febbraio 2022, della Corte d’appello di Napoli, che – accogliendo il gravame esperito, in via di principalità, dal RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘), dalla RAGIONE_SOCIALE e dal Commissario Straordinario per il contenzioso e trasferimento delle opere di cui al titolo VIII della l. n. 219 del 1981 (d’ora in poi, ‘Commissario St raordinario’), avverso la sentenza n. 5168/11, del 2 maggio 2011, del Tribunale della stessa città – ha, per quanto qui ancora di interesse, condannato in solido NOME COGNOME, e con esso anche NOME COGNOME, NOME COGNOME e l’eredità giacente di NOME COGNOME, a pagare, al RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE e al Commissario Straordinario, la somma di € 1.123.726,18, maggiorata di interessi, rigettando la domanda di manleva, riproposta dal l’odierno ricorrente ex art. 346 cod. proc. civ. nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE), dichiarando inammissibile la medesima domanda proposta pure da NOME COGNOME.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che il RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e il Commissario Straordinario ebbero a citarlo in giudizio (e con esso, pure NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), affinché tutti i convenuti fossero condannati, in solido o ‘ pro quota ‘, al pagamento della somma di € 1.123.726,18, oltre interessi, a titolo di ripetizione di indebito o, in via subordinata, di surrogazione legale ex art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ.
Assumevano, infatti, gli allora attori che il RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto a pagare la somma suddetta in favore degli eredi delle
vittime di un disastro, avvenuto il 23 gennaio 1996, a causa del crollo della galleria di collegamento tra lo svincolo stradale di RAGIONE_SOCIALE e quello di Miano, evento verificatosi nell’ambito di un’opera pubblica, alla cui realizzazione i convenuti, a vario t itolo professionale, avevano preso parte. In particolare, il versamento del già indicato importo era avvenuto in esecuzione della condanna – impartita dal Tribunale di Napoli, in sede penale con sentenza n. 9962/03, al RAGIONE_SOCIALE, quale responsabile civile, a seguito dell’accertata responsabilità del suo ingegnere progettista, NOME COGNOME – al pagamento di una provvisionale. Provvedimento adottato all’esito del primo grado di giudizio, che condannava, con il RAGIONE_SOCIALE, pure i predetti professionisti (quali, rispettivamente, progettista, direttore dei lavori, direttore tecnico e collaudatore in co rso d’opera di alcune delle imprese alle quali era stata affidata l’esecuzione dei lavori) a versare , agli eredi di ciascuna delle vittime del disastro, la somma di € 100.000 ,00. Tale decisione resa in sede penale, tuttavia, veniva parzialmente riformata in appello, in ragione dell’intervenuta assoluzione del COGNOME, in virtù della sentenza della Corte d’appello napoletana n. 7702/06.
Su tale presupposto, quindi, il RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e il Commissario Straordinario chiedevano all’uopo convenendoli in giudizio – a NOME COGNOME, a NOME COGNOME, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, il pagamento della somma corrisposta dal RAGIONE_SOCIALE.
Costituitisi in giudizio i convenuti, essi, oltre a resistere alla domanda, chiedevano di essere autorizzati a chiamare in causa, quali corresponsabili del sinistro, altre persone fisiche (segnatamente, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e giuridiche c he avevano contribuito all’esecuzione dell’opera, queste ultime da individuarsi nelle società tutte, peraltro, ‘ medio tempore ‘ dichiarate fallite – RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, oltre che nella
società RAGIONE_SOCIALE e nell’RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima, invece, posta in concordato preventivo.
Inoltre, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiamavano rispettivamente in causa, per essere dalle stesse manlevati, il primo, la società RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE)., in virtù delle polizze per la responsabilità civile verso terzi stipulate anche in suo favore come ‘preposto’ per il progetto esecutivo – dalla società RAGIONE_SOCIALE e dalle imprese sopra elencate, all’epoca dei fatti costituitesi in A.T.I., il secondo, invece, la società RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE), nei confronti della quale NOME COGNOME chiedeva estendersi la sua domanda di manleva.
Si costituivano in giudizio sia le due società assicuratrici, per resistere alle domande di manleva, sia – sempre per opporsi all’iniziativa assunta dai convenuti nei loro confronti – le società RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo, nonché le curatele fallimentari delle società RAGIONE_SOCIALE, queste ultime eccependo l’inammissibilità e improcedibilità delle domande nei loro confronti, stante la competenza esclusiva del Tribunale (quello di Isernia) che aveva dichiarato il loro fallimento.
Così radicatosi il contraddittorio, l’esito del primo grado di giudizio – per quanto qui di interesse – consisteva nel rigetto della duplice domanda del RAGIONE_SOCIALE (e delle altre amministrazioni dello Stato). Rilevava, infatti, il Tribunale di Napoli, quanto alla richiesta ripetizione d’indebito, che i convenuti non fossero gli ‘ accipientes ‘ della somma richiesta in restituzione. In merito, invece, alla domanda avanzata, in via subordinata, a titolo di surrogazione legale, il giudice di prime cure ne motivava il rigetto sul presupposto che a seguito dell’assoluzione, in appello, dell’AVV_NOTAIOCOGNOME, ovvero il progettista incaricato dal RAGIONE_SOCIALE – era venuto meno, con effetto ‘ ex tunc ‘, il vincolo di solidarietà per il
pagamento della condanna provvisionale inizialmente comminata, e con esso il rapporto, tra il RAGIONE_SOCIALE e i soggetti dallo stesso convenuti in giudizio, che potesse giustificare la surrogazione ex art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ.
Quanto alle spese del grado, mentre quelle relative al rapporto processuale intercorso tra gli attori e i convenuti erano poste integralmente a carico dei primi (condannati pure a rifondere le spese sostenute dalla società RAGIONE_SOCIALE e dall’RAGIONE_SOCIALE), veniva comminata, invece, la condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME a rifondere, per intero, quelle sostenute dalle curatele fallimentari e dalla società RAGIONE_SOCIALE, nonché, nella misura del 50% (la restante metà essendo, viceversa, posta a carico degli attori), quelle di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale decisione esperivano gravame, in via di principalità, i già attori, prestando peraltro acquiescenza alla decisione di rigetto della domanda di ripetizione dell’indebito (insistendo, invece, per quella di surrogazione), nonché, in via incidentale, il COGNOME e il COGNOME. Gli appellanti incidentali, in particolare, si dolevano delle statuizioni sulle spese di lite, riproponendo poi, ex art. 346 cod. proc. civ., la domanda di manleva verso RAGIONE_SOCIALE (ma non pure di RAGIONE_SOCIALE).
Il giudice d’appello, in primo luogo, accoglieva il gravame principale, sul presupposto che – al momento in cui il RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto a dare esecuzione alla condanna provvisionale l’obbligo giuridico di pagamento, in solido con gli altri condebitori, era effettivamente esistente in forza della prima pronuncia del giudice penale. La Corte napoletana si richiamava, al riguardo, ad un risalente arresto di questa Corte secondo cui ‘l’o bbligo di pagare il debito altrui, quale presupposto a che il « solvens » si surroghi nei diritti del creditore soddisfatto ai sensi dell’art. 1203, n. 3), cod. civ., va riscontrato con riferimento alla data in cui il « solvens » medesimo effettua il pagamento, restando irrilevante
l’eventuale successivo accertamento dell’inesistenza dell’obbligo stesso’.
In secondo luogo, quanto alla domanda di manleva verso RAGIONE_SOCIALE (divenuta nel frattempo RAGIONE_SOCIALE), la stessa veniva rigettata, nel caso di NOME COGNOME, e dichiarata inammissibile, perché nuova, quanto, invece, a NOME COGNOME.
In ordine, infine, alle spese processuali, il giudice d’appello -nel rilevare, preliminarmente, l’avvenuta transazione della lite tra NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e i fallimenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE evidenziava come la decisione da adottare riguardasse, ormai, solo il rapporto tra il medesimo NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e il fallimento RAGIONE_SOCIALE, oltre che quello di NOME COGNOME con tutte le curatele costituite e le due società assicuratrici. Ciò detto, in applicazione del principio della soccombenza, poneva a carico di NOME COGNOME e di NOME COGNOME le spese di entrambi i gradi di giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), nonché, solo nei confronti del COGNOME, le spese del primo grado sostenute da RAGIONE_SOCIALE, non provvedendo, invece, in tal senso per quelle del giudizio di appello, in mancanza di riproposizione della domanda di manleva verso di essa. Quanto, invece, alle spese sostenute dalle curatele fallimentari, le stesse venivano poste a carico sia del COGNOME che del COGNOME (ma, in questo caso, solo quanto al fallimento RAGIONE_SOCIALE, l’unico rimasto estraneo alla già indicata transazione), poiché le domande proposte nei loro confronti erano inammissibili, in ragione della competenza del Tribunale fallimentare. La condanna alle spese verso il fallimento RAGIONE_SOCIALE, peraltro, era limitata al primo grado, essendo detta curatela rimasta contumace in appello.
Avverso la sentenza della Corte partenopea ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base come detto – di sette motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e ‘soprattutto’ 5), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 291, 303, 330, 331, 332 e 350 cod. proc. civ. e conseguente violazione degli artt. 113 e 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., oltre che dell’art. 111 Cost., deducendo ‘nullità della sentenza, in merito ad un fatto decisivo inerente alla dichiarata integrità del contraddittorio e conseguente ammissibilità e procedibilità dell’atto d’appello’.
Il motivo si articola in due censure.
La prima, relativa alla rinnovazione della notificazione dell’atto di appello richiesta dagli appellanti principali sin dall’udienza del 24 aprile 2014 – agli eredi di NOME COGNOME (deceduto dopo la sentenza di primo grado). Tale rinnovazione sarebbe stata reiteratamente omessa nei confronti tanto di costoro, quanto del curatore dell’eredità giacente, visto che l’Avvocatura dello Stato, ancora all ‘udienza del 20 febbraio 2020, otteneva un nuovo termine per procedere a tale incombente, e ciò nonostante l’avvenuta nomina, nelle more, da parte del Tribunale di Udine , con decreto del 13 novembre 2019, del curatore speciale dell’eredità giacente, in persona dell’AVV_NOTAIO. Sottolinea il ricorrente che l’Avvocatura dello Stato ha provveduto alla notifica nei confronti di quest’ultimo solo in data 28 maggio 2020, ovvero dopo la concessione – che si assume essere stata illegittima – di un ulteriore termine, giusta ordinanza del 23 aprile 2020.
L’a l tra censura concerne l’omessa notificazione dell’atto d’appello – che pure era stata disposta dalla Corte partenopea, con ordine di integrazione del contraddittorio emesso all’udienza
del 31 ottobre 2013 – nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME (rimasti contumaci in primo grado), reputando il ricorrente che tale omissione non possa ritenersi sanata, come invece affermato dalla sentenza impugnata, dalla notifica dell’appello incidentale esper ito da esso COGNOME e dal COGNOME.
Alla luce di quanto esposto, pertanto, sarebbe ‘evidente l’improcedibilità ed inammissibilità dell’atto di appello principale così come notificato, perché in totale spregio a quanto disciplinato dal codice di procedura civile negli articoli sopra elencati, in merito anche alla rimessione in termini per fatti non imputabili alla parte istante’.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 113 e 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., oltre che per mancanza dei requisiti ex art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ., con conseguente nullità della sentenza.
Il ricorrente evidenzia di aver ‘sempre contestato la generica documentazione depositata in atti dal RAGIONE_SOCIALE‘, e ciò ‘in quanto non vi era alcuna prova effettiva dell’intimazione di pagamento ricevuta dal RAGIONE_SOCIALE dagli eredi delle vittime (raccomandata con ricevuta di ritorno) né degli avvenuti pagamenti così come richiesti in surroga’, in particolare sostenendo che ‘i decreti e gli ordinativi di pagamento, disposti dalla P.A. in favore degli eredi delle vittime ed allegati all’atto di citazione, non possono equi valere ad una prova di pagamento’. Parimenti, gli attori non avrebbero provato di aver ‘subito un’intimazione, un’espropriazione e/o azione esecutiva volta ad ottenere il pagamento della provvisionale nelle more del secondo grado di giudizio penale’.
La motivazione della sentenza impugnata, dunque, si collocherebbe sotto il minimo costituzionale, giacché inidonea a
far conoscere il ragionamento seguito dal giudice, donde la conseguente falsa applicazione della norma di diritto, dato che tale vizio ‘presuppone che la quaestio facti sia correttamente risolta al fine di scrutinare la corretta sussunzione sotto la norma’.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 113 e 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., dell’art. 111 Cost., violazione del combinato disposto dagli artt. 163, 183, comma 6, 342 e 345 cod. proc. civ., oltre a violazione dell’art. 1203, comma 1, n. 1), cod. civ., inapplicabilità dell’art 1203, comma 1, n. 3), cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma che parte attrice aveva proposto, in via subordinata, la domanda di surrogazione, perché, in questo modo, il giudice d’appello avrebbe contravvenuto al principio – affermato da questa Corte – secondo cui, chi agisce ex art. 2900 cod. civ. deve manifestare ‘chiaramente’ che ‘ha intenzione di esercitare in nome proprio diritti od azioni spettanti verso terzi al proprio debitore; che quest ‘ ultimo è rimasto inerte; che non si tratta di diritti od azioni, che per loro natura o per disposizione di legge non possono essere esercitati se non dal loro titolare’.
Inoltre, si censura la sentenza impugnata perché – nel richiamare un lontano arresto di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. 1, sent. 24 giugno 1980, n. 3958) – ha affermato che ‘l’obbligo di pagare il debito altrui, quale presupposto a che il « solvens » si surroghi nei diritti del creditore soddisfatto ai sensi dell’art. 1203, n. 3), cod. civ., va riscontrato con riferimento alla data in cui il « solvens » medesimo effettua il pagamento, restando irrilevante l’eventuale successivo accertamento dell’inesisten za dell’obbligo stesso’, come nel caso di specie, in ragione della sopravvenuta assoluzione del COGNOME. Senonché, osserva il ricorrente, nel menzionare il suddetto arresto di questa Corte la
sentenza impugnata ‘omette di precisare un passaggio fondamentale della stessa’, ovvero quello secondo cui ‘il diritto del solvens di subentrare nella posizione del creditore soddisfatto e di pretendere, quindi, dal debitore il rimborso della somma pagata, sussiste solo quando la ripetizione non è ammessa dei confronti dell’ accipiens (art. 2036, comma 3, cod. civ.)’, sicché tale diritto ‘va escluso qualora tale azione di ripetizione sia esperibile ovvero sia stata in concreto esperita restando irrilevante i n questa seconda ipotesi la sua pratica inutilità’.
Si denuncia, inoltre, violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., perché l’indebito oggettivo, ‘postulando un’indagine sull’elemento soggettivo del pagamento, consistente nella consapevolezza e nella volontà del « solvens » di pagare un debito altrui, comporta l’emergere di un tema di discussione e di decisione nuovo rispetto a quello derivante dall’applicazione dell’art 1203, comma 1, n. 3), cod. civ.’.
Viene, inoltre, sottolineato che ‘la surrogazione legale non si configura per il solo fatto di aver pagato il debito altrui, ma solo nel caso in cui colui che paga sia tenuto, con altri o per altri, al pagamento del debito, o sia comunque legato al debitore da un rapporto preesistente al pagamento, idoneo a giustificare l ‘esercizio dell’azione di regresso nei confronti del debitore’, mentre nel caso in esame ‘manca l’attuale sussistenza del rapporto di solidarietà di cui all’art. 1203, comma 1, n. 3) , cod. civ., in quanto la sentenza di secondo grado ha revocato le statuizioni civili in via provvisoria emesse dalla sentenza penale di primo grado’.
Infine, si rileva che – ai sensi della norma suddetta – gli attori/appellanti erano obbligati a surrogarsi, ai soggetti risarciti, nei confronti dei fallimenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ‘ai quali erano stati versati, in deposito liberatorio ed al 50% ciascuno, i massimali di polizza della ex RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, e della RAGIONE_SOCIALE, per un totale di € 7.303.761,40′, secondo quanto sarebbe dato evincere ‘dalle relazioni delle curatele’, che si indicano come ‘di recente depositate da queste ultime in altro giudizio avente ad oggetto la domanda di r isarcimento dei danni subiti dalle società all’epoca in bonis nei confronti dei loro amministratori e professionisti tecnici preposti’. Si assume, pertanto, che la conseguenza di tale non corretto esercizio della surrogazione ex art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ. ‘è costituito da una evidente locupletazione ai danni del ricorrente e degli altri professionisti condannati in sede penale in violazione degli artt. 2041 cod. civ. e 624 cod. pen.’, giacché essi ‘stanno subendo più richieste risarcitorie giudizi ali per le medesime causali’.
3.4. Il quarto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 113, 115 e 345, comma 3, cod. proc. civ., nonché degli artt. 2041 cod. civ. e 624 cod. pen., ‘per omessa valutazione di un fatto storico decisivo e di una prova indispensabile agli atti di causa’, lamentando ‘ingiustizia manifesta’.
Si censura la sentenza impugnata per aver ‘omesso di detrarre dalla somma totale della provvisionale, pagata dal RAGIONE_SOCIALE alle vittime del sinistro, la cifra di € 342.678,25 rimborsata al RAGIONE_SOCIALE stesso dal RAGIONE_SOCIALE per gli stessi fatti di cui è causa, così come riconosciuto dalla P.A. nella comparsa di costituzione dell’11 novembre 2020′, ovvero in un ‘documento confessorio’ ritenuto ‘ingiustamente ed illegittimamente tardivo dalla Corte d’Appello, nonostante la sua evidente formazione successiva ( 2018) all’istaurazione del giudizio di appello (2012) in aperta violazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., dell’art. 2041 cod. civ. e dell’art. 624 cod. pen’.
Analoga detrazione – assume il ricorrente – dovrà compiersi anche di ‘tutte le somme incassate dal RAGIONE_SOCIALE dall’altro fallimento RAGIONE_SOCIALE‘, come ‘si evince dalla relazione ex art. 33 della curatela fallimentare’, oltre che dalla sentenza di questa Corte ‘del 2012 che ha chiuso definitivamente l a questione del deposito liberatorio dei massimali di polizza assicurativa per un importo totale di € 7.303.761,40’.
Infine, non essendo ‘dato sapere’ al ricorrente ‘ciò che è stato rimborsato al RAGIONE_SOCIALE anche dalle altre imprese in fallimento’ e dalla ‘impresa RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo’, il medesimo ‘chiede alla Suprema Corte di ordinare alle curatele fallimentari suddette, o di demandare alla Corte di appello di Napoli l’emanazione di tale ordine nella sperata cassazione della sentenza gravata con rinvio, il deposito di una relazione aggiornata ex art. 33 della legge fallimentare, al fine di evitare evidenti locupletazioni ai danni del ricorrente e degli altri professionisti resistenti condannati in sede penale e civile ‘ .
3.5. Il quinto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. violazione dell’art. 113 cod. proc. civ. con riguardo alla violazione degli artt. 1891, 1411, 1362, 1363, 1365, 1366, 1367, 1368 e 1369 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata là dove ha rigettato la domanda di manleva proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che la garanzia assicurativa operasse solo in favore delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e non pure di esso COGNOME.
Si assume, infatti, che la Corte territoriale avrebbe ‘errato nell’applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale richiamate sopra (artt. 1362 e seguenti cod. civ.) perché non ha considerato nell’integrità del suo tenore letterale la clausola di cui all’art. 16 «ASSICURAZIONI» del contratto d’appalto sottoscrit to in data 27 marzo 1992’ tra la società RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE. In particolare,
essa avrebbe dovuto dare rilievo alla previsione che faceva carico all’appaltatore di ‘stipulare, in aggiunta a tutte le assicurazioni obbligatorie per la legge, per tutti i suoi dipendenti comunque impiegati nell’esecuzione dei lavori, a sua cura e spese, con primarie Compagnie assicuratrici di gradimento della Committente ed a condizioni da questa ritenute soddisfacenti, le seguenti polizze RAGIONE_SOCIALE‘ e, segnatamente, tra di esse, ‘RAGIONE_SOCIALE per responsabilità civile verso i prestatori di lavoro, a nche al di fuori dell’ambito di esecuzione dello stesso, con congrui massimali per ogni sinistro e per ogni prestatore d’opera infortunato’.
D’altra parte, anche la previsione secondo cui ‘la RAGIONE_SOCIALE dichiara di rinunciare al suo diritto di surrogazione nei confronti della Committente, della Direzione Lavori e dell’Ente Concedente, nonché dei rispettivi dipendenti’ corroborerebbe l’interpretazione proposta, giacché una simile rinuncia ‘può giustificarsi solo con la sussistenza di un contratto assicurativo a f avore di terzo e/o per conto di chi spetta’, ex artt. 1411 e 1891 cod. civ.
3.6. Il sesto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 113 e 92 cod. proc. civ.
Si assume che, ‘alla stregua delle argomentazioni giuridiche sopra esposte al quinto motivo di ricorso, risulta assolutamente ingiusta la condanna del ricorrente alle spese di lite in favore delle RAGIONE_SOCIALE e delle Imprese in fallimento’, e ciò ‘quantomeno sotto il profilo della complessità delle questioni che dovevano essere accertate in contraddittorio di tutte le parti interessate al giudizio’.
3.7. Infine, il settimo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 113 e 112
cod. proc. civ., violazione nonché erronea e falsa interpretazione degli artt. 40, 41 cod. pen. e degli artt. 1223, 1225, 1227, comma 2, 1299 e 2055 cod. civ., violazione dell’art. 2697 cod. civ. nel riparto dell’onere probatorio del nesso causale in relaz ione alle conseguenze del sinistro, nonché violazione dell’art. 20 del regio decreto n. 350 del 1895 contenente il regolamento per la direzione, la contabilità ed il collaudo dei lavori dello Stato da applicarsi ‘ ratione temporis ‘ all’appalto in questione.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma essere stato ‘acclarato, all’esito degli univoci accertamenti tecnici e delle prove storiche raccolte nel giudizio penale’, illustrate analiticamente nella sentenza resa all’esito dello stesso, ‘che le morti delle vittime del disastro in questione sono certamente imputabili ai convenuti condannati in via definitiva in sede penale e non anche al COGNOME‘.
Sarebbe stato, tuttavia, disatteso il principio del ‘più probabile che non’, con cui accertare in ambito civile il nesso di causalità tra il danno lamentato e la condotta del preteso responsabile.
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con unico controricorso, il RAGIONE_SOCIALE (nuova denominazione assunta dal RAGIONE_SOCIALE), la RAGIONE_SOCIALE e il Commissario straordinario, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Del pari, ha resistito, con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE, concludendo anch’essa per la declaratoria d’inammissibilità o, comunque, per il rigetto del ricorso.
Sono rimasti solo intimati NOME COGNOME, la curatela dell’eredità giacente di NOME COGNOME, i fallimenti RAGIONE_SOCIALE,
RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo e le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in pubblica udienza.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso questa Corte, in persona di un suo AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire requisitoria scritta, concludendo nel senso del rigetto del ricorso.
Il ricorrente e i controricorrenti hanno presentato memoria.
Celebrata il 4 giugno 2025 l’udienza di trattazione, nel corso della stessa – con provvedimento adottato direttamente in udienza – è stata disposta , ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione al presente giudizio (R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO) di altro (R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO) promosso da NOME COGNOME mediante impugnazione della stessa sentenza n. 709/22 della Corte d’appello di Napoli.
Il ricorso, illustrato da memoria, si articola su quattro motivi, sostanzialmente identici ai primi quattro del ricorso di NOME COGNOME.
A detto ricorso resistono il RAGIONE_SOCIALE (nuova denominazione assunta dal RAGIONE_SOCIALE), la RAGIONE_SOCIALE e il Commissario straordinario, ma pure, illustrandolo con memoria, RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ambedue i ricorsi vanno rigettati.
11.1. Il primo motivo – comune ad entrambe le impugnazioni – non è fondato.
11.1. Nello scrutinarlo, si deve muovere dalla constatazione che nessuno dei soggetti nei confronti dei quali è stata ordinata la rinnovazione della notificazione dell’atto di appello costituiva, in realtà, un contraddittore necessario.
Non NOME COGNOME, né NOME COGNOME, che erano stati chiamati in causa – in base a quanto si legge nella sentenza impugnata, a pag. 11 – dagli odierni ricorrenti ‘per essere eventualmente da essi manlevati in considerazione dell’attività dagli stessi svolta nell’ambito del tragico evento’ presupposto del presente giudizio (e senza che i medesimi fossero neppure quei soggetti nei confronti dei quali l’odierno ricorrente, per l’ipotesi di condanna al pagamento in favore di parte attrice, ‘chiedeva di accertare ex art. 2055 cod. civ. le quote di responsabilità’, domanda proposta, infatti, solo nei riguardi ‘delle società appaltatrici chiamate in causa’; cfr. pag. 6 del ricorso).
Si trattava, dunque, di ‘terzi responsabili’ chiamati in causa da due dei convenuti, e dunque di soggetti rispetto ai quali gli attori/appellanti principali mai avevano proposto alcuna domanda, donde la correttezza – come reputa anche il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso questa Corte dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui ‘la loro partecipazione al giudizio è stata assicurata dalla notifica degli appelli incidentali da parte dei loro chiamanti in causa’, non occorrendo che fossero evocati in giudizio pure dagli attori/appellanti.
Parimenti, non era un contraddittore necessario – sebbene convenuto ‘ ab origine ‘ in giudizio direttamente dagli attori -neppure il defunto NOME COGNOME, vale a dire uno dei coautori dell’illecito dal quale erano scaturiti i danni al cui ristoro
aveva provveduto il RAGIONE_SOCIALE, poi surrogatosi nei diritti dei creditori ex art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ.
Invero, secondo questa Corte, in caso di ‘responsabilità da fatto illecito, il carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria, escludendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile tra i soggetti che abbiano concorso nella produzione del danno, comporta, sul piano processuale, l’autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, la quale impedisce di ravvisare non solo un litisconsorzio necessario tra gli autori dell’illecito, ma anche un rapporto di dipendenza tra l’affermazione o l’esclusione della responsabilità di alcuni di essi e l’accertamento del contributo fornito dagli altri, a meno che la responsabilità dei primi non debba necessariamente essere ricollegata a quella di questi ultimi, per effetto dell ‘ obiettiva interrelazione esistente, sul piano del diritto sostanziale, tra le rispettive posizioni’ (Cass. Sez. 1, sent. 13 ottobre 2016, n. 20692, Rv. 642052-03; analogamente anche Cass. Sez. 3, ord. 21 agosto 2018, n. 20860, Rv. 650428-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 giugno 2020, n. 10803, Rv. 658076-01).
Di qui, pertanto, la necessità di dare seguito al principio secondo cui, in presenza di ‘impugnazione di decisione riguardante una pluralità di rapporti giuridici distinti ed autonomi, ove essa sia proposta nei confronti di alcune soltanto delle parti, l’omessa esecuzione , nel termine perentorio assegnato, dell’ordine del giudice ex art. 332 cod. proc. civ. di eseguire la notificazione nei confronti delle altre determina, venendo in rilievo un litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, l’estinzione del processo limitatamente ai soggetti destinatari del rinnovo della notifica, non potendo il detto ordine avere riflesso sugli altri’ (Cass. Sez. 6-3, ord. 16 gennaio 2020, n. 804, Rv. 656588-01), essendo l’ordine di notificazione dell’impugnazione impartito solo
‘ai fini della « litis denuntiatio »’ (Cass. Sez. 6 -5, ord. 18 aprile 2017, n. 9773, Rv. 643959-01).
11.2. Il secondo motivo – comune, parimenti, ad ambo le impugnazioni – è inammissibile.
11.2.1. Esso, per vero, denuncia un vizio di motivazione che, nella prospettazione dei ricorrenti, sarebbe da evincere dall’inidoneità, della documentazione prodotta da parte attrice (e poi appellante), a comprovare l’avvenuta intimazione a pagare quanto stabilito dalla provvisionale e il successivo pagamento.
Siffatta censura è, tuttavia, inammissibile, giacché il denunciato vizio motivazionale è privo del suo necessario carattere ‘testuale’ (come rammenta, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, al § 10.9, pag. 24), essendo la sua prospettazione avvenuta in spregio al principio secondo cui occorre che esso ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata, nonché Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01).
11.3. Il terzo motivo anch’esso identico nei due ricorsi – è in parte inammissibile e in parte non fondato.
11.3.1. Inammissibile, infatti, è la prima censura, ovvero quella secondo cui la domanda di surrogazione non potrebbe proporsi in via subordinata, perché incompatibile con la necessità che l’azione surrogatoria venga esperita ‘con chiarezza’ ; la censura, infatti, confonde la fattispecie di cui all’art. 1203, comma
1, n. 3), cod. civ. con quella, del tutto diversa, di cui all’art. 2900 cod. civ., alla quale si riferisce tale principio.
Quanto, invece, alla censura secondo cui il ricorso alla surrogazione sarebbe stato, nella specie, precluso, e ciò perché il ‘ solvens ‘ poteva agire in ripetizione nei confronti degli ‘ accipientes ‘, in ragione della revoca della provvisionale disposta dal giudice d’appello penale in conseguenza dell’assoluzione del COGNOME, essa trascura di considerare, innanzitutto, che al momento dell’avvenuto pagamento non sussisteva ancora la condizione legittimante, astrattamente, l’esperimento dell’azione di ripetizione. In altri termini, la previsione di cui all’art. 2036, comma 3, cod. civ., richiamata dai ricorrenti, sebbene vada intesa -leggendola ‘ a contrario ‘ – anche nel senso che colui che ha pagato indebitamente non subentra dei diritti del creditore, quando la ripetizione è ammessa, presuppone, pur sempre, la ‘contestualità’ tra la possibilità della ripetizione e la preclusione alla surrogazione. Sotto altro – e più radicale – profilo, poi, colgono nel segno i rilievi del AVV_NOTAIO presso questa Corte, secondo cui il recupero di somme pagate in esecuzione di sentenze provvisoriamente esecutive, poi riformate ‘non si inquadra nell’istituto della « condictio indebiti » (art. 2033 cod. civ.), dal quale differisce per natura e funzione’, e ciò perché ‘il diritto alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza’, giacché tale evenienza fa ‘venir meno « ex tunc » e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza’, così imponendo ‘di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza’ (vengono richiamate Cass. Sez. 3, sent. 19 febbraio 2007, n. 3758, Rv. 596952-01; Cass. Sez. Lav., sent. 5 agosto 2005, n. 16559, Rv. 583649-01).
A conferma, poi, della legittimità del ricorso alla surrogazione da parte del RAGIONE_SOCIALE , e dell’impossibilità di avvalersi della ripetizione
nei confronti degli aventi diritto al risarcimento del danno ‘ illo tempore ‘ soddisfatti nella loro pretesa creditoria , deve richiamarsi il ‘principio secondo il quale colui che paga sapendo di non essere debitore’ (e tale è divenuta la condizione del RAGIONE_SOCIALE dopo l’assoluzione del COGNOME dai reati a lui inizialmente ascritti) ‘non ha azione in base alle norme sull’indebito soggettivo, in esse comprese il terzo comma dell’art. 2036 cod. civ., atteso che tale norma necessariamente richiede la consapevolezza e la volontà del solvens di pagare un debito proprio anziché altrui ‘ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 16 dicembre 2013, n. 28061, Rv. 629036-01, che richiama, sul punto, Cass. Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9946).
In definitiva, poiché al momento del pagamento il RAGIONE_SOCIALE era validamente coobbligato in uno agli originari convenuti, legittimamente esso, in qualità di solvens , venuto meno il titolo giudiziale del proprio debito, si rivolge a coloro che al tempo del pagamento erano suoi condebitori solidali, per ottenerne il rimborso integrale della somma corrisposta ai creditori comuni, la quale non era, però, ormai definitivamente più a carico del primo per effetto della successiva riforma del titolo giudiziale in parola.
Infondata è, del pari, la censura di violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., giacché è lo stesso ricorrente a riconoscere che la domanda di surrogazione legale venne proposta sin dal primo grado.
Infine, è inammissibile la censura che prospetta il rischio di una locupletazione per le vittime dell’illecito, per essere stati stanziati, in loro favore, i massimali dagli assicuratori delle società (poi fallite) RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, basandosi tale doglianza su documentazione depositate dalle curatele ‘in altri giudizi’ e, dunque, non esaminabili, per definizione, nella presente sede.
11.4. Il quarto motivo l’ultimo comune ai due ricorsi – è inammissibile, sotto vari profili.
11.4.1. Innanzitutto, esso è proposto in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., non avendo il ricorrente provveduto ad adempiere all ‘onere di ‘puntuale indicazione’ del contenuto del documento su cui il motivo si fonda, secondo quanto ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01), e ciò, pur nell’interpretazione ‘non formalistica’ dei requisiti di ammissibilità e procedibilità del ricorso per cassazione che – in base al testé citato arresto delle Sezioni Unite s’impone alla luce della sentenza della Corte EDU Succi e altri c. RAGIONE_SOCIALE, del 28 ottobre 2021.
In secondo luogo, essendo il presente motivo strutturato come ‘omessa valutazione di un fatto storico decisivo’ (oltre che di una prova indispensabile), ‘fatto’ che sarebbe costituito dall’avvenuta percezione, da parte del RAGIONE_SOCIALE, di somme corrispostegli dalle curatele fallimentari che andrebbero a ridurre il suo credito restitutorio nei confronti degli odierni ricorrenti, la riconduzione del motivo alla previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. avrebbe richiesto che il ricorrente indicasse non solo il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui quel fatto risulti esistente, nonché la sua decisività, ma pure – ciò che invece non risulta avvenuto il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).
Fuori da ogni regola propria del giudizio di legittimità, infine, è la richiesta a questa Corte d’impartire un ordine di esibizione .
12.5. Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
12.5.1. Difatti, posto che ‘l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse co ntenuti’ (condizione, nella specie, soddisfatta), ‘ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi’ – come, invece, accaduto nel caso che occupa -‘nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata’ (da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 9 aprile 2021, n. 9461, Rv. 661265-01).
11.6. Inammissibile è pure il sesto motivo del ricorso del COGNOME.
11.6.1. Va, infatti, ribadito, che – in materia di spese di lite esula dal sindacato di questa Corte, ‘rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi ‘ (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto
2017, n. 19613, Rv. 64518701), giusti motivi, peraltro, ‘la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare’ (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2020, n. 26912, Rv. 659925-01; nello stesso senso già Cass. Sez. Un., sent. 15 luglio 2005, n. 14989, Rv. 582306-01; Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2005, n. 28492, Rv. 585748-01; Cass. Sez. 3, sent. 31 marzo 2006, n. 7607, Rv. 590664-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 26 aprile 2019, n. 11329, Rv. 653610-01).
11.7. Infine, che il settimo e ultimo motivo di ricorso del COGNOME è inammissibile.
11.7.1. Esso, infatti, si risolve nella pretesa di mettere in discussione l’accertamento di fatto, peraltro operato nel giudizio penale ed avente efficacia di giudicato ex art. 654 cod. proc. pen., sulla cui base la Corte territoriale ha fondato la conclusione della effettiva sussistenza delle conseguenze dannose.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono poste solidalmente a carico dei ricorrenti, ex art. 97, comma 1, ultima parte, cod. proc. civ., liquidandole come da dispositivo, in relazione alle diverse attività defensionali svolte dai singoli controricorrenti.
A carico di ciascuno dei ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta i ricorsi, condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido, a rifondere le spese del presente giudizio di legittimità in favore del RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, del Commissario Straordinario per il contenzioso e trasferimento delle opere di cui al titolo VIII della l. n. 219 del 1981 e della società RAGIONE_SOCIALE, liquidandole – unitariamente per i primi tre – in complessivi € 1 1.000,00, più spese eventualmente prenotate a debito, oltre accessori di legge, nonché per l’ultima -in € 10.000,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di ciascuno dei ricorrenti , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di cassazione, svoltasi il 5 giugno 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME