Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18614 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18614 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
le quali, con sentenza n. 36197 del 28 dicembre 2023, hanno affermato che «la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato – sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso successione di contratti a termine – decorre, per i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione, a partire da tale data, perché non è configurabile un metus del cittadino verso la pubblica amministrazione e poiché, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica»; 2.
il secondo motivo afferma la violazione o falsa applicazione dell’art. 4, co. 1 e 11, della L. n. 124 del 1999, dichiarato illegittimo da Corte Costituzionale n. 187 del 2016 e con esso si sottolinea come in virtù di ciò venissero meno le ragioni su cui la Corte di merito, in riforma della sentenza di primo grado, aveva fondato l’accoglimento parziale dell’appello sul « risarcimento del danno da mancata corresponsione retributiva »;
il motivo è inammissibile;
non può dirsi corretta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il sistema delle supplenze nella scuola pubblica non sarebbe tale in assoluto da determinare danni da abusiva reiterazione;
Cass. 7 novembre 2016, n. 22552 ha infatti chiarito che sia il superamento del termine di 36 mesi rispetto a supplenze su organico c.d. di diritto, sia il ricorso abusivo a supplenze su
organico c.d. di fatto o temporanee consentono il ricorso al risarcimento del danno da indebita precarizzazione;
è altresì vero che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4, co. 1 e 11 cit. e che la Corte territoriale ha richiamato tale disciplina nel proprio ragionamento;
tuttavia, il motivo neanche precisa quale fosse stato l’abuso subito dal ricorrente (superamento del termine di 36 mesi, utilizzazione illegittima delle supplenze su c.d. organico di fatto o quant’altro) e ciò, ove si consideri che il ricorrente è stato anche stabilizzato (il che, secondo i principi di Cass. 22552 cit. esclude il diritto al risarcimento del danno a meno di prova in concreto di specifici danni), rende insondabili il senso e gli scopi stessi della censura formulata richiamando il tema dell’anzianità del tutto estraneo a quello del danno da reiterazione abusiva delle supplenze -e senza menzione alcuna di danni residuati nonostante l’assunzione in ruolo;
la genericità che contraddistingue la censura la rende inammissibile per contrasto con i criteri di specificità espressi nel suo complesso dall’art. 366 c.p.c. , oltre che per le contraddittorietà giuridiche insite nel richiamo a lle questioni sull’anzianità, già accolte rispetto ad altro capo di domanda ed inconferenti rispetto al tema della reiterazione abusiva dei contratti a termine;
3.
il terzo motivo, ancora formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., adduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 18 e 4, co. 2, della L. n. 68 del 1999 e concerne il mancato riconoscimento al ricorrente, « giusta il suo inserimento già dal 2001 » nelle graduatorie ad esaurimento in qualità di « orfano di caduto di servizio » del diritto al risarcimento del danno da minore trattamento retributivo e omessa progressione di carriera stipendiale, cui avrebbe avuto diritto a far data appunto dal 2001, per effetto dell’assunzione ope legis ;
il motivo, ricostruendo la posizione del ricorrente come orfano di caduto per servizio e le conseguenze in termini di assunzione in ruolo, fa rilevare come dal riconoscimento del diritto all’assunzione dal 2000/2001, per appartenenza alle categorie protette, sarebbe conseguito il diritto al risarcimento di tutte le perdite economiche per differenze stipendiali, trattamento giuridico, pause estive, ratei di tredicesima a progressione stipendiale;
anche tale motivo va disatteso;
esso non si confronta con quanto affermato dalla Corte territoriale la quale, non solo ha affermato che gli elementi di causa erano insufficienti per accertare il diritto all’assunzione quale orfano in forza delle graduatorie dell’epoca, ma ha anche aggiunto che attraverso la disposta ricostruzione della carriera -come si è detto estesa dal Tribunale anche alle fasi di interruzione tra l’uno e l’altro rapporto a termine -erano stati attribuiti risultati analoghi a quelli propri di un’assunzione originaria fin dal 2001;
il ragionamento è chiaro ed in sé idoneo, come ratio decidendi , a sorreggere la pronuncia;
tuttavia, il motivo di ricorso non lo considera, né spiega quali ulteriori specifici profili differenziali fossero ancora da perseguire; vale pertanto il consolidato principio per cui ove la sentenza di merito sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, la mancanza di impugnazione di una di tali rationes decidendi , rende irrilevante l’esame di ogni altro profilo, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione non fatta oggetto di impugnativa (Cass. 14 agosto 2020, n. 17182; Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; v. anche Cass. 21 giugno 2017, n. 15350); 3.
il ricorso va dunque integralmente disatteso e le spese del grado sono da regolare secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso per cassazione e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate e debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 4.4.2024.