Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7105 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 7105  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29079/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE tra RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE,  COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME, COGNOME NOME, nonché dei singoli soci, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale:
EMAIL
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME INDIRIZZO NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale:
EMAIL
-controricorrenti-
nonché contro COGNOME NOME, CEMENTI RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
CO.5 L.F.) -ABUSO DI UN ENTE A FAVORE DI ALTRO –RAGIONE_SOCIALE
Ud.12/02/2025 CC
avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  NAPOLI  n.
4601/2022 depositata il 07/11/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del  12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Il Tribunale di Benevento, dopo aver dichiarato con sentenza del 23.11.2020 (confermata in appello il 17.2.2021), su ricorso di RAGIONE_SOCIALE, il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (di seguito RAGIONE_SOCIALE), ha dichiarato, su istanza del curatore, il fallimento della ‘ supersocietà ‘ di fatto costituita tra detta società e RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai sensi dell’ art. 147, comma 5, l. fall., nonché il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, ex art. 147, comma 1, l. fall.
1.1. -In particolare, sulla base degli elementi riportati a pag. 3-4 della sentenza impugnata in questa sede, il tribunale ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE svolgessero, mediante un «fondo comune» costituito con i loro rispettivi conferimenti, una «attività economica comune» esercitata in forza di una vera e propria affectio societatis , al fine di realizzare un «progetto economico comune, rappresentato in concreto dallo svolgimento attraverso gli stessi mezzi imprenditoriali, della medesima attività imprenditoriale al fine di sottrarre, conclusivamente, le garanzie patrimoniali alla massa dei creditori», con conseguente «partecipazione agli utili ed alle perdite».
-Con la sentenza indicata in epigrafe, l a Corte d’appello di Napoli ha accolto il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto da RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  ed  ha  revocato  tutti  i  fallimenti  dichiarati  dal tribunale ai sensi dell’ art. 147 l. fall.
2.1. -In  particolare,  i  giudici  del  reclamo  hanno  richiamato l’orientamento di questa Corte in base al quale la sussistenza della cd.  supersocietà  di  fatto  deve  essere  (almeno  presuntivamente) esclusa  tutte  le  volte  in  cui  la  prima  società  dichiarata  fallita,  in esecuzione delle direttive del soggetto che la controlla, di diritto o di fatto, tenga condotte volte a favorire a suo discapito -e dunque
anche a discapito dei suoi creditori -gli  interessi  di  coloro  che  si ipotizza siano suoi soci (in senso orizzontale), difettando in tal caso l’elemento della affectio societatis (Cass. 7903/2020, 10507/2022).
Hanno quindi ritenuto che « I medesimi dati di fatto invocati dalla Curatela (…) inducono infatti a ritenere che detta società (…) sia stata da chi, di fatto o di diritto, l’amministrava e presumibilmente in forza delle indicazioni promananti da chi, di fatto o di diritto, la controllava, cioè dal solo COGNOME o più probabilmente da una società da costui di fatto od occultamente costituita insieme almeno alla RAGIONE_SOCIALE e/o al COGNOME, dolosamente svuotata contro il suo interesse ed in pregiudizio dei suoi creditori e per favorire in definitiva gli interessi di chi, di fatto o di diritto, la controllava, sia stata cioè vittima piuttosto che complice di costoro. Il che è esattamente il contrario di quel che sarebbe stato necessario per affermare sussistente la prova che la RAGIONE_SOCIALE era socia (in senso orizzontale) della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, del RAGIONE_SOCIALE e/o del RAGIONE_SOCIALE, avendo programmato di esercitare in comune con costoro un’attività imprenditoriale allo scopo di dividerne gli utili ».
2.2. -La corte territoriale ha altresì ritenuto che l’apertura dei fallimenti della supersocietà di fatto e dei soci illimitatamente responsabili fosse imputabile alla curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 147, d.P.R. 115/2002 (applicabile anche alla revoca del fallimento ex art. 18 l.fall., ai sensi dell’art. 366, comma 2, CCII), norma che, sebbene espressamente riferita ‘al creditore o al debitore’ , andrebbe applicata analogicamente a tutte le ipotesi assimilabili, ivi compresa quella del fallimento aperto su iniziativa colposa del curatore di un altro fallimento, in quanto norma non eccezionale, volta a «individuare il prima possibile e con una pronunzia tendenzialmente definitiva il soggetto sul quale devono essere fatte ricadere le spese della procedura concorsuale aperta dalla dichiarazione del fallimento che deve essere revocato ». Ed ha desunto l’ indubbio carattere colposo dell’iniziativa della curatela dalla « sua abbastanza palese dissonanza rispetto alle indicazioni allo stato ritraibili univocamente dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e, sotto il profilo che è stato considerato qui decisivo, non contestate, per quanto consta (…), dalla dottrina ».
-Avverso detta decisione il Fallimento della s.d.f. irregolare  tra  RAGIONE_SOCIALE,  RAGIONE_SOCIALE,  COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME  e  NOME  COGNOME,  nonché  dei singoli soci in proprio illimitatamente responsabili, propone ricorso per cassazione basato su tre motivi, illustrato da memoria, cui RAGIONE_SOCIALE, NOME  e  NOME  COGNOME resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. -Con il primo motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2247, 2297, 2497 c.c., nonché degli artt. 5 e 147, comma 5, l. fall., ci si duole, sulla base di una dettagliata ricostruzione delle vicende in fatto, della mancanza di una corretta ricostruzione del paradigma dell’esercizio in comune dell’attività di impresa, nella prospettiva indicata dall’art. 2247 c.c., in relazione all’art. 2297 c.c. Secondo il ricorrente, non sarebbe evocabile il principio proprio del coordinamento e della direzione con riferimento a due società a responsabilità limitata, composte integralmente dai medesimi soci, con sovrapposizione degli organi amministrativi ed identità del settore economico in cui operano, laddove le decisioni assunte, le stesse modalità dei conferimenti e gli utili conseguiti si considerano indifferentemente attribuibili ai soci, oltre che alle società. Una simile configurazione non sarebbe riconducibile al fenomeno di ‘gruppo’ , né a ll’utilizzo strumentale di una società a vantaggio di un’altra (organizzate in senso verticale), ma a llo svolgimento in comune di un’attività economica da parte di due società (organizzate orizzontalmente), con intervento partecipativo di persone fisiche e delle stesse società, in chiave antitetica alla fattispecie di cui all’art. 2497 c.c. o alla ‘holding di fatto’. In ogni caso, la circostanza che la o le ‘società’ fossero state ‘vittime’ degli interessi di ‘chi le controllava’ (nel presupposto, non predicato, di una distrazione o di un diverso utilizzo del loro patrimonio sociale) risulterebbe smentito dalle prospettazioni ed evidenze documentali offerte dalla curatela.
3.2. -Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le  parti  (art.  360,  comma 1, n. 5, c.p.c.), con riguardo agli indici
inequivoci  di  un’unica  attività  di  impresa  svolta  in  comune,  nel paradigma  dell’art.  2247  c.c.,  dai  soci  persone  fisiche  e  dalle società coinvolte nella dichiarazione derivata di insolvenza.
3.3. -Il terzo mezzo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 366 CCII, per avere la corte territoriale «omesso di verificare se l’iniziativa fosse ascrivibile anche al comportamento del debitore, nonché omettendo di considerare che iniziative simili, con esito diverso, sono state accolte dalla medesima Corte di Appello ( … ) e da numerosi tribunali che, sulla scorta di indici sintomatici di minor peso hanno dichiarato il fallimento del sodalizio societario di fatto tra società di capitali e persone fisiche».
-I  primi  due  motivi,  connessi  e  perciò  esaminabili congiuntamente, vanno accolti, con assorbimento del terzo.
4.1. -Con essi, ponendosi sul crinale della esatta configurazione della fattispecie, il ricorrente prospetta una più approfondita e meno assertiva riflessione sull’alterità del fenomeno dello svolgimento in comune di un’attività economica organizzata ‘orizzontalmente’ (rileva nte nel caso di specie), rispetto al differente fenomeno dell’utilizzo strumentale di una o più società organizzate ‘verticalmente’ da parte di uno o più soggetti (siano essi persone fisiche o società) che pongono in essere un’attività di direzione e di coordinamento delle prime (di diritto o di fatto) esclusivamente nel proprio interesse, contravvenendo, da una parte, ai principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, e realizzando, dall’altra , il diverso fenomeno di un’impresa (di fatto o occulta) sussistente tra i medesimi soggetti che esercitano detta direzione, con conseguente esclusione di una fattispecie di esercizio orizzontale di una comune attività di impresa.
4.2. -L’assunto  è  che  la  corte  territoriale  abbia  evocato  i l profilo  dell’ «interesse imprenditoriale proprio o altrui in  violazione della  corretta  gestione  delle  società»  in  modo  improprio,  perché quell’interesse in realtà s arebbe tutt’uno con l’interesse stesso delle società e dei loro (identici) soci, in un  quadro  indistinto di operazioni  e  risultati  incompatibile  con  la  prospettiva  indicata dall’art. 2497 c.c. (e con il relativo rimedio meramente risarcitorio).
4.3. -La prospettazione viene fondata su elementi probatori tesi a dimostrare il comune intento sociale perseguito in conformità all’interesse dei soci della società di fatto e delle società rientranti nel suo perimetro, con assoluta funzionalità e complementarietà delle due società, integrale omogeneità degli assetti gestori e proprietari, in presenza di conferimenti ex art. 2253 c.c. atti a formare un unico patrimonio, a conferma del l’ affectio societatis rinveniente nell’unica attività di impresa. Di qui il vizio di mancata sussunzione della fattispecie n ell’art. 2247 c.c., con conseguente violazione dell’art. 147, comma 5, l. fall.
-Occorre  qui  dare  atto  dell’evoluzione  compiuta  nella giurisprudenza di questa Corte in tema di cd. supersocietà di fatto.
5.1. -Non può negarsi che, al di là della censurata ricostruzione in fatto della vicenda, i principi in diritto sottesi alla decisione impugnata risultino -in via di primo esame – consonanti a ll’ orientamento di legittimità per cui «la circostanza che i singoli enti societari perseguano l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche in via di fatto, è indice contrario dell’esistenza del fenomeno “supersocietario”, venendo in rilievo, piuttosto, quale prova dell’esistenza di una holding di fatto, nei cui confronti il curatore del fallimento della società che vi è sottoposta può eventualmente agire per farne valere le responsabilità ex art. 2497 c.c. e che può, altresì, fallire autonomamente ed in via principale su richiesta di uno dei soggetti legittimati, ove ne siano accertati i presupposti soggettivi e lo stato d’insolvenza rispetto a debiti alla stessa imputabili» (Cass. 36378/2023).
5.2. -Sennonché, all’esito di un percorso ermeneutico evolutivo sul fenomeno della supersocietà di fatto, l’indirizzo nomofilattico di questa Corte si è successivamente assestato sul diverso e meno apodittico principio per cui anche «l’abuso di una società da parte di una o più persone, fisiche o giuridiche, che, avendone il controllo, la gestiscono nel proprio interesse, non esclude la sussistenza di un rapporto societario non formalizzato, che è compatibile con l’accordo, iniziale o successivo, che la società si faccia carico dei debiti conseguenti all’attività comune in misura superiore rispetto agli utili, mentre le persone fisiche
simmetricamente assumano debiti in misura inferiore rispetto ai vantaggi patrimoniali ricevuti, ove l’abuso non sia stato programmato sin dal momento in cui i soggetti hanno iniziato ad interagire, ma sia solo il frutto della violazione dei principi di corretta gestione da parte di chi, tra gli originari partecipi del rapporto, era in condizione di farlo» (Cass. 74/2024, che ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva escluso la sussistenza di una supersocietà di fatto per la mancanza dell’elemento della affectio societatis , senza indagare se esso fosse carente sin dall’origine ovvero fosse successivamente venuto meno, in forza di una modifica ed evoluzione in concreto degli originari accordi).
5.3. -L’approdo è stato il consolidarsi de ll ‘orientamento in base al quale «l’abuso della società da parte di una o più persone, fisiche o giuridiche, che avendone il controllo la gestiscono nell’interesse proprio, benché costituisca in astratto un indizio contrario all’esistenza della cd. supersocietà di fatto e favorevole, piuttosto, alla individuazione di una holding di fatto, non esclude in concreto, di per sé, la sussistenza di un rapporto societario di fatto tra dette persone e la società abusata, ogni qualvolta all’iniziale affectio tra le prime e la seconda sia subentrato, per modifica o evoluzione degli originari accordi o per effetto di essi (art. 2497septies c.c.), l’esercizio di un abuso sulla società medesima, attraverso la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, da parte di chi, tra gli originari partecipi di un rapporto societario di fatto con la società abusata, era in condizione di farlo (cfr. artt. 2497-sexies e 2359 c.c.)» (Cass. 204/2024).
5.4. -Risulta allora evidente che, nel caso in esame, la negazione dell’esistenza della supersocietà di fatto sia stata impropriamente e apoditticamente incentrata sul l’assunto che la prima società dichiarata fallita fosse stata « dolosamente svuotata contro il suo interesse ed in pregiudizio dei suoi creditori e per favorire in definitiva gli interessi di chi, di fatto o di diritto, la controllava, sia stata cioè vittima piuttosto che complice di costoro », poiché anche un assetto distributivo non egualitario o una ripartizione disparitaria e meno formalizzata, ma reale, di
benefici e utili, non sono come detto incompatibili con la fattispecie societaria di cui a ll’art. 2247 c.c., e con la conseguente sussunzione della vicenda nel paradigma del l’art. 147, comma 5, l. fall.
5.5. -Detto altrimenti, ciò che conta, ai fini della sussistenza di un rapporto societario di fatto tra persone fisiche ed una o più società di capitali, è che vi sia esercizio in comune dell’attività economica, attraverso l’ effettivo conferimento di beni, apporti organizzativi, contratti ed impegni finalizzati ad una cogestione dei beni societari e alla ripartizione degli utili, a prescindere dal fatto che i ruoli decisori possano risultare cangianti e non perfettamente paritari, o che vi sia un qualche stravolgimento programmatico delle regole distributive societarie, capace di incidere sull’autonomia dei rispettivi enti coinvolti, di modo che taluni di essi vengano a farsi carico dei debiti conseguenti all’attività svolta in comune in misura superiore agli utili ad essi riservati o comunque ricevuti e, simmetricamente, altri abbiano assunto debiti in misura inferiore rispetto ai vantaggi patrimoniali ricevuti.
-La  sentenza  va  dunque  cassata  con  rinvio  affinché  la corte territoriale, in diversa  composizione,  svolga  una  nuova valutazione della vicenda alla luce dei principii sopra richiamati.
P.Q.M.
Accoglie  i  primi  due  motivi  di  ricorso,  dichiara  assorbito  il  terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione,  cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/02/2025.