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Supersocietà di fatto: la prova dell’affectio societatis

La Corte di Cassazione ha stabilito che un contributo di beni immateriali, essenziale per l’attività d’impresa e protratto per oltre un decennio senza corrispettivo, costituisce una prova presuntiva forte dell’esistenza di una ‘supersocietà di fatto’ e della volontà dei conferenti di essere soci (affectio societatis). La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva erroneamente qualificato tale apporto come ‘occasionale’, ritenendola illogica e contraddittoria. Il caso ridefinisce i criteri per l’estensione del fallimento ai soci di fatto.

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Supersocietà di fatto: il finanziamento duraturo prova la volontà di essere soci

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’analisi fondamentale sui criteri per l’identificazione di una supersocietà di fatto e, in particolare, sulla prova dell’ affectio societatis, ovvero l’intenzione di essere soci. La Suprema Corte ha chiarito che un sostegno finanziario indiretto, ma costante e vitale per l’impresa, non può essere liquidato come ‘occasionale’, ma rappresenta un solido indizio della volontà di partecipare al vincolo sociale.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla dichiarazione di fallimento di una società, esteso a una supersocietà di fatto che includeva un’altra azienda e due coniugi, amministratori di entrambe le entità. Il tribunale di primo grado aveva ritenuto i coniugi soci di fatto, e quindi personalmente responsabili, sulla base di una circostanza decisiva: per oltre un decennio, avevano messo a disposizione della società principale, a titolo completamente gratuito, un pacchetto di beni immateriali di loro proprietà (marchi, brevetti, know-how, software), indispensabili per l’attività produttiva.

La Decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte d’Appello, pur riconoscendo l’effettivo e prolungato apporto di beni, aveva riformato la decisione. Secondo i giudici d’appello, tale contributo non era sufficiente a dimostrare l’ affectio societatis. La loro tesi era che, essendo i coniugi già amministratori, il loro interesse al buon andamento dell’impresa giustificava l’apporto. Inoltre, avevano qualificato il contributo, sebbene durato dodici anni, come un ‘elemento occasionale’ ed esauritosi in un ‘unico atto’, insufficiente a provare una stabile volontà di compartecipazione.

Le motivazioni della Cassazione sulla supersocietà di fatto

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, smontando completamente il ragionamento della Corte d’Appello e definendolo viziato da un’evidente illogicità e contraddittorietà. La motivazione dei giudici di legittimità si concentra su due pilastri fondamentali.

L’errore nel qualificare il contributo come ‘occasionale’

Il punto centrale della censura della Cassazione risiede nella qualificazione dell’apporto. Un’azione che si protrae ininterrottamente per dodici anni, fornendo risorse essenziali per la sopravvivenza stessa dell’impresa, non può logicamente essere definita ‘occasionale’ o un ‘unico atto’. Al contrario, essa configura una ‘costante opera di sostegno’ che va ben oltre i normali doveri di un amministratore. Questo supporto sistematico e gratuito costituisce una forma di finanziamento indiretto che è un tipico comportamento da socio, il quale investe nel patrimonio della società per condividerne i rischi e i futuri utili.

La violazione delle regole sulla prova presuntiva

La Corte d’Appello ha violato le norme sulla prova presuntiva (art. 2727 e 2729 c.c.). Ha infatti ignorato un fatto noto e provato (l’apporto dodecennale e gratuito di beni essenziali) dal quale si sarebbe dovuto logicamente inferire il fatto ignoto (l’esistenza dell’ affectio societatis). Invece di valutare questo indizio grave, preciso e concordante, lo ha sminuito con una motivazione apparente e contraddittoria. La Cassazione ricorda che i rapporti di finanziamento sistematici, che si traducono in una costante opera di sostegno all’impresa, sono qualificabili come collaborazione di un socio e costituiscono, in via presuntiva, indici rivelatori di un vincolo societario.

Le conclusioni

La Suprema Corte, cassando la sentenza, ha rinviato la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame che dovrà attenersi a un principio chiaro: un finanziamento indiretto, attuato mediante la messa a disposizione gratuita e continuativa di beni indispensabili all’attività aziendale per un lungo arco temporale, non è un fatto occasionale, ma un potente indice presuntivo della volontà di agire come soci. Questa ordinanza rafforza la tutela dei creditori, rendendo più difficile per i soci di fatto sottrarsi alle proprie responsabilità patrimoniali attraverso schermi societari e argomentazioni formalistiche.

Come si può provare l’intenzione di essere socio (affectio societatis) in una supersocietà di fatto?
Secondo la sentenza, l’affectio societatis si può provare tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. Un finanziamento indiretto, sistematico e protratto nel tempo, come la fornitura gratuita di beni essenziali per l’attività d’impresa per oltre un decennio, costituisce un forte indice rivelatore di tale volontà.

Un apporto di beni che dura dodici anni può essere considerato ‘occasionale’?
No. La Corte di Cassazione ha giudicato illogica e contraddittoria la motivazione che definisce ‘occasionale’ un supporto continuo durato dodici anni. Un’azione così prolungata nel tempo dimostra una sistematica e costante opera di sostegno, che è l’opposto di un evento occasionale.

Il ruolo di amministratore giustifica la fornitura gratuita di beni personali all’azienda senza che ciò implichi una qualità di socio?
Non necessariamente. Sebbene un amministratore abbia interesse al successo dell’azienda, la Corte ha chiarito che un apporto di beni personali, essenziali e senza alcun corrispettivo per un periodo così lungo, eccede i normali doveri gestori e manifesta un intento di stabile compartecipazione tipico del socio, che finanzia l’impresa per condividerne le sorti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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