Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8360 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8360 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9286/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Perugia INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende,
-ricorrente-
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliato in Todi INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende,
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello Perugia n. 177/2024 depositata il 20/03/2024.
Letta la requisitoria scritta del sostituto procuratore dr. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ud.12/02/2025
CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 La Corte d’Appello di Perugia con l’impugnata sentenza rigettava il reclamo ex art. 18 l.fall., proposto da COGNOME NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Spoleto del 1/8/2023 che aveva dichiarato il fallimento della ‘supersocietà di fatto’ costituita tra la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, e COGNOME NOME COGNOME e di COGNOME NOME COGNOME in qualità di socio illimitatamente responsabile della società di fatto costituita tra la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e il medesimo COGNOME NOME COGNOME
1.1 La Corte distrettuale osservava: i) la sentenza di primo grado si basava sulla valutazione di nuovi elementi apportati dalla Curatela a sostegno dell ‘ istanza di estensione del fallimento, per cui era da escludersi la violazione del principio del ne bis in idem con la precedente sentenza della Corte d’Appello di Perugia del 22/5/2020, divenuta definitiva, che aveva escluso la qualità di socio di fatto di COGNOME NOME COGNOME; ii) la sussistenza della società di fatto tra RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e COGNOME NOME COGNOME poteva ritenersi provata da una serie di elementi (attività di collaborazione verso terzi, in locali riferibili alla società, messa a disposizione di un proprio terreno sul quale la società aveva operato un investimento, dazione gratuita di altro locale dove la società aveva collocato il proprio magazzino); iii) sussisteva lo stato di insolvenza della società di fatto identificata con l’insolvenza di RAGIONE_SOCIALE, già accertata con la sentenza di dichiarazione del suo fallimento.
2.COGNOME NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi; il Fallimento ha svolto difese con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del principio del ne bis in idem e delle disposizioni fallimentari in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. : sostiene il ricorrente che la Corte distrettuale ha errato nel non riconoscere valore di giudicato al precedente provvedimento della Corte d’Appello di Perugia che aveva revocato il fallimento in estensione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME non riconoscendo quest’ultimo come socio occulto della società fallita ma riconducendo lo svolgimento della sua collaborazione all’interno della stessa nei connotati della mera affectio familiaris.
2. Il secondo motivo deduce il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per avere la sentenza omesso l’ esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione alla sussistenza del vincolo sociale; in particolare il ricorrente, dopo aver diffusamente argomentato in diritto sulla configurabilità della supersocietà di fatto, afferma che la Corte perugina non avrebbe compiuto un rigoroso accertamento della presenza dei tre elementi essenziali per l’esistenza del rapporto societario in fatto (fondo comune, l’alea comune nei guadagni e nelle perdite e il sentimento di affezione alla società, la cd. affectio societatis).
Sempre secondo il ricorrente il legame di parentela esistente tra il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e la persona fisica dichiarata fallita per estensione avrebbe richiesto un’indagine approfondita e meticolosa, giacché, per ius receptum , nel caso in cui il rapporto sociale debba dedursi tra soggetti legati tra loro da vincoli di parentela e, quindi, da affectio familiaris, l’accertamento degli elementi individualizzanti e legittimanti il giudizio sulla società di fatto deve essere ancora più rigoroso che tra estranei, anche in considerazione del fatto che non vi era alcun elemento teso a dimostrare la partecipazione agli utili e/o alle perdite della pretesa condotta.
3 Il terzo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e s. c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
3.1 Il primo motivo è infondato.
3.2 Va precisato che, con sentenza n. 23/2019 pronunciata il 25/2/2019, il Tribunale di Spoleto aveva dichiarato il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e poi, su istanza del creditore RAGIONE_SOCIALE lo stesso organo giudicante con ulteriore sentenza n. 54/19 emessa in data 7/10/2019 dichiarava l ‘ estensione del predetto fallimento anche nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e dei soci illimitatamente responsabili COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME e NOME COGNOME poiché riteneva accertata la esistenza di una società di fatto tra i vari soggetti.
Successivamente, a seguito di reclamo, la Corte di Appello di Perugia, con sentenza n. 226 del 22/05/2020, revocava il fallimento in estensione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME. In particolare, non riconosceva NOME COGNOME come socio occulto della società fallita, riconducendo lo svolgimento della sua collaborazione all’interno della stessa nei connotati della mera affectio familiaris.
3.3 Veniva reiterata dalla Curatela la richiesta di fallimento NOME COGNOME essendo emersi ulteriori elementi e documenti che ne provavano la qualità di socio occulto.
3.4 Le pronunce dei giudici di merito qui divenute rilevanti si fondano, dunque, sulla valutazione di nuovi elementi addotti dalla Curatela a sostegno della successiva ed autonoma istanza di estensione del fallimento, per come rinvenuti attraverso e a seguito delle attività di verifica e accertamento autonomo della Curatela e della ricezione di cartelle di pagamento Tari.
3.5 Ciò premesso, va rilevato che questa Corte ha chiarito che il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento, anche in estensione ex art. 147 l.fall., è privo di attitudine al giudicato e non
è configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensì una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualità di soggetto fallibile in capo al debitore e allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che è possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione, su istanza di un diverso creditore, ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti, e anche di una prospettazione identica a quella respinta, su istanza dello stesso creditore (cfr. Cass. 7350/2023 e 16411/2018).
3.6 E’ stato altresì affermato che «il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento, al pari di quello che lo conferma in sede di reclamo, non sono idonei alla formazione di un giudicato, trattandosi di provvedimenti non definitivi, oltreché privi di natura decisoria su diritti soggettivi, sicché non possono essere invocati nell’ambito di un diverso giudizio promosso nei confronti del destinatario della medesima istanza» (cfr. Cass. 15806/2021 vedi anche Cass. 5069/2017, 20297/2015, 6683/2015, 19446/2011, 21834/2009, S.U. 26181/2006 e 15018/2001).
3.7 Alla luce dei suesposti principi, applicabili quanto alla portata e alla natura dell’accertamento espletato anche alla statuizione di rigetto del l’istanza di fallimento pronunciata con sentenza della Corte d’Appello , assunta ex art. 18 l.fall. come revoca della dichiarazione di fallimento pronunciata in primo grado, alcuna preclusione da giudicato può riconnettersi alla statuizione della Corte d’Appello di Perugia n. 226 del 22/05/2020 di revoca del fallimento in estensione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME; non rileva che tale sentenza non sia stata fatta oggetto di ricorso per Cassazione, assumendo decisiva ed autonoma rilevanza invero il successivo giudizio incardinato tramite un nuovo ricorso per estensione del fallimento diretto a far accertare la società di fatto sopra descritta e la partecipazione ad essa del prospettato socio illimitatamente responsabile ma sulla
base -per come ricostruito dal giudice di merito -di nuovi elementi di fatto sopravvenuti, da ciò conseguendo ogni improprietà del richiamo ai principi di un supposto giudicato ovvero del divieto di giudizio secondo il principio del ne bis in idem .
4 Il secondo motivo è inammissibile.
4.1 E’ ormai diritto vivente (formatosi a partire dal leading case di cui a Cass. n. 10507/2016; 12120/2016;1095/2016) la configurabilità della cd. supersocietà di fatto (così qualificandosi la società di fatto, o occulta, tra società di capitali o tra persone fisiche e società di capitali) anche a fini fallimentari; la giurisprudenza di legittimità, pertanto, ha dato ingresso ad un’interpretazione che non solo ha riconosciuto la possibilità che una società di capitali possa partecipare ad una società di fatto, apparente o occulta, anche per facta concludentia , ma consente di affermare che, una volta acquisito, secondo un procedimento definito “ascendente”, che la cooperazione fra un soggetto persona fisica ed una società a responsabilità limitata ha operato anche per facta concludentia sul piano societario, secondo i consolidati tratti dell’esercizio in comune dell’attività economica, dell’esistenza di fondi comuni (da apporti o attivi patrimoniali) e dell’effettiva partecipazione ai profitti e alle perdite, dunque un agire nell’interesse dei soci, nonché dell’assunzione ed esteriorizzazione del vincolo, anche verso i terzi, ne deriva – in via “discendente” dalla conseguente società di persone, di fatto e irregolare, la necessaria responsabilità personale dei suoi componenti, così instaurandosi il presupposto per le rispettive dichiarazioni di fallimento, diretta quanto al soggetto collettivo, e per ripercussione, tanto ai suoi soci, ai sensi della L.Fall., art. 147 (cfr. Cass. n. 31999/2022). La sussistenza di un tale fenomeno postula la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e di regola non contrario, all’interesse dei soci, dovendosi ritenere che la circostanza che le singole società
perseguano, invece, l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche solo di fatto, costituisca, piuttosto, una prova contraria all’esistenza della supersocietà di fatto. Simile circostanza può semmai costituire indice di esistenza di una “holding” di fatto nei cui confronti il curatore può agire in responsabilità (art. 2497 c.c.); la quale “holding” di fatto può essere dichiarata autonomamente fallita, ove ne sia accertata l’insolvenza a richiesta di uno dei soggetti legittimati (cfr. Cass. n. 7903/2020; 15346/2016; 5520/2017). La supersocietà è peraltro configurabile anche se l’interesse dei soci viene perseguit o accanto a quello della società da essi partecipata, intendendosi per ‘conformità’ una non assoluta contrarietà a quello delle società, ma ammettendosi -pure se in ipotetiche proporzioni non equivalenti -la concomitanza del perseguimento dei due interessi.
4.2 La C orte d’ A ppello si è senz’altro attenuta agli esposti principi.
4.3.La sentenza impugnata ha accertato l’esistenza della supersocietà di fatto tra RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME COGNOME sulla scorta di indici significativi quali: a) lo svolgimento da parte di COGNOME NOME COGNOME di attività di consegna e ricezione di prodotti nel magazzino, elemento ritenuto da sé solo non sufficiente a dimostrare la costituzione della società di fatto nel giudizio di revoca del fallimento, ma che può essere valorizzato unitamente ad altri indizi; b) la messa a disposizione, con comodato gratuito, di un locale di proprietà di COGNOME NOME COGNOME, di circa 30 mq, utilizzato per la vendita al minuto con registratore di cassa e scontrini fiscali dalla RAGIONE_SOCIALE; c) la messa a disposizione da parte di COGNOME NOME COGNOME di un terreno su cui la società RAGIONE_SOCIALE ha poi costruito il capannonemagazzino nel quale ha svolto l’attività; d) l’imputazione dell’imposta Tari su beni di proprietà del ricorrente a RAGIONE_SOCIALE.
4.4 Si tratta di un apprezzamento incensurabile in sede di legittimità salvo che per il vizio senz’altro deducibile (pur a fronte della medesima ricostruzione dei fatti da parte del tribunale e della corte d’appello, trattandosi di giudizio al quale non si applica l’art. 348ter , comma 5°, c.p.c.: Cass. n. 5520 del 2017) d’omesso esame da parte del giudice di merito di fatti decisivi risultanti dalla stessa sentenza o dagli atti del giudizio.
4.5 La censura del ricorrente pur formalmente sussunta nello schema del vizio di cui all’art. 360, comma 1 nr. 5 è, in concreto, volta ad una nuova valutazione dei fatti e delle risultanze d’ istruttoria, non ammissibile in questa sede.
5 Il terzo motivo è palesemente infondato avendo la corte d’appello correttamente applicato il principio di soccombenza.
6 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano complessivamente in € 10.200, di cui € 200 per esborsi, oltre Iva , Cap e rimborso forfettario al 15%; dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 12 febbraio