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Superminimo non assorbibile: quando è modificabile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18902/2024, ha stabilito che un ‘superminimo non assorbibile’ introdotto da un accordo collettivo aziendale per compensare il passaggio a un nuovo CCNL non costituisce un diritto acquisito del lavoratore. Pertanto, può essere legittimamente eliminato se l’accordo collettivo che lo prevedeva viene disdettato. La Corte ha distinto tra elementi retributivi di fonte collettiva e quelli pattuiti individualmente, chiarendo che i primi seguono le sorti della contrattazione che li ha generati e non si incorporano automaticamente nel contratto individuale.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Superminimo non assorbibile: la Cassazione ne chiarisce la modificabilità

Il superminimo non assorbibile rappresenta una delle voci più delicate e discusse della busta paga. È un extra concesso al lavoratore che, per sua natura, non dovrebbe essere eroso dagli aumenti contrattuali futuri. Ma cosa accade se questo elemento retributivo non nasce da un accordo individuale, ma da una contrattazione collettiva aziendale? Può il datore di lavoro, a distanza di anni, revocarlo? L’ordinanza n. 18902/2024 della Corte di Cassazione fornisce una risposta chiara, tracciando un confine netto tra diritti individuali e dinamiche della contrattazione collettiva.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice era dipendente di un’associazione datoriale. Anni prima, a seguito del passaggio da un contratto collettivo (CCNL) del settore artigiano a quello del terziario, per evitare una diminuzione della retribuzione, un accordo aziendale aveva introdotto un “superminimo non assorbibile”. Questo importo, pari alla differenza tra il vecchio e il nuovo trattamento, fu erogato a tutti i dipendenti per salvaguardare il loro livello retributivo.

Nel 2018, l’associazione datoriale comunicava la disdetta di tutti gli accordi integrativi aziendali, cessando, a partire dal 2020, l’erogazione del superminimo. La lavoratrice, ritenendo leso un suo diritto, otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme non corrisposte.

Mentre il Tribunale di primo grado le dava ragione, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, accogliendo le ragioni del datore di lavoro. La questione è quindi approdata in Cassazione.

La Decisione della Corte sul superminimo non assorbibile

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Il principio cardine affermato è che il superminimo, essendo stato istituito da una fonte collettiva (l’accordo aziendale) e non da una pattuizione individuale, non si era “incorporato” nel contratto di lavoro della dipendente come un diritto quesito e intangibile. Di conseguenza, la sua sorte era legata a quella dell’accordo che lo aveva generato: una volta venuto meno quest’ultimo, è venuta meno anche l’obbligazione di pagamento.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su alcuni pilastri argomentativi fondamentali.

Fonte Collettiva vs. Contratto Individuale

Il primo punto cruciale riguarda la distinzione tra le fonti del rapporto di lavoro. La retribuzione originaria della lavoratrice non derivava dal suo contratto individuale, ma dal CCNL allora vigente. Il riferimento a tale CCNL nella lettera di assunzione era un “rinvio formale”, non “materiale”. Ciò significa che il contratto individuale si limitava a indicare la disciplina collettiva applicabile, senza assorbirne le clausole in modo permanente. Di conseguenza, quella disciplina poteva essere modificata, anche in peggio (in peius), da successivi accordi collettivi.

La Natura Collettiva del Superminimo non assorbibile

Un elemento decisivo è stata la natura del superminimo in questione. Non si trattava di un compenso ad personam, riconosciuto alla lavoratrice per specifiche qualità professionali o mansioni particolari. Al contrario, era una misura generalizzata, concessa a tutti i dipendenti per gestire il passaggio tra due CCNL. Questa sua origine e finalità collettiva lo ha reso un istituto della contrattazione aziendale, e come tale, modificabile e revocabile attraverso le stesse dinamiche sindacali.

L’Inefficacia del Principio di Irriducibilità della Retribuzione

La lavoratrice invocava il principio di irriducibilità della retribuzione. La Corte ha chiarito che questo principio opera diversamente a seconda della fonte della voce retributiva. Se un superminimo è pattuito individualmente, diventa parte del patrimonio del lavoratore. Se, come in questo caso, deriva da un contratto collettivo, la sua esistenza è condizionata alla vigenza di quel contratto. La successione di contratti collettivi può legittimamente modificare trattamenti economici, purché vengano rispettati i minimi costituzionali.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 18902/2024 della Corte di Cassazione offre un importante insegnamento: le voci retributive che trovano la loro esclusiva fonte in un contratto collettivo, sia esso nazionale o aziendale, non si trasformano automaticamente in diritti individuali intangibili. Esse vivono e muoiono con il contratto che le ha previste. Per i datori di lavoro, ciò conferma la possibilità di rinegoziare o disdettare accordi integrativi, con effetti diretti sulla struttura retributiva. Per i lavoratori, sottolinea l’importanza di comprendere la fonte di ogni elemento della propria busta paga: solo le pattuizioni individuali, o quelle collettive specificamente destinate a compensare meriti personali, possono considerarsi al riparo dalle mutevoli dinamiche della contrattazione collettiva.

Un “superminimo non assorbibile” previsto da un accordo aziendale può essere eliminato?
Sì, secondo la sentenza in esame, se l’accordo aziendale che lo ha introdotto viene legittimamente disdettato o sostituito. La Corte ha chiarito che tale voce retributiva, avendo fonte collettiva e finalità generalizzata, non si incorpora nel contratto individuale come diritto quesito e ne segue le sorti.

Cosa significa che il rinvio al contratto collettivo è “formale” e non “materiale”?
Significa che il contratto di lavoro individuale si limita a indicare quale contratto collettivo regola il rapporto in un dato momento, senza “cristallizzare” le sue condizioni economiche. Pertanto, se il contratto collettivo di riferimento cambia o cessa di esistere, le condizioni applicate al lavoratore possono legittimamente variare di conseguenza.

In quali casi un superminimo diventa un diritto intoccabile per il lavoratore?
Un superminimo si incorpora nel contratto individuale e diventa insensibile alle modifiche della contrattazione collettiva solo se è destinato a compensare determinate qualità professionali del singolo dipendente, specifiche mansioni o particolari modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Se invece è concesso in modo generalizzato a tutti i lavoratori, come nel caso di specie, mantiene la sua natura di istituto di fonte collettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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