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Superminimo non assorbibile: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha stabilito che un datore di lavoro può legittimamente interrompere l’erogazione di un superminimo non assorbibile se questo deriva da un accordo collettivo che è stato successivamente disdettato. La tutela prevista in caso di trasferimento d’azienda non “congela” in eterno le condizioni retributive di fonte collettiva, che restano soggette alle dinamiche della contrattazione. Nel caso di specie, la riduzione della retribuzione è avvenuta oltre vent’anni dopo il trasferimento d’azienda, a seguito della legittima disdetta dell’accordo integrativo che prevedeva il superminimo, e non a causa del trasferimento stesso.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Superminimo non assorbibile: si può eliminare dopo un trasferimento d’azienda?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un tema cruciale per i diritti dei lavoratori: la sorte del superminimo non assorbibile in seguito a un trasferimento d’azienda. Questa voce retributiva, spesso introdotta per salvaguardare i livelli salariali preesistenti, può essere eliminata se il contratto collettivo che la prevede viene meno? La risposta della Suprema Corte fornisce chiarimenti fondamentali sulla portata della tutela garantita dall’art. 2112 del Codice Civile.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal trasferimento di un ramo d’azienda da un’organizzazione sindacale a una società di servizi. Le lavoratrici trasferite, per non subire una perdita economica a causa dell’applicazione di un contratto collettivo meno favorevole, si videro riconoscere un superminimo non assorbibile pari alla differenza retributiva. Questo trattamento fu formalizzato prima in un accordo di salvaguardia e poi in un contratto integrativo aziendale.

Per oltre vent’anni, tale emolumento è stato regolarmente corrisposto. Tuttavia, nel 2018, la società datrice di lavoro ha comunicato alle organizzazioni sindacali la formale disdetta di tutti gli accordi integrativi. A seguito di ciò, a partire da maggio 2020, ha cessato l’erogazione del superminimo. Le lavoratrici hanno agito in giudizio per ottenere il pagamento, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’azienda. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e il superminimo non assorbibile

Le lavoratrici hanno basato il loro ricorso su una presunta violazione dell’art. 2112 c.c., che disciplina il trasferimento d’azienda, e del principio di irriducibilità della retribuzione. A loro avviso, il trattamento economico più favorevole doveva essere garantito in modo permanente, senza possibilità di peggioramento (reformatio in peius), anche a fronte di un cambio di contratto collettivo.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito e consolidando un importante orientamento giurisprudenziale.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito un punto fondamentale: la tutela prevista dall’art. 2112 c.c. e dalla corrispondente direttiva europea (2001/23/CE) mira a impedire che i lavoratori subiscano un peggioramento delle loro condizioni “per il solo fatto del trasferimento”. Questa garanzia opera al momento della cessione, assicurando la continuità del rapporto di lavoro e delle condizioni pattuite.

Tuttavia, questa protezione non “congela” per sempre le condizioni derivanti da fonti collettive. La retribuzione e le altre condizioni di lavoro possono legittimamente evolvere secondo le dinamiche della contrattazione collettiva applicata dal nuovo datore di lavoro. Il superminimo non assorbibile controverso non era un elemento pattuito a livello individuale per le specifiche qualità professionali delle lavoratrici, ma era una misura di natura collettiva, nata da un accordo sindacale per gestire una fase di transizione.

Di conseguenza, essendo la sua fonte un accordo collettivo, la sua esistenza è rimasta legata alla vigenza di tale accordo. Una volta che l’accordo integrativo è stato legittimamente disdettato dalla società, è venuta meno anche la base giuridica per l’erogazione del superminimo. La riduzione della retribuzione, avvenuta a distanza di oltre vent’anni, non è stata una conseguenza diretta del trasferimento d’azienda, ma l’effetto del successivo e legittimo esercizio del diritto di recesso da un contratto collettivo.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto chiaro: gli elementi retributivi che hanno origine nella contrattazione collettiva, anche se istituiti per salvaguardare i salari in un contesto di trasferimento d’azienda, non si incorporano definitivamente nel contratto individuale come diritti quesiti intangibili. Essi seguono le sorti del contratto collettivo che li ha generati. Se quest’ultimo scade o viene validamente disdettato, anche il diritto a percepire tali emolumenti può cessare, senza che ciò costituisca una violazione delle tutele sul trasferimento d’azienda o sul principio di irriducibilità della retribuzione.

Dopo un trasferimento d’azienda, il nuovo datore di lavoro può eliminare un ‘superminimo non assorbibile’?
Sì, può farlo se il superminimo è stato istituito da un contratto collettivo (ad esempio, un accordo integrativo aziendale) e tale contratto viene successivamente e legittimamente disdettato. La tutela per i lavoratori nel trasferimento d’azienda non rende le condizioni di fonte collettiva immutabili per sempre.

Un trattamento economico previsto da un accordo collettivo diventa automaticamente parte del contratto individuale del lavoratore?
No. Secondo la Corte, una voce retributiva di fonte collettiva, come il superminimo in questo caso, rimane esterna al contratto individuale e la sua esistenza dipende dalla vigenza dell’accordo che l’ha introdotta. Diventerebbe parte del contratto individuale solo se fosse stata pattuita per compensare specifiche qualità professionali del singolo dipendente.

La normativa europea sul trasferimento d’azienda garantisce il mantenimento delle condizioni di lavoro a tempo indeterminato?
No. La normativa europea e la sua interpretazione giurisprudenziale stabiliscono che le condizioni di lavoro del cedente devono essere mantenute fino alla scadenza o risoluzione del contratto collettivo originario, o fino all’applicazione di un nuovo contratto collettivo da parte del nuovo datore di lavoro. Non è prevista una garanzia perpetua.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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