Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13714 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5837-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 593/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/11/2022 R.G.N. 418/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 5837/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 07/11/2024
CC
RILEVATO CHE
1.- la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, ha accolto l’appello di Confartigianato Imprese Padova ed ha revocato il decreto ingiuntivo concesso a COGNOME NOME nei confronti di Confartigianato Imprese Padova, aventi ad oggetto il pagamento di un emolumento denominato ‘supermin imo non assorbibile’ non più corrisposto dal mese di maggio 2020 a seguito della disdetta dell’accordo collettivo di salvaguardia del 28.4.1997 e del contratto collettivo integrativo aziendale del 4.3.2010, i quali prevedevano tale emolumento;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con controricorso;
soccombente con tre motivi, ai quali ha resistito l’intimata entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente:
1.1. il primo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art.2077, co. 2, c.c., nonché dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ammesso la possibilità che, in sede di successione di contratti collettivi di primo livello, sia ammissibile sia ammissibile la riduzione dei livelli retributivi in contrasto con il principio di irriducibilità della retribuzione’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘In subordine: violazione e falsa applicazione dell’art. 2077, co. 2 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello escluso che, in occasione della sostituzione di un contratto collettivo con altro deteriore, le differenze retributive restino comunque a vantaggio del lavoratore quale superminimo destinato ad essere
assorbito dalle future modifiche del trattamento previsto dai contratti collettivi’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘In ulteriore subordine: Travisamento della prova, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., e conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1362, co. 2, c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per aver e la Corte d’appello proceduto all’esegesi dell’Accordo di salvaguardia del 28.4.1997 sulla base di elementi bensì riconducibili ai principi ermeneutici codicistici (criterio dell’interpretazione complessiva, criterio della condotta delle parti), sulla base però di un apprezzamento travisato delle risultanze di causa, tale da ridondare in violazione di quei medesimi criteri’;
i primi due motivi di ricorso non possono trovare accoglimento in ragione delle motivazioni già espresse da questa Corte nella medesima vicenda su motivi sovrapponibili a quelli articolati nel presente giudizio (cfr. , Cass. n. 18902 e 18913 del 2024, ma vedi pure, in connessione, Cass. n. 18924 del 2024, Cass. n. 18936 del 2024, Cass. n. 18941 del 2024) ; nonostante le osservazioni contenute nella memoria dei ricorrenti, attentamente esaminate, il Collegio non riscontra elementi decisivi per mutare il richiamato orientamento (cfr. art. 360 bis, comma 1, n. 1, c.p.c.) che viene quindi di seguito riportato anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.: ‘Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2077, co. 2, e 2103 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto possibile che, in sede di successione di contratti collettivi di primo livello, sia ridotto il livello retributivo, in contrasto con il principio di irriducibilità della retribuzione. Il motivo è infondato. Il presupposto logico-giuridico da cui parte la tesi della ricorrente è che il livello retributivo da lei raggiunto fino al
31/12/1996 facesse parte del suo patrimonio e quindi giammai avrebbe potuto essere ridotto. Il presupposto è errato: quel trattamento retributivo, fino al 31/12/1996, non era determinato dal contratto individuale, ma pur sempre da un contratto collettivo ( all’epoca il contratto collettivo UPA), che come tale resta ‘fonte’ esterna al rapporto individuale di lavoro, sicché le sue clausole ben potevano essere modificate anche in peius da successivi contratti collettivi (nella specie dal CCNL terziario, che il datore di lavoro ha deciso di applicare a decorrere dall’01/01/1997 sulla base di una scelta non unilaterale, bensì concordata con i rappresentanti dei lavoratori). Il rinvio -contenuto nella lettera di assunzione -al ‘vigente contratto di lavoro interno’, ossia al contratto collettivo UPA, non era ‘materiale’, bensì ‘formale’, come normalmente accade, ossia era destinato soltanto a individuare la ‘fonte’ collettiva regolatrice del rapporto di lavoro. Dunque con quella clausola non veniva recepito e quindi incorporato nel contratto individuale il trattamento economico previsto dal contratto collettivo UPA, restando questo pur sempre la ‘fonte’ esterna regolatrice di quel trattamento, come tale suscettibile di essere modificata nel tempo, secondo le ordinarie dinamiche sindacali (Cass. n. 5285/1989). Né sono stati indicati trattamenti retributivi concreti che possano consentire la verifica del rispetto del principio di irriducibilità della retribuzione (aspetto considerato da Cass. ord. n. 25423/2023). 2.- Con il secondo motivo, proposto in subordine ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2077, co. 2, e 2103 c.c. per avere la Corte territoriale escluso che in occasione della sostituzione di un contratto collettivo con altro deteriore, le differenze retributive restino comunque a vantaggio del lavoratore quale superminimo destinato ad essere assorbito dalle future modifiche del
trattamento previsto dai contratti collettivi successivi. Il motivo è infondato. La clausola del superminimo può ritenersi incorporata nel contratto individuale di lavoro, e come tale insensibile ai successivi mutamenti del contratto collettivo, solo se destinata a compensare determinate qualità professionali del dipendente o determinate mansioni oppure specifiche modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. In mancanza, esso resta di ‘fonte’ collettiva e, come tale, sempre modificabile anche in peius da parte di successivi contratti collettivi. Nella specie non è stato dedotto né vi è alcun elemento che possa far ritenere che quel superminimo non assorbibile fosse riconosciuto alla COGNOME per una delle specifiche ragioni sopra dette. Anzi, risulta pacificamente riconosciuto a tutti i dipendenti, sia a quelli rimasti in UPA, sia a quelli transitati in RAGIONE_SOCIALE ‘
3. il terzo motivo è invece inammissibile;
3.1. viene evocato il ‘travisamento della prova’ e il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte che ha chiarito: «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024); concorso dei presupposti di legge che nella specie non
ricorre, sia per quanto riguarda il vizio di cui al n. 4 dell’articolo 360 c.p.c., atteso che la motivazione impugnata certamente supera sul punto la soglia del cd. ‘minimum costituzionale’, sia in ordine al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., denun ciato nella specie senza il rispetto degli enunciati prescritti da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
evidente che, se il motivo di ricorso per cassazione viene proposto con la congiunta evocazione del vizio descritto sia dal n. 5 che dal n. 3 dell’art. 360 c.p.c., sull’assunto che i ‘principi ermeneutici codicistici’ applicati dalla Corte territoriale nel la ‘esegesi dell’Accordo di salvaguardia del 28.4.1997’ si basano su di ‘un apprezzamento travisato delle risultanze di causa’, una volta dichiarata inammissibile tale ultima doglianza, il fondamento dell’intero motivo viene meno;
3.2. in ogni caso, circa l’eccepita violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici va ribadito, a conferma dei precedenti citati in premessa, che si sollecita solamente una diversa interpretazione dell’accordo del 28/4/1997, attività, come noto, in terdetta in sede di legittimità, atteso che l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; da ultimo, conf. Cass. n. 22318 del 2023); per risalente insegnamento, tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003); inoltre, sia la denuncia della
violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia di vizi motivazionali esigono una specifica indicazione – ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000);
3.3. nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole in odine all’Accordo di Salvaguardia del 28/4/1997; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 del 2006);
conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese liquidate come da dispositivo secondo il regime della soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ult eriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 7 novembre 2024.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME