Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22980 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22980 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24851/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COSENZA , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
Oggetto: Servizio sanitario nazionale -Strutture accreditate – Art. 8, D. Lgs. n. 502/1992 – Credito per le prestazioni erogate nell’ambito del SSN – Superamento del tetto massimo di spesa -Azione ex art. 2041 c.c.
R.G.N. 24851/2021
Ud. 24/04/2025 CC
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 626/2021 depositata il 06/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 24/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 626/2021, pubblicata in data 6 maggio 2021, la Corte d’appello di Catanzaro, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE COSENZA, ha respinto il gravame proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza del Tribunale di Cosenza in data 16 novembre 2018.
CENTRO RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva proposto ricorso ex art. 702bis c.p.c., premettendo di avere reso nell’anno 2017 prestazioni sanitarie in favore del servizio sanitario regionale sulla base di un contratto stipulato con RAGIONE_SOCIALE PROVINCIALE DI COSENZA per l’anno 2016 in regime di prorogatio , ed aveva chiesto la condanna della medesima AZIENDA al pagamento della somma di € 40.854,86, pari alla differenza tra il budget concordato per il 2016 (€ 156.808,66) e quanto percepito (€ 115.953,80 ) nonché al pagamento a titolo di indebito arricchimento dell’ ulteriore importo di € 10.972,24 per le prestazioni rese extra budget 2016.
Costituitasi AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA, il Tribunale di Catanzaro aveva respinto la domanda.
La Corte d’appello di Catanzaro ha disatteso il gravame della RAGIONE_SOCIALE seppur con motivazione in parte non sovrapponibile a quella adottata dal giudice di prime cure.
La Corte territoriale ha evidenziato, in premessa, che non era in contestazione una duplice circostanza, e cioè, da un lato, che le parti per l’anno 2017 non avevano sottoscritto il contratto previsto dall’art. 8, D. Lgs. n. 502/1992 e, dall’altro lato, che il tetto di spesa per l’anno 2017 era stato ridotto con il decreto del Commissario ad acta del 16 ottobre 2017.
La Corte ha poi evidenziato che doveva ritenersi non contestata una circostanza dedotta da AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DI COSENZA, e cioè che la stessa AZIENDA aveva convocato il CENTRO RAGIONE_SOCIALE per la stipula del contratto del 2017, senza esito favorevole.
Sulla base di tali premesse, la Corte territoriale ha ritenuto -in parziale difformità dalla decisione di prime cure -che assumessero rilevanza risolutiva le clausole del contratto per l’anno 2016, ed in particolare gli artt. 9.2. e 14.1.
Sulla base della prima clausola -la quale stabiliva che “le condizioni oggi convenute con il presente contratto rimangono provvisoriamente confermate” fino alla stipula dell’eventuale successivo contratto relativo all’anno 2017 -la Corte territoriale ha concluso che il richiamo doveva essere riferito ‘alle “condizioni” del sinallagma contrattuale e quindi, in via prioritaria, al volume massimo delle prestazioni erogabili dalla struttura privata per conto del SSR’ .
Sulla base della seconda clausola -la quale prevedeva l’accettazione incondizionata da parte del contraente del contenuto dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa -la Corte d’appello, dopo avere osservato che tale determinazione interviene ‘di prassi nel corso dell’ anno di riferimento’ , ha concluso che, una volta stabiliti i nuovi tetti di spesa per l’anno 2017 con il decreto del Commissario ad acta dell’ottobre 2017, la struttura privata non poteva vantare pretese alla
remunerazione delle prestazioni sulla base del precedente e più favorevole tetto di spesa del 2016, essendo quest’ultimo ‘applicabile in regime di prorogatio al 2017, ma solo in via del tutto provvisoria’ .
A tal fine, la Corte d’appello ha osservato che, pur essendo avvenuta la determinazione del tetto di spesa per l’anno 2017 solo nel mese di ottobre 2017, l’appellante -che proprio in virtù della clausola n. 14.1 aveva accettato espressamente, completamente e incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa – da quella data essa non avrebbe più potuto fare alcun affidamento sul budget 2016, ma avrebbe dovuto programmare la produzione tenendo conto del nuovo e più ridotto tetto di spesa stabilito per l’anno 2017, essendo i tetti di spesa inderogabili, in quanto miranti ‘all ‘ineludibile esigenza di razionalizzare la spesa pubblica e di garantire l’ equilibrio finanziario’ .
La Corte ha escluso che assumesse rilevanza il fatto che la determinazione del nuovo tetto di spesa fosse intervenuta in un momento in cui la struttura aveva già raggiunto il budget del 2016, perché in tal modo si sarebbe correlato il diritto alla remunerazione delle prestazioni già erogate ad un tetto di spesa non più efficace, in quanto superato da quello fissato per l’anno in corso , ‘così consentendo alle strutture private di eludere facilmente la finalità dell’ intera normativa’ ed ha evidenziato, ulteriormente, che l’accettazione dei tetti di spesa anche con effetti retroattivi comporta l’assunzione del rischio di erogare prestazioni eccedenti il nuovo tetto di spesa anche se rientranti nel tetto dello anno precedente.
Quanto alla domanda ex art. 2041 c.c., la Corte territoriale ha escluso l’operatività della previsione, negando che essa sia applicabile quando l’arricchimento non sia voluto o consapevole ed osservando che nella specie la comunicazione da parte della AZIENDA RAGIONE_SOCIALE
VINCIALE DI COSENZA del nuovo tetto di spesa costituiva manifestazione della contrarietà della stessa AZIENDA ad una spesa superiore, ovvero a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel predetto limite.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DI COSENZA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce , ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti – violazione e/o falsa applicazione delle norme contrattuali sottoscritte’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe omesso:
-di considerare che il contratto 2017 non era stato concluso e che quindi non era stato fissato un limite di spesa, con la conseguenza che sussisterebbe un errore di percezione, avendo la Corte territoriale considerato come avvenuta la fissazione dei tetti di spesa singoli mediante stipula di un contratto invece non concluso;
-di esaminare il contenuto del decreto del Commissario ad acta 128/2017, atto che non conterrebbe alcuna indicazione del tetto di spesa da inserire in una nuova proposta contrattuale, ma una mera indicazione che demanda ad una successiva fase,
non realizzata, la fissazione dei tetti individuali mediante le istruttorie e valutazioni comparative;
-di valutare il fatto che non vi era stato alcun rifiuto della ricorrente alla stipula di un nuovo contratto, essendo semmai onere dell’AZIENDA quello di attivarsi per la conclusione di un nuovo contratto.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce ‘Violazione dell ‘art, 2041 c.c. e segg. e delle norme poste a presidio della tutela del soggetto impoverito dell’indebito arricchimento della P.A. Omesso esame di un fatte decisivo’.
Il ricorso, richiamati in principi enunciati da questa Corte in relazione all’applicazione dell’art. 2041 c.c. alla P.A., deduce che:
-ai fini della qualificazione delle eventuali prestazioni rese in esubero rispetto al limite di spesa come ‘imposte’ non era sufficiente la determinazione del tetto di spesa, essendo necessario che lo stesso venisse anche comunicato all’erogatore, comunicazione che nella specie non sarebbe avvenuta;
-il Decreto del Commissario ad acta DCA 128/2017 non determinava alcun limite di spesa per la struttura ed il DCA n. 128/ 2017 non era stato comunicato alla ricorrente;
-la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ricondotto alla stipula del contratto 2016 una manifestazione implicita di volontà della controricorrente nel senso di non accettare una spesa superiore anche per l’anno 2017 ove le pattuizioni fossero prorogate anche per tale anno;
-anche ipotizzando che la clausola del contratto del 2016 con il tetto di spesa fosse vigente fino alla conclusione di un nuovo contratto per l’anno 2017, la Corte d’Appello avrebbe comun-
que omesso di considerare che nel corso dell’anno 2017 non era stato stipulato alcun ulteriore accordo.
I motivi di ricorso sono, nel complesso, inammissibili.
2.1. Quanto al primo motivo, va in primo luogo evidenziata l’inammissibilità -per carenza di specificità -della doglianza riferita alla ‘violazione e/o falsa applicazione delle norme contrattuali sottoscritte’ .
Ciò di cui la ricorrente -in modo piuttosto generico – sembra volersi dolere è una non corretta interpretazione delle previsioni contrattuali che sono state richiamate nella decisione impugnata.
Se, tuttavia, questa era la doglianza che la ricorrente intendeva formulare, è inevitabile concludere nel senso della radicale non pertinenza della censura stessa, in quanto ciò che la ricorrente avrebbe dovuto dedurre sarebbe stata, semmai, una violazione delle regole di ermeneutica del contratto.
Censura, questa che, peraltro, avrebbe imposto alla ricorrente di procedere ad individuare specificamente le regole legali di interpretazione dalle quali il giudice di merito si era venuto a discostare, non limitandosi a contrapporre la propria interpretazione a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/ 2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), in quanto si deve rammentare che l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
Quanto alla censura ex art. 360, n. 5), c.p.c., appare opportuna un’analisi distinta dei molteplici profili che essa deduce, anticipando
tuttavia sin d’ora che non uno di tali profili appare concretamente riconducibile all’art. 360, n. 5), c.p.c., e che il motivo di ricorso, nel concreto, viene a tradursi in un larvato ma inammissibile sindacato del merito della decisione, mirando, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito e risultando, conseguentemente, inammissibile (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017).
I) La circostanza della mancata conclusione del contratto per l’anno 2017, in primo luogo, ben lungi dal non essere stata presa in considerazione dalla decisione impugnata -come deduce la ricorrente -costituisce premessa iniziale della motivazione della Corte territoriale.
Ciò di cui la ricorrente viene a dolersi, a questo punto, non è l’omessa considerazione del fatto storico da parte della Corte territoriale ma il ben diverso profilo delle conclusioni che, da tale circostanza, la Corte d’appello ha ritenuto di poter o non poter desumere.
Ferma l’estraneità di tale ultimo profilo rispetto all’art. 360, n. 5), c.p.c., si deve osservare ulteriormente che resta non adeguatamente impugnata -se non con considerazioni che non evidenziano, come visto in precedenza, la fallacia del percorso ermeneutico della Corte -la ratio per cui il nuovo tetto di spesa stabilito per l’anno 2017 si applicava per relationem al rapporto in prorogatio per effetto delle clausole del contratto 2016 che impegnavano la parte a rispettare i tetti di spesa progressivamente determinati.
II) Le deduzioni riferite alla valutazione del contenuto effettivo del decreto del Commissario ad acta 128/2017 da parte della Corte territoriale si collocano, evidentemente, al di fuori dell’ipotesi di omesso esame circa un fatto storico, sollevando, semmai, un problema di lettura ed interpretazione del decreto medesimo.
III) Ad identiche conclusioni si deve pervenire con riferimento alle deduzioni concernenti l’assenza di prova del rifiuto dell’odierna ricorrente a concludere il contratto per l’anno 2017, in quanto ciò che il motivo viene a dedurre non è l’omesso esame circa un fatto decisivo, ma un vero e proprio errore di governo delle prove da parte della Corte territoriale.
Tuttavia, tale ipotetico vizio -l’aver basato la decisione su prove asseritamente inesistenti -avrebbe dovuto essere dedotto invocando la ben diversa ipotesi di cui agli artt. 360, n. 4), e 115 c.p.c., ove la circostanza avesse costituito punto controverso, oppure, in assenza di tale ultima condizione, con il rimedio di cui all’art. 395, n. 4), c.p.c. (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 3 Sentenza n. 37382 del 21/12/2022; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 37382 del 21/12/2022).
In conclusione, quindi, si deve constatare che le circostanze di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame -al di là della possibilità di qualificare effettivamente le medesime come ‘fatti’ ex art. 360, n. 5), c.p.c. -risultano essere state tutte valutate dalla Corte territoriale ed esulano, conseguentemente, dall’ambito dell’ipotesi invocata dalla parte, con conseguente inammissibilità del mezzo.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è, parimenti, inammissibile, ex art. 360bis , n. 1), c.p.c., essendosi la decisione della Corte territoriale conformata alla costante giurisprudenza di questa Corte sia in tema di presupposti di applicazione dell’art. 2041 c.c. nei confronti della P.A., (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10798 del 26/05/2015; Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 14735 del 27/05/2024; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 11209 del 24/04/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 15937 del 27/06/2017) sia in tema di esclusione dell’applicabilità dell’art. 2041 c.c. in virtù del carattere ex se imposto dell’arricchimento che la P.A. consegue in virtù
dell’esecuzione delle prestazioni ” extra budget ” (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 25514 del 24/09/2024; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13884 del 06/07/2020, nonché Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14576 del 2024), senza che le argomentazioni svolte nel ricorso -le quali risultano ampiamente versate in fatto e non valgono ad eludere la circostanza che a venire in rilievo erano prestazioni extra budget rispetto allo stesso contratto 2016 -offrano elementi per confermare o mutare detto orientamento.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di c assazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima