Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2127 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2127 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20643 – 2018 proposto da:
COGNOME NOME E COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale sono rappresentati e difesi con gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, titolare dell’omonima impresa individuale
– intimato – avverso la sentenza n. 896/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, pubblicata il 20/6/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/6/2023 dal consigliere COGNOME;
letta la memoria dei ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 26/10/06, RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME, titolare dell’impresa individuale omonima e, premesso che gli aveva commissionato la fornitura e la posa in opera di un soppalco in metallo per il proprio show room in cui esercitava l’attività di concessionaria di motociclette e che nella esecuzione del lavoro egli aveva provocato alcuni danni, oltre ad aver consegnato in ritardo un’opera viziata, chiese la riduzione del prezzo ex art. 1668 cod. civ. nella misura pari a quella già corrisposta e il risarcimento dei danni.
Per quel che qui ancora rileva, COGNOME chiese in riconvenzionale il pagamento del prezzo residuo e di essere autorizzato a chiamare in manleva la subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE e la società di assicurazioni RAGIONE_SOCIALE
Il giudizio fu interrotto per dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE e riassunto dagli attuali ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di soci -e il secondo anche in qualità di liquidatore -della RAGIONE_SOCIALE che, nelle more, era stata prima posta in liquidazione (in data 4/12/06) e poi cancellata dal Registro delle imprese in data 12/10/09.
I soci ricorrenti in riassunzione rappresentarono di essere legittimati perché, come risultava dal verbale di assemblea ordinaria del 27/4/09, avevano dichiarato di voler proseguire personalmente il giudizio pendente, accollandosi il debito verso COGNOME nei limiti di Euro 5.280,00.
Con sentenza n. 1698/2014, il Tribunale di Brescia, ritenuta la legittimazione attiva di NOME COGNOME soltanto quale socio, condannò COGNOME al pagamento, in favore e in solido di entrambi i soci, di Euro
5.427,14, oltre interessi, a titolo risarcitorio, rigettando per il resto la domanda da loro riassunta; condannò quindi gli stessi al pagamento, in favore di COGNOME, di Euro 5.280,00 oltre interessi; dichiarò inammissibile (così in sentenza) la domanda di COGNOME nei confronti della fallita RAGIONE_SOCIALE, rigettandola nei confronti della compagnia assicuratrice e regolando le spese.
Avverso questa sentenza proposero appello NOME COGNOME e NOME COGNOME, lamentando l’erronea valutazione delle prove raccolte, della quantificazione del danno e della regolamentazione delle spese.
COGNOME propose appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza quanto alla sua condanna al pagamento del costo di sostituzione del pavimento perché quest’opera era stata già preventivata dalla committente, a prescindere dagli asseriti danni conseguenti alla realizzazione del soppalco.
Con sentenza n. 896/2017, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato entrambi gli appelli, compensando le spese del grado.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidandolo a tre motivi. NOME COGNOME non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. per avere la Corte ritenuto di poter esaminare d’ufficio la questione della legittimazione attiva dei ricorrenti, benché il Tribunale, senza alcuna avversa impugnazione sul punto, avesse statuito che non potesse ritenersi che la cancellazione della società dal registro delle imprese equivalesse alla manifestazione tacita della volontà di rinunciare al credito risarcitorio per cui è causa, perché nella delibera prodotta dai soci era stata esplicitata la loro volontà di proseguire il giudizio nei
confronti di COGNOME, con conseguente trasmissione successoria della relativa pretesa.
1.1 Il motivo è fondato.
In diritto, deve premettersi che per principio ormai consolidato dopo la pronuncia resa a SU da questa Corte, n. 6070 del 12/03/2013, «qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato».
Come chiaramente esposto nella suindicata sentenza, questo principio consegue al fatto che:
la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese, che nel precedente regime normativo si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente, qualora non tutti i rapporti giuridici ad esso facenti capo fossero stati definiti, è ora invece da considerarsi senz’altro produttiva di quell’effetto estintivo, destinato ad operare in coincidenza con la cancellazione;
come, nel caso della persona fisica, la scomparsa del debitore non estingue il debito, ma innesca un meccanismo successorio nell’ambito
del quale le ragioni del creditore sono destinate ad essere variamente contemperate con quelle degli eredi, così, quando il debitore è un ente collettivo, non v’è ragione per ritenere che la sua estinzione (alla quale, a differenza della morte della persona fisica, concorre di regola la sua stessa volontà) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis , che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate , erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali;
il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo;
accertato il subingresso dei soci nei debiti sociali, anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale viene a determinarsi un analogo meccanismo successorio; se l’esistenza dell’ente collettivo e l’autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate , di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti unificati dalla destinazione impressa loro dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il substrato personale; il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, cessata la società, s’instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pertengono, un
regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione;
dei rapporti attivi, in forza dei quali prima della cancellazione la società avrebbe potuto vantare diritti, possono agevolmente essere ritenute come rinunciate le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione;
ad analoghe conclusioni può logicamente pervenirsi nel caso in cui un diritto di credito, oltre che magari controverso, non sia neppure liquido, di modo che solo un’attività ulteriore da parte del liquidatore per lo più consistente nell’esercizio o nella coltivazione di un’apposita azione giudiziaria – avrebbe potuto condurre a renderlo liquido, in vista del riparto tra i soci dopo il soddisfacimento dei debiti sociali;
qualora la cancellazione intervenga a causa già iniziata, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 cod. proc. civ., ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo; tale disposizione contempla, infatti, non soltanto la «morte» (come tale riferibile unicamente alle persone fisiche), ma altresì qualsiasi «altra causa» per la quale la parte venga meno, e dunque risulta idonea a ricomprendere anche l’ipotesi dell’estinzione dell’ente collettivo.
In coerenza con queste premesse, sono stati ritenuti applicabili a tale fattispecie le disposizioni dettate dall’art. 299 cod. proc. civ. e segg., in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o
riassunzione della causa: la «perdita della capacità di stare in giudizio», a cui dette norme si riferiscono, è infatti inevitabile conseguenza della sopravvenuta estinzione dell’ente collettivo che sia parte in causa.
Ciò precisato, nella specie la motivazione di rigetto della Corte non si è conformata a questi principi, negando la legittimazione dei due soci a coltivare l’impugnazione della statuizione di parziale accoglimento della loro pretesa risarcitoria e violando il giudicato formatosi sull’accertamento, compiuto dal Tribunale e non impugnato, dell’intervenuta manifestazione di volontà dei due soci, recepita nella delibera assembleare del 27/4/2009, «di proseguire il giudizio nei confronti del COGNOME con conseguente trasmissione successoria della relativa pretesa agli stessi» (così nella sentenza del Tribunale).
Dall’accoglimento del primo motivo consegue logicamente l’assorbimento del secondo motivo, con cui i ricorrenti hanno sostenuto la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto che in ogni caso l’appello fosse privo di critiche specifiche alla c.t.u. espletata in primo grado per la quantificazione dei danni e del terzo motivo, con cui invece i due soci hanno prospettato, in riferimento al n. 4 d el comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello reso una motivazione meramente apparente sulla non completezza dell’appello.
Il ricorso è perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, perché riesamini la fondatezza dell’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, statuendo anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata , con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda