Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8191 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8191 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
Oggetto: successioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17935/2018 R.G. proposto da COGNOME NOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-RICORRENTI –
contro
ARRABITO NOME E ARRABITO NOME, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTI-
e
SCIACCA NOME, SCIACCA NOME, COGNOME NOME, SCIACCA NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
-INTIMATI- avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3803/2017, pubblicata in data 7.6.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.2.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con distinti atti di citazione NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma COGNOME NOME, COGNOME NOME, gli eredi di NOME COGNOME, nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME, chiedendo di dichiarare l’inesistenza o nullità del testamento redatto il 20 ottobre 1988 dalla defunta zia, NOME COGNOME, atto che, secondo le attrici, era privo della sottoscrizione e della data e non conteneva un’effettiva volontà testamentaria, instando affinché la successione fosse regolata da un precedente testamento, redatto in data 20 ottobre 1986, che conteneva taluni legati in favore dei sette nipoti ex fratre della de COGNOME e l’istituzione di NOME COGNOME quale erede universale in tutti i beni, diritti e crediti residui .
Hanno inoltre chiesto di regolare la successione per legge sui beni che NOME COGNOME aveva lasciato ai nipoti premorti NOME e NOME COGNOME, affermando che i loro discendenti, tra cui gli attuali ricorrenti, non avevano titolo a succedere per rappresentazione.
Si sono costituiti NOME e NOME COGNOME, figli di NOME COGNOME, resistendo alla domanda e instando in via subordinata affinché, in caso di nullità del secondo testamento, fosse accertato il loro diritto a succedere per rappresentazione ex art. 467 e ss. c.c. in luogo e nel grado del genitore premorto; in via di ulteriore subordine hanno chiesto di partecipare, quale eredi legittimi, alla successione di NOME COGNOME limitatamente ai beni di cui la de COGNOME era divenuta proprietaria in data successiva alla redazione del testamento del 20.10.1986.
Si sono infine costituiti NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, aderendo alle difese dei convenuti, nonché NOME COGNOME e COGNOME NOME, eredi di NOME COGNOME; NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti contumaci.
Disposta la riunione dei giudizi, il Tribunale ha dichiarato la nullità del testamento del 20 ottobre 1988, ad eccezione del legato di un orologio in favore di NOME COGNOME, escludendo che gli eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nipoti della defunta NOME COGNOME, potessero succedere per rappresentazione, disponendo la divisione sulla base del primo testamento.
La sentenza è stata confermata in appello, respingendo i gravami proposti da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Secondo la Corte territoriale, l’atto redatto nel 1988 non conteneva disposizioni di ultima volontà (ad eccezione del legato in favore di NOME COGNOME), mancando un collegamento logico tra le dichiarazioni scritte in senso orizzontale e quelle scritte in verticale, rilevando inoltre che il documento presentava una sovrascrittura che faceva propendere per la redazione di un appunto, che il documento risultava strappato e che la sottoscrizione non solo non era stata apposta in calce, pur essendoci spazio sufficiente, ma precedeva lo scritto.
Ha escluso che i ricorrenti, discendenti di nipoti ex fratre della testatrice, potessero succedere per rappresentazione, stante la tassatività dell’elenco dei soggetti legittimati contenuto nell’art. 467 c.c., e ha affermato che la testatrice aveva voluto attribuire alle COGNOME l’intera proprietà dei due appartamenti siti in Roma, sebbene, all’epoca della redazione del testamento, la de COGNOME ne fosse proprietaria del 50% e ne fosse divenuta esclusiva titolare solo alla morte del marito; ha ritenuto che l’eventuale vizio di ultrapetizione in cui era incorso il Tribunale, per aver diviso l’immobile in Scicli in assenza di domanda, dovesse esser fatto valere con il gravame avverso la successiva sentenza definitiva.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso in sei motivi COGNOME NOME e COGNOME NOME, cui COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, innanzitutto, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dai controricorrenti, avendo i ricorrenti interesse a che venga stabilito se la successione è regolata, in tutto o in parte, per legge o per testamento, a quale dei due testamenti deve darsi esecuzione e se essi hanno diritto a succedere per rappresentazione al defunto genitore NOME COGNOME.
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 602, 606, 1418, 684 c.c., contestando alla Corte di merito di aver negato che il documento redatto dalla testatrice il 20DATA_NASCITA contenesse una volontà testamentaria, sulla base di elementi meramente formali del tutto ininfluenti.
Affermano i ricorrenti che né la sovrascrittura di una lettera del nome di una dei potenziali beneficiari, né la presenza di scritte in verticale ed in orizzontale pregiudicavano la leggibilità del documento o rendevano impossibile individuarne il contenuto dispositivo ; l’atto, oltre ai requisiti formali di validità (redazione per iscritto, sottoscrizione, olografia) , conteneva l’ elencazione dei beni di cui la de COGNOME aveva inteso disporre a favore dei discendenti, i cui nominativi erano associabili ai singoli cespiti, occorrendo collegare quella elencazione alle parti della scrittura con cui NOME COGNOME aveva indicato gli istituti di credito pressi i quali si trovavano i depositi destinati alla nipote NOME, oltre ai i titoli e ai gioielli e, soprattutto, ove era contenuto un legato a favore di NOME COGNOME, considerato che le dichiarazioni scritte in orizzontale si legavano inscindibilmente alle altre disposizioni.
Non risponderebbe al vero che la firma era stata apposta prima delle disposizioni, avendo la Corte esaminato il solo verbale di pubblicazione della scheda, ove le disposizioni erano trascritte non secondo l’ordine risultante dal documento, ma partendo dall ‘ultima ed andando a ritroso.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli art. 625, 628, 1346 c.c., per aver la Corte negato che le scritte in verticale – ove erano elencati i beni facenti parte del patrimonio ereditario – integrassero una manifestazione di volontà testamentaria, dovendosi affermare la natura testamentaria del documento sotto il profilo soggettivo ed oggettiv o in base all’esame complessivo dell’atto, essendo indicato, per ciascun cespite, anche il relativo beneficiario, con previsione analoga a quella già contenuta in un precedente testamento.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli art. 587, 1362, 1363 e 1367 c.c., per aver la sentenza escluso che la scheda del 20 ottobre 1988 costituisse un valido testamento senza averne valutato il contenuto intrinseco determinato dal collegamento logico tra l’ele ncazione dei beni ed i destinatari, avendo valorizzato elementi meramente formali e non, come era doveroso, di carattere sostanziale, trascurando gli ulteriori criteri interpretativi, quali la ricerca della volontà effettiva del disponente, l’interpretazione complessiva e il principio di con servazione, pur in presenza di una evidente unitarietà della scheda evidenziata dal fatto che l’elencazion e dei beni immobili era seguita dalla clausola che destinava i depositi all’erede NOMENOME NOME NOME luogo ove si trovavano, ed infine prevedeva il lascit o dell’orologio ad altr o chiama to, disposizione quest’ultima che suggellava la volontà della de COGNOME , cui occorreva riconoscere carattere unitario ed inscindibile.
I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.
Per stabilire se un documento possegga gli elementi minimi per valere come testamento non vengono in rilievo le regole di
interpretazione, che servono per individuare il contenuto di disposizioni mortis causa già riconosciute come tali, occorrendo procedere esclusivamente all’esame del contenuto oggettivo del documento.
E’ necessario che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore (definitiva non nel senso che non possa essere revocata, ma nel senso che essa si sia compiutamente ed incondizionatamente formata e manifestata), diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla morte.
Proprio in considerazione della serietà dell’atto e delle sue conseguenze giuridiche, occorre l’accertamento, indipendente dai requisiti di forma individuati dall’art. 602 c.c., della oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un effettivo atto di disposizione del proprio patrimonio (Cass. 8490/2012; Cass. 23278/2013).
Ora, sebbene l’accertamento della natura testamentaria di un documento, come espressione della volontà definitiva di disporre mortis causa , attiene al giudizio di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. 834/1965; Cass. 8490/2012), le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata non risultano coerenti con i criteri che, secondo l’insegnamento di questa Corte, devono orientare l’indagine del giudice nell’individuazione della natura testamentaria di uno scritto.
In primo luogo, non poteva rilevare l’esistenza di una sovrascrittura limitata alla sola lettera iniziale del cognome di uno dei discendenti (su cui era sovrascritto il numero 40) sicuramente riferibile alla de COGNOME , ma tale da non pregiudicarne la leggibilità, tanto che, secondo la Corte di merito, non ne era chiara neppure la valenza, essendo però pacifico che l’intero documento era stato redatto dalla testatrice; parimenti, la presenza di parti scritte sia in orizzontale
che in verticale, non costituiva di per sé un ostacolo, secondo la stessa Corte di merito, per l’individuazione dei beni e dei possibili beneficiari, non essendo tuttavia indispensabile, ai fini della riconducibilità dell’atto nell’ambito delle disposizioni mortis causa , che il dichiarante facesse espresso riferimento alla sua morte o precisasse che si trattava di una manifestazione di ultima volontà con la quale egli intendeva disporre dei suoi beni dopo la sua scomparsa (Cass. 8668/1990; Cass. 150/2014).
E’ del tutto immotivata la dichiarata insussistenza di un collegamento tra le disposizioni scritte in orizzontale e quelle scritte in verticale, pur avendo la sentenza riconosciuto nel lascito in favore di uno dei beneficiari (NOME COGNOME) una volontà testamentaria perfettamente formata contenuta nel medesimo documento, occorrendo considerare se la, del tutto inusuale, compresenza (nel suddetto documento), di disposizioni di ultima volontà e di meri appunti non fosse superabile mediante una lettura unitaria e complessiva dell’atto, eventualmente ravvisando nelle dichiarazioni contenenti il legato non disposizioni isolate dalle altre, ma la conclusiva formalizzazione di una volontà dispositiva riferibile all’intero scritto.
A tal fine doveva, inoltre, soccorrere l’esame diretto del documento (anziché del verbale di pubblicazione) per verificare se le dichiarazioni in verticale precedessero le altre o viceversa, per eventualmente rafforzare la riferibilità della firma all’intero contenuto, a possibile suggello della inscindibilità delle disposizioni.
Non era lecito obliterare neppure il rilievo delle precise indicazioni contenute nel documento circa i depositi e i rapporti bancari e la loro collocazione, che, nel contesto dell’atto, potevano valere come sintomo della volontà di agevolare l’esecuzione dei lasciti e, dunque, della presenza di una volontà dispositiva rinvenibile nell’atto nella sua interezza, essendo del tutto ininfluente, agli
effetti di cui si discute, che il documento fosse stato strappato dopo l’apertura della successione per mostrarlo agli eredi .
Appaiono, quindi, indebitamente enfatizzati elementi formali non decisivi mentre difettano una valutazione complessiva e globale del contenuto della scheda e l’apprezzamento di circostanze aventi rilievo anche logico e presuntivo, al cui esame dovrà procedere il giudice del rinvio.
Il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 467, 468 e 469 c.c. 1362, 1363, 1367 c.c., per aver la sentenza ritenuto che a favore dei ricorrenti (discendenti di un nipote ex fratre della de COGNOME ), non operasse la rappresentazione e ciò sulla scorta di precedenti di questa Corte riguardanti casi del tutto diversi da quella in esame, la cui particolarità consisteva nel fatto che, al momento del testamento, erano già premorti tutti i fratelli di NOME COGNOME, per cui quest’ultima poteva disporre solo in favore dei nipoti, non essendo in vita soggetti rientranti nella categoria dei possibili rappresentati a norma dell’art. 467 e ss. c.c.. La sentenza avrebbe indebitamente trascurato che la rappresentazione opera all’infinito e che la disposizione che limita gli effetti della rappresentazione a talune categorie di successibili è invocabile solo se i figli, i fratelli o sorelle del de COGNOME siano in vita al momento della redazione del testamento e non possano o non vogliano accertare l’eredità.
Il motivo è infondato.
È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’elencazione dei soggetti a favore dei quali opera la rappresentazione è tassativa e ha carattere eccezionale, introducendo una deroga ai principi generali sull’ordine dei successibili, sicché non è data rappresentazione quando la persona cui ci si vuole sostituire non sia un discendente, un fratello o sorella del defunto (Cass. 836/1962; Cass. 3300/1976; Cass. n.
3051/1994; Cass. 5508/2012; Cass. 22840/2009; Cass. 5508/2012; Cass. 25240/2013).
Si è già negato che la rappresentazione possa operare in favore dei discendenti del nipote ex fratre (beneficiario di lasciti testamentari), e anche quando gli istituiti con testamento siano nipoti ex fratre e alcuni di essi non possano accettare l’eredità perché premorti al testatore, mancando l’istituzione del fratello o della sorella che, nella linea collaterale, è la persona che la legge considera debba essere rappresentata (Cass. 911/1946; Cass. 22840/2009 e Cass. 30551/2011).
D’altronde l’art. 468 c.c. esprim e una scelta normativa intenzionale, con cui si è inteso superare il diverso disposto del codice civile del 1865, poiché mentre “il progetto preliminare aveva, nella successione testamentaria, ammesso la rappresentazione anche a favore dei discendenti dell’erede o legatario “istituito”, non solo se fratello o sorella, ma anche se discendente di costoro, l ‘ innovazione non fu accolta e recepita, essendo sembrato “inopportuno ampliare il campo di applicazione dell’istituto nella linea collaterale” (Relazione ministeriale al progetto definitivo, n. 22)”.
Depone a favore di un’interpretazione restrittiva della norma il fatto che le limitazioni soggettive caratterizzanti le figure dei c.d. rappresentato e rappresentante sono connaturate ed intrinsecamente necessarie alla coerenza giuridica della rappresentazione, che è istituto di diritto singolare in cui vengono alla successione soggetti che altrimenti ne resterebbero esclusi (Cass. 1366/1975; Cass. 5077/1990; Cass. 3051/1994).
La norma opera, difatti, in deroga ai principi generali sull’ordine dei successibili, anteponendo, nelle ipotesi di cui agli artt. 467 e 468 c.c., i discendenti del chiamato che non voglia o non possa accettare, a quelli che sarebbero – altrimenti – chiamati in linea
ulteriore secondo una scelta discrezionale ed insindacabile del legislatore (Corte cost. 79/1969).
Non rileva che al momento del testamento i fratelli della de COGNOME fossero già premorti e che NOME COGNOME non potesse disporre che in favore dei nipoti, sostenendo che quest’ultima avrebbe sicuramente disposto a favore dei discendenti dei nipoti ex fratre in caso di premorienza dei fratelli, poiché la rappresentazione non è finalizzata a dare esecuzione ad una volontà testamentaria ipotetica, ma solo a garantire, nei limiti di legge, la devoluzione dei beni all’interno della famiglia o comunque a tutelare le ragioni dell’avente titolo alla successione , posto che l’operatività della rappresentazione fa sì che i beni non siano devoluti secondo la successione legittima (e con le quote previste per legge).
Infine, sebbene la rappresentazione opera all’infinito , ciò presuppone pur sempre che ne siano rispettati le limitazioni soggettive, nel senso che solo se siano stati istituti i fratelli o le sorelle (condizione che qui manca) succedono per rappresentazione tutti gli altri discendenti (Cass. 22840/2009).
4. Il quinto motivo denuncia la violazione degli art. 457, 523, 565 c.c., 674 e 677 c.c., per aver la sentenza ritenuto che NOME COGNOME fosse destinataria del lascito avente ad oggetto l’i ntero immobile in INDIRIZZO INDIRIZZO, unitamente al box interrato e che NOME COGNOME avesse titolo a succedere nella proprietà dell’intero appartamento in INDIRIZZO INDIRIZZO, beni di cui la disponente era titolare della quota di ½ al momento del testamento, avendoli acquistati per intero solo dopo la morte del marito, dovendosi tener conto che le restanti quote spettavano a NOME COGNOME che, con il medesimo testamento, era stato istituto erede in tutti i beni non oggetto delle disposizioni a favore di altri chiamati.
Il motivo è assorbito, dovendo il giudice di rinvio stabilire preliminarmente se la scheda del DATA_NASCITA costituisse espressione di
una volontà testamentaria, valutando all’esito se, con il testamento del 1986, la disponente avesse inteso attribuire alle COGNOME solo la quota di ½ della proprietà degli immobili di cui si controverte.
5. Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 279, comma secondo, nn. 4 e 5, 324 e 340 c.p.c., 2909 c.c. e 24 Cost., per aver il giudice distrettuale affermato che l’errore in cui era incorso il Tribunale per aver disposto, con la sentenza non definitiva, la divisione del villino in Scicli, INDIRIZZO, in assenza di domanda, doveva essere fatto valere mediante l’appello avverso la sentenza definitiva, senza considerare che, non essendo stata fatta riserva di impugnazione della prima decisione, quest’ultima sarebbe passata in giudicato, rendendo il vizio non più deducibile.
Il motivo è infondato.
Dalla stessa narrativa del ricorso (cfr. ricorso pag. 6) si evince che la domanda di divisione di tutti i beni mobili ed immobili pervenuti a NOME e NOME era stata formulata dalle COGNOME unitamente alla richiesta di dichiarare l’invalidità del secondo testamento, di escludere l’operatività della rappresentazione e di aprire su detti cespiti la successione legittima.
La sentenza non definitiva di primo grado si era limitata a stabilire che i beni oggetto dei lasciti in favore di NOME e NOME COGNOME, nipoti ex fratre della de COGNOME , non potevano pervenire per rappresentazione ai loro discendenti ed appartenevano alla massa ereditaria, senza tuttavia aver disposto la divisione, essendosi limitata ad individuare le quote spettanti a ciascun chiamato secondo le norme della successione legittima.
Il vizio denunciato è, quindi, insussistente perché la prima decisione conteneva solo l’individuazione dei beni caduti nella massa da dividere per successione legittima, in relazione ad una domanda di divisione effettivamente proposta dalle COGNOME, le quali avevano chiesto di ricomprendere nella massa tutti i beni
devoluti dalla de COGNOME ai propri nipoti sull’assunto che la rappresentazione non potesse operare a favore dei discendenti di questi ultimi.
Vanno, quindi, accolti i primi tre motivi di ricorso, dichiarato assorbito il quinto e respinte le restanti censure; la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la