Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8302 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8302 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20338/2021 R.G. proposto da:
TELLA PATRIZIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
PIDOTA NOME, PIDOTA NOME
intimati
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1721/2021 depositata il 30/04/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 26.01.2000 NOME COGNOME evocava in giudizio avanti il Tribunale Civile di Napoli -Sezione distaccata di Pozzuoli – NOME COGNOME per sentir dichiarare illegittime le opere edili da questi realizzate sul proprio fondo in Pozzuoli (NA), con ingresso dalla INDIRIZZO, poiché non osservanti il vincolo di inedificabilità dell’area e comportanti un aumento di cubatura del fabbricato di proprietà convenuta che giungeva a sconfinare sul terreno di proprietà attorea, con ulteriore pregiudizio per la ridotta panoramicità goduta e per la creazione di numerose vedute e terrazze in violazione delle distanze legali tra le costruzioni.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME formulava domanda riconvenzionale per il riconoscimento della proprietà della quota del fondo attiguo semmai occupata dalla propria costruzione ai sensi dell’art. 938 c.c. e chiedeva il rigetto della domanda attorea.
Autorizzata la chiamata del terzo, si costituiva in giudizio NOME COGNOME che aderiva alla domanda riconvenzionale del padre convenuto.
Il procedimento veniva interrotto una prima volta per il decesso del convenuto NOME COGNOME e riassunto impersonalmente nei confronti degli eredi che si costituivano in atti nelle persone di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente moglie e figli del de cuius .
Seguiva una nuova interruzione del giudizio per il duplice decesso della convenuta NOME COGNOME e del difensore di NOME COGNOME.
La causa veniva nuovamente riassunta nei confronti degli eredi.
NOME COGNOME rilevava la sopravvenuta carenza di legittimazione passiva nei propri confronti, sicché veniva disposta la chiamata in causa di NOME COGNOME. Quest’ultima si costituiva in giudizio ed eccepiva la tardiva autorizzazione della propria chiamata e, per l’effetto, la non opponibilità nei propri confronti dell’istruttoria già espletata poiché svolta senza la sua partecipazione al processo e ne chiedeva la rinnovazione.
Il Tribunale Civile di Napoli definiva il giudizio disponendo la condanna di NOME COGNOME alla demolizione della parte dell’edificio di sua proprietà insistente sul fondo di proprietà attorea e all’eliminazione o all’arretramento delle vedute presenti sul manufatto di sua proprietà poste a distanza inferiore a mt. 1,5 dal fondo di proprietà attorea, nonché l’ulteriore condanna dei convenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti dalla COGNOME per la riduzione del panorama, la presenza di vedute poste a distanza inferiore a quella legale e l’occupazione abusiva del fondo di proprietà dell’attrice da liquidarsi in separato giudizio e alla rifusione delle spese processuali e di C.T.U. in favore della istante, decretando l’estromissione processuale della convenuta NOME COGNOME e il rigetto delle domande riconvenzionali proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso la suddetta pronuncia interponeva appello NOME COGNOME.
Si costituiva in atti NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello.
Si costituivano in appello anche NOME COGNOME in proprio e, con NOME COGNOME, nella qualità di eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, svolgendo paritetiche argomentazioni critiche con proposizione di appello incidentale.
La Corte di Appello di Napoli rigettava sia l’appello principale proposto da NOME COGNOME che quello incidentale proposto da NOME COGNOME in proprio e unitamente a NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con il primo motivo di censura veniva denunciata erroneità della pronuncia per avere il Tribunale rilevato la contumacia della appellante a seguito della prima riassunzione della causa (dopo il decesso del de cuius NOME), dovendo, al contrario, ritenersi acquisita la qualità di parte processuale solamente per effetto del successivo atto di chiamata disposto d’ufficio. La Corte d’Appello, richiamata la giurisprudenza di legittimità, rilevava la tempestiva notificazione agli eredi, impersonalmente all’ultimo domicilio del de cuius , quale mezzo idoneo ai fini dell’estensione automatica degli effetti del processo interrotto a ciascuno dei chiamati all’eredità, tra cui NOME COGNOME, sebbene nei confronti della suddetta, al momento della riassunzione del giudizio, non fosse ancora nota la sua qualifica di erede testamentaria.
Peraltro, qualora si fosse ritenuta la COGNOME quale legataria e non erede, non poteva dubitarsi che, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., secondo comma, in caso di successione a titolo particolare del diritto controverso per causa di morte il processo proseguiva dal successore universale o in suo confronto, e ciò implicava che, in
ipotesi di azioni aventi ad oggetto la proprietà, venisse a configurarsi un vero e proprio litisconsorzio necessario processuale coinvolgente l ‘ universalità degli eredi a prescindere dal titolo della loro legittimazione.
Nel qual caso, a fronte di una chiamata in causa del successore a titolo particolare, non si verificava l’invalidità degli atti istruttori in precedenza compiuti in assenza del predetto successore, il quale, ove non si fosse avvalso della facoltà di esercitare il diritto di difesa con prove idonee e contrastare i risultati di quelle già espletate, non poteva dolersi che da tale pregressa istruttoria venissero tratti elementi di convincimento pure nei suoi confronti, rimanendo pertanto acquisito agli atti ogni elemento probatorio assunto antecedentemente alla sua costituzione in giudizio.
La Corte, nel merito, rilevava quale elemento ostativo al riconoscimento dell’acquisizione della quota di fondo della proprietà della appellata COGNOME, la mancata prova della buona fede da parte del costruttore secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità.
Nel caso di specie la dedotta incertezza dell’esatto confine tra i fondi limitrofi avrebbe dovuto indurre il costruttore ad accertarsi, in via preventiva, presso i competenti uffici di edilizia ed urbanistica quali fossero le reali consistenze dei due terreni adiacenti, individuandone esattamente i confini mediante un adeguato esame delle risultanze planimetriche per edificare nel rispetto delle norme relative alle distanze dalle costruzioni e, in ipotesi di obiettiva impossibilità di ricostruzione dei limiti tra le proprietà, proporre al confinante una verifica congiunta ovvero agire nei suoi confronti ai
sensi dell’art. 950 c.c. per ottenere l’accertamento giudiziale del regolamento dei confini.
In merito al terzo motivo di doglianza con cui la appellante deduceva violazione dell’art. 2697 c.c. per non essere stata acquisita agli atti la prova della proprietà del fondo in capo alla COGNOME, data la natura petitoria dell’azione proposta, la Corte d’Appello osservava che in atti risultava l’esistenza di un testamento, pubblicato in data 18.11.1980 e registrato il successivo 28.11.1980, con il quale il de cuius, NOME COGNOME, riservava in favore della propria figlia NOME COGNOME la proprietà del terreno in Pozzuoli come in atti identificato, confinante con la proprietà NOME COGNOME, meglio descritto nella denuncia di successione del 19.01.1982 anch’essa presente nel fascicolo di parte del primo grado.
Entrambi i documenti accertavano la titolarità del bene e inoltre la natura dell’azione svolta dalla COGNOME in primo grado non poteva qualificarsi come rivendicazione ex art. 948 c.c., non sussistendo conflitto tra titoli di proprietà, né specifiche contestazioni, ed essendo la detta azione finalizzata alla verifica dell’avvenuto sconfinamento su proprio fondo del fabbricato altrui e, ancor prima, all’accertamento della violazione delle norme sulle distanze dalle costruzioni, per cui la suddetta prova era sufficiente conformemente alla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. Sent. n. 15041/ 18 e Cass. Civ. Sent. n . 3739/ 18). Pertanto, la postuma conferma del perpetrato sconfinamento emerso in sede tecnica si poneva quale elemento accessorio e conseguenziale all’azione per la declaratoria di violazione delle distanze ex art. 873 c.c. e non comportava la conversione della domanda di mero arretramento o
demolizione dell’opera abusiva alla stregua di una rivendicazione che, ove ritenuta sussistente, avrebbe sottoposto la istante all’oneroso regime della probatio diabolica .
Con riguardo al quarto ed ultimo rilievo di gravame con cui veniva contestata l’ erronea valutazione dell’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c. sollevata dalla appellante in relazione alla domanda di risarcimento per la perdita di panoramicità dell’immobile di proprietà COGNOME, la Corte territoriale richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui la violazione delle distanze legali nelle costruzioni – ugualmente riferibile al contenuto della panoramicità quale servitù negativa altius non tollendi -era un illecito permanente, con la conseguenza che la decorrenza del termine per la prescrizione non decorreva dalla data di realizzazione dell’opera ma da quella di cessazione della permanenza e cioè dal momento della demolizione della costruzione, salvo il decorso del termine ventennale utile per l’usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova.
La verifica in sede tecnica della presenza del manufatto realizzato da NOME COGNOME in violazione delle norme sulle distanze dalle costruzioni, oltreché sconfinante sul fondo di proprietà di NOME COGNOME, impediva il maturarsi del termine prescrittivo per l’azione risarcitoria anche per quanto concerneva il danno per ridotta panoramicità fino a quando l’opera abusiva, in parte qua , non fosse stata definitivamente rimossa. Il condivisibile accertamento compiuto dal C.T.U., correttamente applicato anche dal Tribunale ai fini della valutazione della sussistenza delle violazioni denunciate, confermava l’avvenuto sconfinamento del
fabbricato di proprietà della appellante sul fondo limitrofo e l’effettiva irregolarità delle aperture di luci e vedute.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 303, secondo comma, c.p.c., nonché degli artt. 110 e 111 c.p.c. anche con riferimento alla falsa applicazione, presupposta, degli artt. 565, 588 e 74 e segg. c.c. omessa, insufficiente, apparente e contraddittoria motivazione circa la qualifica dell’istante come erede, anziché come legatario.
La ricorrente era legataria e, dunque, richiamate le norme indicate in rubrica, la stessa era un successore a titolo particolare. Infatti, l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (” institutio ex re certa “) solo qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni.
Dalla semplice lettura del testamento olografo di NOME emergerebbe che NOME COGNOME ha avuto conferita, sic et sempliciter , la consistenza immobiliare.
La Corte avrebbe omesso ogni indagine in proposito e in ogni caso, il processo (dalla prima riassunzione del processo di primo grado interrotto per la morte di una parte costituita) deve, ai sensi dell’art. 111, 2° co., c.p.c., intendersi proseguito nei confronti dei
soli successori universali di NOME COGNOME, essendo il trasferimento del diritto controverso in favore di NOME COGNOME avvenuto mortis causa a titolo particolare tramite il legato,.
La riassunzione del processo, interrotto a seguito del decesso di NOME COGNOME, con le modalità di cui all’art. 303, secondo comma, c.p.c., era valida ed efficace solo nei confronti dei successori a titolo universale e non dei successori a titolo particolare e, per ciò stesso, non era valida ed efficace nei confronti della ricorrente NOME COGNOME.
Conseguentemente, la stessa COGNOME, dalla ‘prima’ riassunzione del processo interrotto, non poteva (ne può) essere considerata parte del processo e, quindi, non poteva essere dichiarata la sua contumacia, per non essere comparsa a seguito di detta ‘prima’ riassunzione.
Il processo, che ha ad oggetto proprio il bene di cui il legatario è diventato proprietario a titolo particolare, dovrebbe continuare nei confronti dei successori universali, ai sensi dell’art. 111, secondo comma, c.p.c. mentre il Tribunale ha disposto la chiamata in causa di NOME COGNOME. In ossequio a tale chiamata in causa, (cfr. atto di citazione per chiamata in causa del terzo, al n. 2 del ‘Foliario’ fascicolo di parte primo grado COGNOME NOME, dep.to in atti), (recte: interveniva su ordine del giudice) la ricorrente NOME COGNOME, quale legataria – successore a titolo particolare di NOME, chiedeva , tra l’altro, espressamente la rinnovazione di tutta la fase istruttoria, con rimessione in termini.
La Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che la legataria/NOME fosse da annoverarsi tra i soggetti (eredi successori a titolo universale) destinatari della notifica (effettuata ex art. 330,
2°c., c.p.c.) del primo atto di riassunzione del processo (interrotto a seguito del decesso di NOME) dichiarandone la contumacia. Ciò violerebbe gli artt. 110, 111 e 303, 2° comma, c.p.c.
NOME COGNOME non poteva essere condannata (pur se la sentenza pronunciata contro i successori universali spiega i suoi effetti contro il successore a titolo particolare, ma con salvezza delle norme sulla trascrizione), non ricorrendo l’ipotesi di estromissione di cui al 3° comma dell’art. 111 c.p.c., e quindi non potendo essere destinataria ‘diretta’ della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione al legatario successore a titolo particolare delle disposizioni (artt. 470 e 474 e segg. c.c.) sull’accettazione dell’eredità, in violazione del disposto di cui al primo comma dell’art. 649 c.c. omessa, insufficiente, apparente e contraddittoria motivazione circa l’omessa rimessione in termini della ricorrente in ordine alla attività istruttoria.
La censura è ripetitiva della precedente circa l’erronea qualificazione della COGNOME come successore a titolo universale e non particolare.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del principio del contraddittorio, in relazione al primo comma dell’art. 101 c.p.c. nonché degli art. 24 e 111 Cost. Nullità di tutti i provvedimenti emessi a carico della e/o incidenti sulla posizione processuale e sostanziale di COGNOME NOME, successivi all’atto di riassunzione del processo interrotto in primo grado per la morte di
NOME COGNOME. Nullità del procedimento nei confronti di parte non convenuta in giudizio.
Anche nel caso in cui la parte, dopo essere stata regolarmente citata (nel caso che ci occupa la citazione è avvenuta con atto di riassunzione), non si costituisca in giudizio, il giudice può dichiararne la contumacia e ordinare la prosecuzione della causa, dopo aver controllato l’integrità del contraddittorio. Nella specie, come già rilevato, la notifica dell’atto di riassunzione, relativamente alla ricorrente COGNOME NOME, sarebbe inesistente, in quanto non sarebbe rilevabile alcun collegamento tra quest’ultima (presunta destinataria dell’atto) e i soggetti (rectius: gli eredi successori a titolo universale di NOME) cui l’atto è stato notificato.
In definitiva, la dedotta avvenuta notifica (collettivamente ed impersonalmente) nell’ultimo domicilio del defunto, della prima riassunzione (decesso NOME COGNOME) a NOME COGNOME deve ritenersi inesistente e, quindi, il primo atto del processo, legittimamente e validamente notificato a NOME COGNOME, è da individuarsi solo ed esclusivamente nella chiamata in causa di quest’ultima, ex art. 107 c.p.c., quale legataria successore a titolo particolare mortis causa.
La conseguenza derivante dalla inosservanza del principio del contraddittorio sarebbe la nullità di tutti i provvedimenti emessi nei confronti di NOME COGNOME, ivi compresa la sentenza impugnata. L’insanabile nullità della pronuncia di primo grado (rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio) per l’inesistenza della notifica dell’atto di citazione imponeva al giudice di appello la declaratoria di tale nullità, senza potere, peraltro, rimettere la causa al primo giudice ex artt. 353, 351 c.p.c., stante la tassatività
delle relative ipotesi; con la conseguenza che, rilevata e dichiarata tale ipotesi di nullità, doveva ritenersi preclusa ogni decisione nel merito (atteso l’effetto non sanante dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado). All’uopo, in ordine alla nullità derivata è opportuno sottolineare che per il principio dell’estensione della nullità ex art. 159 c.p.c., se un giudice decide nel merito anziché pronunciare la nullità di un atto anteriore, la sentenza è nulla.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 107 c.p.c., nei confronti di soggetto, poi, dichiarato già contumace e, per ciò stesso, non terzo rispetto al processo nel quale si è ritenuto opportuno chiamarlo o ordinarne l’intervento.
L’art. 107 c.p.c. dispone: Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento.
Nel caso di specie, il giudice di appello ha così dedotto:’…omissis… a prescindere dalla accertata estensione dell’efficacia della riassunzione a ciascuno degli eredi del de cuius , noti e ignoti al momento della notificazione dell’atto riassuntivo, la prosecuzione del giudizio nei confronti del successore (N.D.R., a titolo particolare) mortis causa del diritto controverso avvenuta per chiamata ex art. 107 c.p.c. integra, ai fini del litisconsorzio processuale, la riferibilità del processo al chiamato in quanto già parte destinataria degli effetti della riassunzione ‘.
I quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili in parte manifestamente infondati.
5.1 I primi due motivi nella parte in cui censurano l ‘ omessa, insufficiente, apparente e contraddittoria motivazione sono inammissibili.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014).
Per motivazione apparente la giurisprudenza di questa Corte ricomprende, oltre alla motivazione in tutto o in parte mancante, anche le ipotesi in cui la stessa non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum . Nella specie, invece, il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata è chiarissimo, oltre che condivisibile (v. tra le varie, SSUU 2767/2023).
La Corte d’Appello, infatti, ha correttamente evidenziato che la RAGIONE_SOCIALE ha partecipato regolarmente al giudizio di primo grado, anche se considerata come legataria, essendo stata chiamata in causa ex art. 107 c.p.c. per ordine del giudice quale successore a
titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111, terzo comma, c.p.c..
Infatti, ai sensi dell’art. 111 , secondo comma, c.p.c., il processo prosegue tra le parti originarie e, ai sensi del terzo comma, del medesimo art. 111 c.p.c., il successore può essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può esserne estromesso.
5.2 Nessuna violazione di legge è riscontrabile nel caso in esame. La sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di legittimità in tema di successione nel processo. Deve ribadirsi che l’art. 111 cod. proc. civ., nel prevedere che il processo prosegue tra le parti originarie, esclude che divenga litisconsorte necessario il successore a titolo particolare, il quale ha la possibilità di intervenire o essere chiamato nel processo, ovvero di impugnare la sentenza, infatti, la qualità di litisconsorte necessario del successore, che presuppone la preesistenza di una pluralità di parti, si assume solo quando il medesimo intervenga o sia chiamato nel processo ovvero eserciti la facoltà di impugnare la sentenza contro il dante causa (Sez. 2, Sentenza n. 21773 del 11/10/2006).
5.3 Infine, anche la pretesa di rinnovo degli atti istruttori antecedenti la costituzione in giudizio del successore a titolo particolare chiamato in causa è infondata.
Anche in questo caso la sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità.
Il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: il successore a titolo particolare nel diritto controverso, oltre che spiegare intervento volontario, può assumere la qualità di parte nel processo per effetto di chiamata in causa, su iniziativa degli altri
contendenti, ovvero anche dietro ordine del giudice (art. 111 terzo comma cod. proc. civ.). in entrambe le ipotesi non si verifica l’invalidità degli atti istruttori in precedenza compiuti in assenza del predetto successore, il quale, pertanto, ove non si avvalga della facoltà di esercitare il proprio diritto di difesa con prove idonee a contrastare i risultati di quelle già espletate, non può dolersi che da tale pregressa istruttoria vengano tratti elementi di convincimento pure nei suoi confronti. (Sez. 3, Sentenza n. 3822 del 25/06/1985, Rv. 441401 – 01, Vedi 3237/71, mass. N. 354664; e 1762/67, mass. N. 328622).
Nessuna violazione del contraddittorio, pertanto, si è realizzata nel giudizio di primo grado essendo la RAGIONE_SOCIALE regolarmente chiamata in causa per ordine del giudice in qualità di legataria e con implicita revoca della dichiarazione di contumacia seguita alla sua prima qualificazione come erede a titolo universale.
Di conseguenza tutte le censure proposte con i motivi di ricorso, in disparte i profili di inammissibilità già rilevati, risultano infondate non essendo necessaria alcuna rinnovazione degli atti di causa nel corso del giudizio di primo grado e, tantomeno, nel giudizio di appello che si è svolto altrettanto regolarmente. Infatti, in ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso il dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che l’impugnazione spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti la sentenza è stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore (vedi anche in un caso particolare Sez. 1, Sentenza n. 30189 del 20/11/2019).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 5000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione